COSTRUIRE GLI STATI UNITI D’EUROPA PER USCIRE DAI PROBLEMI
contributo di Pia Locatelli al blog Allonsanfan
La crisi e la nuova globalizzazione richiamano in causa la politica. La regolazione dei mercati finanziari, la questione ambientale, la crescita dei paesi emergenti, la distribuzione globale dei costi, tutto questo ci dice chiaramente quanto sia necessario un nuovo assetto politico internazionale, con soggetti in grado di fondare le decisioni e di farle rispettare. Qui sta la grande sfida di un’Europa politica, come si legge nel contributo di Pia Locatelli ad Allonsanfan (http://www.allonsanfan.it)
Alla Unione Europea è stato assegnato il premio Nobel per la pace in quanto “da oltre sessant’anni contribuisce a promuovere pace, riconciliazione, democrazia e diritti umani in Europa”. E’ un riconoscimento meritato perché Stati, che si sono combattuti per secoli e che in soli tre decenni del Novecento sono riusciti a sconvolgere il mondo con due guerre e 60 milioni di morti, hanno scelto liberamente di mettersi insieme, aggregando nel processo avviato dai sei fondatori un numero crescente di Paesi.
Se giustamente è stato dato tanto rilievo a questo miracolo, meno attenzione è dedicata ad un altro miracolo, quello dello sviluppo economico, e non tanto alla crescita della ricchezza prodotta, che è innegabile, ma ad un aspetto forse ancor più significativo: la UE è l’unica realtà economica del mondo in cui le zone periferiche più povere sono cresciute più delle zone ricche centrali; questo è un esempio di come può essere una nuova convivenza.
Il problema è che ad un certo punto di questo percorso virtuoso ci siamo fermati e negli ultimi anni la UE ha “smarrito la via” verso l’integrazione europea, che nelle intenzioni dei padri europei era destinata a costruire gli Stati Uniti d’Europa.
Partiamo da qui per alcune brevi riflessioni.
L’Europa rappresenta un ottavo della popolazione mondiale, produce un quarto del Pil mondiale, spende il 50% della spesa sociale mondiale, è il maggior contributore nel mondo per la politica di cooperazione allo sviluppo. In queste poche cifre è racchiusa la caratteristica della UE: una presenza significativa nel mondo per popolazione e ricchezza ed un caso unico nel mondo per la dimensione sociale delle sue politiche, una caratteristica straordinaria che può reggere solo se avremo più Europa, non meno Europa.
Queste sono le basi da cui ripartire per rimediare agli errori del passato. Errori che risalgono a vent’anni fa quando con il Trattato di Maastricht si adottò l’euro e, invece di attribuire al livello sovranazionale le competenze che servono a dare solidità alla moneta unica, compiendo i passi necessari per dare vita ad un potere pubblico economico europeo, i nostri Stati – che non volevano cedere le responsabilità economica e fiscale al livello superiore – credettero, o fecero finta di credere, che bastasse organizzare la convergenza delle politiche economiche nazionali. Fu una scelta compiuta per salvaguardare poteri e responsabilità nazionali sui propri bilanci, per non cedere, anzi per difendere, la propria sovranità finanziaria.
Il tutto è filato liscio per un po’ di tempo, inizialmente i mercati trattarono tutti i Paesi dell’euro allo stesso modo e lo spread per qualche anno non costituì un problema, ma la crisi finanziaria ed economica ha strappato il velo di questa finzione, rendendo evidente l’errore della mancata cessione di sovranità. Si è corsi ai ripari cercando di rendere vincolanti quelle che un tempo si chiamavano, ed erano, raccomandazioni. Ma l’effetto, duplice, è stato rovinoso. Gli Stati si sono trovati molto più vincolati di quanto non accada in nessuna organizzazione federale e in questo clima, in cui il vincolo e l’obbligo nascono in sede di coordinamento intergovernativo, cioè di pseudo-integrazione orizzontale, ciascuno attribuisce la responsabilità all’altro, perché non c’è un livello federale che assuma la responsabilità politica delle decisioni.
