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One Billion Rising, un miliardo di donne danzano contro la violenza

L' iniziativa "globale" - che ha già ottenuto l'adesione di organizzazioni, attivisti, leader e celebrità di 182 paesi del mondo - è stata ideata da Eve Ensler e dal movimento V-Day, nato dall'esperienza si "I monologhi della vagina", spettacolo che viene messo in scena dal 1998 e che ha aiutato in tutti questi anni non solo a raccogliere fondi, ma anche e soprattutto a fare sensibilizzazione riguardo al sempre attuale tema della violenza sulle donne.


il 14 febbraio un miliardo di persone ballerà in nome della consapevolezza e della solidarietà, protestando contro lo scandalo di questa violenza e celebrando la volontà di mettervi fine.

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Pia Locatelli candidata alla Camera dei Deputati

 

Pia Locatelli candidata socialista lista PD alla Camera dei Deputati 
Circoscrizione Lombardia 1 

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Ricerca e innovazione: a che punto siamo?

Articolo su ArcipelagoMilano, settimanale milanese di politica e cultura, n. 5, anno V

 

Il “Gruppo 2003”, che riunisce ricercatori italiani tra i più citati al mondo, che in larga maggioranza lavorano in Lombardia, in occasione della campagna elettorale ha posto alcune questioni a tutti coloro che si candidano alla guida del Paese. Si tratta di domande stringenti che non consentono generiche dichiarazioni a favore della ricerca ma richiedono impegni precisi.

I titoli dei punti presentati dal Gruppo 2003 riguardano investimento in ricerca, valutazione e premialità, competitività internazionale, cabina di regia, lacci e lacciuoli, valore legale del titolo di studio, attrattività e rientro dei cervelli, ricerca industriale e trasferimento tecnologico, giovani capaci e meritevoli. I temi proposti indicano una strategia complessiva definita e coordinata che, se praticata, avvierebbe il nostro Paese sulla strada di un futuro migliore, fatto di investimenti strategici per uscire dal declino, che è causato certamente dalla attuale crisi economica e finanziaria, ma soprattutto da inesistenti politiche a favore della ricerca, dell’innovazione, del trasferimento tecnologico.

Ma in quale quadro si collocano quelle essenziali domande? La recente pubblicazione dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) “Prospettive 2012 per la Scienza, Tecnologia e Industria” delinea i trend in questo campo dei 34 Paesi membri dell’organizzazione, oltre che di alcuni altri quali Brasile, India, Sudafrica. Il quadro che lo studio fa del nostro Paese indica che gli hot issues, i temi caldi da affrontare sono: il miglioramento delle condizioni strutturali per l’innovazione; il sostegno alle risorse umane per l’innovazione; il miglioramento del coordinamento complessivo delle politiche di settore, in particolare tra le diverse azioni di governo e tra governo e regioni. Si fa una descrizione critica della situazione del nostro Paese e insieme si dà un giudizio piuttosto severo.

Il capitolo che ci riguarda parte dalla premessa che l’innovazione sarà cruciale per stimolare la competitività e la crescita sostenibile, un richiamo, a proposito degli hot issues iniziali, che non lascia scampo: o si cambia o la situazione economica del Paese non potrà che peggiorare. Lo studio afferma che la percentuale del nostro Pil destinata a ricerca e sviluppo è dell’1,26%, circa la metà della media dei Paesi Ocse, una cifra in linea con le percentuali delle economie emergenti, non con quelle di un Paese del G8.

Il settore produttivo contribuisce a questo investimento solo per la metà, una percentuale bassa per una economia considerata avanzata, e in percentuali molto differenziate per aziende e distribuzione geografica. Infatti un certo numero di aziende innovative, anche tra le PMI, coesiste con molte non-innovative dai livelli di produttività molto bassi; la loro distribuzione territoriale è eterogenea, sono concentrate soprattutto al Nord e al Centro. Mentre l’industria partecipa all’investimento in R&S per il 44%, l’investimento pubblico è del 42% e quello estero del 9%. L’Italia tende ad avere migliori prestazioni dove l’innovazione non è legata a ricerca e sviluppo, come dire: siete pervicaci nel non investire in questo settore, anche se ve la cavate con la solita creatività nel design.

La percentuale di laureati è significativamente bassa e, in coerenza con il basso investimento in ricerca e sviluppo, sono pochi i ricercatori in linea con gli standard internazionali, pur essendo (lo aggiungo io, non lo studio) questi pochi molto citati internazionalmente.

Il quadro delineato è certamente critico e la criticità viene confermata, anzi accentuata, dall’allarme lanciato dal CUN, il Consiglio Universitario Nazionale, sullo stato dell’università italiana che ha perso in dieci anni 58 mila studenti, pari al 17%, in sei anni il 22,5% dei docenti e il 25% delle borse di studio. Siamo un Paese in decadenza, ha detto Massimo Cacciari, con vocazione all’autodistruzione, si può aggiungere senza essere smentiti, se non si avrà il coraggio di perseguire un cambiamento radicale a partire dal settore della ricerca, la base per avviare serie e coerenti politiche per l’innovazione e quindi promuovere crescita e posti di lavoro, con attenzione particolare alle nuove generazioni.

Oltre alle domande il Gruppo 2003 avanza delle proposte, chiedendo: un impegno per aumentare del 20% annuo per i prossimi tre anni l’investimento in ricerca “indipendentemente dalla situazione contingente e dalle pressioni di interessi particolari”; la detassazione delle donazioni a favore degli enti di ricerca e della ricerca in generale; la individuazione di un numero limitato di enti di ricerca da dotare di risorse adeguate per consentire loro di competere alla pari a livello internazionale, sull’esempio della Germania; una cabina di regia, ossia una struttura di coordinamento leggera, efficiente e trasparente; misure concrete per promuovere il trasferimento tecnologico, essendo assolutamente insufficiente l’attuale sistema di trasferimento dei risultati alla società in generale e all’industria; percorsi dedicati per far entrare “cervelli” stranieri nel nostro Paese, oltre che per far rientrare “cervelli” italiani. Il titolo finale interroga su iniziative per la promozione della cultura della scienza e della ricerca, con un’attenzione particolare per la formazione scientifica dei giovani.

In un articolo dei giorni scorsi Tito Boeri sostiene che il calo di studenti e docenti del nostro Paese è un calo annunciato, per certi aspetti attivamente perseguito. Ci aspettiamo dal futuro governo, che ci auguriamo retto dalla coalizione di centrosinistra, una inversione completa di queste politiche. Altri Paesi in crisi come il nostro stanno investendo in ricerca e innovazione, nonostante la crisi, al contrario proprio per contrastarla. Non possiamo permetterci che il divario si allarghi ulteriormente, già siamo fanalino di coda.

Un segnale importante e non secondario di inversione di rotta può e deve venire dalla Lombardia. Qui risiedono competenze e strutture, pubbliche e private, che quotidianamente e contemporaneamente collaborano e competono con i migliori Centri di Ricerca mondiale. La Regione può fare molto contribuendo a definire le priorità da organizzare in rete. Anche per questo occorre una svolta che, solo con Umberto Ambrosoli vincente, potrà essere affrontata con perizia e decisione.

 

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Sintesi dell'intervento al Consiglio dell'Internazionale Socialista Donne

Lisbona, 1-2 febbraio 2013

Queste mie riflessioni sono ispirate dal rapporto “ THE IMPACT OF THE ECONOMIC CRISIS ON THE SITUATION OF WOMEN AND MEN” del dicembre 2012, finanziato dalla Commissione Europea, nel quadro di un contratto con la Fondazione Brodolini in collaborazione con l'Istituto per la Ricerca Sociale. Ci hanno lavorato soprattutto economiste, italiane ma non solo,

Nell'affrontare la crisi finanziaria ed economica i governi europei hanno adottato politiche di consolidamento e di rigore per ridurre il deficit e il debito dei Paesi. Queste politiche sono di tipo conservatore, fatto comprensibile dal momento che circa i due terzi dei Paesi europei sono nelle mani di governi conservatori. Questo approccio si è rivelato incapace di conseguire il risultato atteso di riduzione del debito e del deficit. Solo dopo aver verificato l'inefficacia di queste politiche, i governi hanno preso in considerazioni politiche per promuovere la crescita.