Ci ritroviamo con una Unione Europea disunita come non mai in un momento in cui tante persone in tutta Europa affrontano difficoltà senza precedenti: recessione economica e disoccupazione crescente, aumenti dei prezzi e diminuzione del potere d’acquisto, aumento del rischio di povertà, mancanza di prospettive per i giovani il cui tasso di disoccupazione raggiunge il 50% in più di un Paese…, difficoltà che si aggiungono a sfide che hanno preceduto la crisi attuale e che la rendono ancor più pesante: il cambiamento climatico, la crisi demografica del nostro continente, le minacce alla sicurezza e alla pace… Sfide che la UE ha individuato per tempo ma che non ha saputo affrontare in questi ultimi vent’anni, caratterizzati da politiche sempre più conservatrici e venate da crescenti egoismi nazional-populistici.
A tutto ciò va dato uno stop deciso riprendendo la bussola della integrazione europea verticale, quella vera, quella voluta dagli autori del Manifesto di Ventotene.
Dobbiamo assumere una iniziativa decisa avendo la prospettiva di una Unione politica di natura federale, lanciando quella controffensiva di cui ha parlato il Presidente Giorgio Napolitano in un recente discorso a Venezia dove denunciava che: “è nel complesso dell’Europa quale oggi ci si presenta che la politica è in affanno… in un continente interconnesso come non mai la politica è rimasta nazionale”.
Il cuore del problema e la via della soluzione stanno qui: le politiche nazionali non bastano, anzi sono un inciampo, e dobbiamo riprendere con coraggio e lucidità il percorso verso gli Stati Uniti d’Europa, non c’è soluzione più conveniente e convincente. L’integrazione economica deve andare di pari passo con l’integrazione politica e questa seconda non può non prevedere una evoluzione istituzionale dove la rappresentanza democratica possa esplicarsi pienamente. Dice ancora Giorgio Napolitano: “Oggi i nostri popoli debbono imparare a vivere insieme sotto regole e istituzioni liberamente consentite se essi vogliono attingere le dimensioni necessarie al loro progresso e conservare la padronanza del loro destino”.
Interim Evaluation of European Metrology Research Programme
Rapporto del Gruppo di esperti della Commissione Europea per la valutazione del Progetto di ricerca sulla metrologia
Le donne e il governo del Paese
convegno della Fondazione Nilde Iotti - Roma, 27 aprile 2012
intervento di Pia Locatelli
Mi ha convinta molto la relazione di Claudia Mancina e sono d’accordo con lei su quasi tutto. In particolare condivido l'aver messo in evidenza la necessità di cambiare l’aura attorno ai partiti: va spazzata via la nebbia che li circonda.
Sono invece più incerta relativamente al finanziamento dei partiti. Sono certamente d’accordo sulle condizioni per poter accedere al finanziamento: la certezza dello statuto, il controllo dei bilanci e così via; le mie perplessità riguardano il fatto che il finanziamento pubblico sia attivato dal finanziamento privato, perché a mio avviso si corre il rischio di favorire condizioni di partenza diseguali fra i partiti. Sappiamo tutti che in politica i soldi certamente non fanno tutto, ma determinano molto. Non posso dimenticare ad esempio i milioni messi a disposizione dalla famiglia Moratti nella campagna per l’elezione a sindaca di Letizia Moratti. Ho bisogno quindi di riflettere e approfondire prima di dire se sono o meno d’accordo su questa proposta.
Certamente sono d’accordo che l’antipolitica si vince con la politica e a questo proposito vorrei fare una riflessione sul tema della legge elettorale.
Credo che dobbiamo avere chiaro l’obiettivo sul quale siamo tutte d’accordo: vogliamo una rappresentanza equilibrata rispetto al genere nelle istituzioni, ma non basta.
Quello che invece è meno chiaro, o forse non lo è per niente, è se siamo disposte a sacrificare qualcosa, e che cosa, per questo obiettivo. Per essere chiara pongo una domanda diretta a Claudia Mancina, che so essere sostenitrice del bipolarismo: saresti disposta a rinunciare al bipolarismo se questa fosse una condizione per una presenza equilibrata di donne e uomini in parlamento?
A me pare che noi donne, al di là delle affermazioni di principio sull’importanza dell’equilibrio di genere, non siamo state capaci di coalizzarci su una proposta di sistema elettorale che lo attuasse.