La crisi colpisce la vita degli uomini e delle donne e le politiche che promuovono la parità di genere, ma è difficile prevedere con quali modalità dal momento che la condizione delle donne è cambiata negli anni ed è difficile fare previsioni sulla base di precedenti esperienze di crisi. In apparenza la crisi ha ridotto le disuguaglianze di genere, ma questo trend verso l'uguaglianza non è di segno positivo in quanto è dovuto ad un livellamento verso il basso delle condizioni di vita degli uomini e delle donne: è calata l'occupazione, è aumentata la disoccupazione, sono diminuiti i salari... siamo più uguali perché gli uomini stanno peggio di prima. Il comportamento della popolazione femminile in questa crisi si è avvicinato a quello maschile; le donne non svolgono più il ruolo di “cuscinetto” per l'occupazione, entrando e uscendo dal mercato del lavoro a seconda dell'aumento o della diminuzione della domanda di lavoro. Questo ruolo ora è svolto dalle giovani generazioni di uomini e donne, che lavorano con contratti precari, e dagli immigrati uomini e donne.

Ci sono comunque alcuni fattori della crisi che colpiscono pesantemente le donne, come nel caso delle donne in gravidanza i cui diritti sono stati ridotti e la discriminazione nei loro confronti è divenuta più pesante. La riduzione dei servizi sociali ha comportato un maggiore impegno per il lavoro di cura all'interno delle famiglie, che continua ad essere per buona parte sulle spalle delle donne. E' aumentata la povertà, che ha colpito più gli uomini nella prima fase della crisi essendo i settori a prevalente occupazione maschile i primi ad essere colpiti. Nel campo scolastico e della formazione le conseguenze si sono fatte sentire soprattutto tra gli e le immigrate, i senzatetto e i giovani che lasciano prematuramente la scuola, i cosiddetti drops out, che sono soprattutto ragazzi. Gli effetti dei tagli alla spesa sanitaria colpiscono soprattutto le fasce di popolazione a basso reddito dove le donne sono più numerose.

Uno dei fattori molto diffusi in quasi tutti i Paesi è la scarsa attenzione al diverso impatto che la crisi e le politiche per fronteggiarla hanno avuto e continuano ad avere sulla vita della popolazione a seconda del genere di appartenenza. La “novità” di questa crisi è che, diversamente dal passato, non ha colpito più le donne che gli uomini, ma ha colpito donne e uomini in modi e con intensità diversi.

Il rapporto propone un decalogo di misure per contrastare la crisi che vanno dalla richiesta di attenzione alle politiche del lavoro per le giovani generazioni, che maggiormente soffrono a causa della precarietà che caratterizza i loro rapporti di lavoro, ad un rigoroso sistema di gender budgeting, alla priorità da assegnare alla qualità dei servizi sociali per i quali va superato, eliminandolo, il sistema dei voucher, alla protezione delle diritti delle donne in gravidanza.

Una raccomandazione speciale riguarda l'approccio al tema crisi legato alle politiche di parità: impediamo che si diffonda la convinzione che le politiche che promuovono la parità siano possibili solo in periodi di “vacche grasse”. Tentativi di licenziare con priorità le donne lavatrici per salvare il posto di lavoro ai padri di famiglia è una pratica che si sta diffondendo con un certo consenso. Ma il tempo dei padri di famiglia che portano a casa lo stipendio e delle mogli/madri angeli del focolare riguarda un modello di società che non esiste più.