Come esempio di questa nostra incapacità ricordo la riunione, bella, partecipata, di Se Non Ora Quando di alcuni giorni fa a Milano. Si discuteva di legge elettorale e il documento presentato come base di discussione diceva letteralmente:
“In caso di riforma della legge elettorale, noi chiediamo che si preveda la possibilità del 50e50 ai blocchi di partenza. In un sistema di tipo proporzionale con lista bloccata, le liste elettorali dovranno essere paritarie e prevedere la stretta alternanza di candidati uomini e di candidate donne (con attenzione anche alla composizione della testa di lista). In un sistema di tipo maggioritario, chiediamo un meccanismo di individuazione dei collegi uninominali che garantisca un’equa rappresentanza di genere. Chiediamo che la legge contempli delle sanzioni, sino all’inammissibilità delle liste qualora non venissero rispettati questi criteri. Se si andrà invece a votare con il sistema attuale, le donne di Snoq avvieranno un’interlocuzione con tutti i partiti ai vari livelli, nazionale, provinciale, territoriale, per chiedere che ciascun partito costruisca le liste paritarie con stretta alternanza di genere. In questo caso, visto che il Porcellum non prevede sanzioni, la “pena” consisterà nell’indicazione di voto, che Snoq indirizzerà verso le liste “virtuose”, che abbiano cioè recepito contenuti condivisi dai movimenti delle donne.”
Nella sostanza noi non abbiamo espresso la nostra scelta rispetto al sistema elettorale, non abbiamo dato indicazioni rispetto ad un sistema elettorale che consenta di raggiungere l’obiettivo dell’equilibrio di genere nella rappresentanza. Al contrario diamo ad altri (a chi?) la possibilità di fare la scelta e poi ci adeguiamo, proponendo azioni come conseguenza della scelta di fondo, fatta appunto da altri.
Da decenni mi occupo di queste tematiche ma non ricordo che, non dico tutte le donne, ma almeno noi donne di centro-sinistra, ci siamo mai coalizzate per proporre un sistema elettorale che ci avvantaggi.
Guardando l’esperienza di altri Paesi è chiaro qual è: un sistema proporzionale che preveda liste bloccate e collegi ampi. All’interno di queste linee di fondo si possono poi prevede altre azioni, come l’accesso regolamentato ai media o limiti alle spese elettorali. Ben 22 Paesi sui 27 che compongono l’Unione Europea hanno un sistema elettorale proporzionale; 2 hanno un sistema maggioritario, la Francia con doppio turno, la Gran Bretagna a turno unico; in altri 3 c'è un sistema misto. Se mettiamo i 27 Paesi in ordine per presenza femminile, nelle prime posizioni troviamo ovviamente i Paesi nordici, che hanno nelle regole di partito, oltre che nel sistema proporzionale, la chiave per spiegare il successo: i partiti si sono dati la regola delle quote e la rispettano rigidamente. Subito dopo seguono i Paesi – sono 7 – che si sono dati la regola delle quote nelle leggi, quote legali e non, o meglio non solo, quote di partito: il Belgio, la Spagna, la Germania (che però è un caso a parte) e poi la Slovenia, il Portogallo, etc. Molto più in basso nella graduatoria troviamo la Francia, che si è data la regola dell’equilibrio di genere nella presenza con una sanzione pecuniaria a posteriori, perché commisurata agli esiti elettorali: il finanziamento pubblico viene decurtato in modo proporzionale allo squilibrio di genere tra gli eletti e le elette. I partiti francesi, con pochissime eccezioni (i Verdi), hanno preferito pagare le multe, avendo eletto il 18,9% di donne. Se in Italia avessimo la legge elettorale francese, i partiti vedrebbero il rimborso delle spese elettorali decurtato mediamente del 45%.
Ma noi donne cosa vogliamo? Non possiamo limitarci a dire: se altri scelgono questo sistema, allora noi donne avanziamo questa richiesta, se invece la proposta va in una direzione diversa, allora noi chiediamo…. Manca la nostra proposta e manca pure l’indicazione di quali sono le opzioni a cui saremmo disponibili a rinunciare se servisse per conseguire l’obiettivo, e dei principi a cui vanno le nostre preferenze. Io vorrei che avessimo questa chiarezza e questa onestà fra di noi.