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Abbiamo scelto di aprire i nostri lavori con un breve ma intenso filmato, perché le immagini spesso valgono più di mille parole. Sono forse ancora sotto i vostri occhi le foto pubblicate qualche settimana fa sui siti dei maggiori quotidiani di Kheda, la giovane ragazza cecena obbligata al matrimonio con Nazhud, colonnello di polizia che alla sua famiglia aveva detto: «Consegnatemi la ragazza o ve ne pentirete». Kheda ha solo 17 anni, abito bianco, velo, bouquet e occhi sempre bassi. Quello che colpisce è la sua tristezza infinita, muta, disperata.
Quella di Kheda è una delle tante unioni forzate: secondo i dati Onu sono 60 milioni, una cifra che potrebbe salire a 140 milioni entro il 2020 se non si interviene. La maggior parte di questi matrimoni riguarda ragazze giovanissime, spesso bambine al di sotto di 15 anni, in alcuni casi hanno 12 anni, in altri addirittura nove. Sono, infatti, ben 146 i paesi dove le ragazze possono sposarsi al di sotto dei 18 anni e in ben 52 paesi possono farlo anche prima di compiere i 15 anni. Ma anche dove la legge lo impedisce si verificano casi limite di matrimoni combinati con bambine anche di 8 o 10 anni.
Questi matrimoni sono quasi sempre incoraggiati e promossi dalle famiglie come rimedio alla povertà, come mezzo per “liberarsi” delle figlie, considerate un peso, perché “poco produttive”, nella speranza di assicurare loro un futuro migliore, in termini sia finanziari sia sociali.
E’ facile immaginare le conseguenze di quella che io chiamo “pedofilia legalizzata”: violenze, stupri, danni irreversibili per la salute, aborti, spesso, troppo spesso, la morte. Anche la prole da gravidanze precoci ne soffre le conseguenze: chi nasce da una madre-bambina o comunque minorenne ha un’alta probabilità di morire in età neonatale e, anche quando sopravvive, corre maggiori rischi di denutrizione e di ritardi cognitivi o fisici.
Già nel 1994, 179 Governi rappresentati alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo avevano riconosciuto il legame diretto tra matrimoni precoci, gravidanze in età adolescenziale e alti tassi di mortalità materna e sottolineato il ruolo cruciale dell’educazione nelle azioni di prevenzione.
Alle spose bambine sono tolti tutti i diritti: all’infanzia, al gioco, alla spensieratezza, allo studio, all’istruzione, alla possibilità di scegliere, di amare, di decidere della propria vita e del proprio corpo. Schiave di padri prima, di mariti, ma anche di suocere e cognate, poi.
Stanno in Bangladesh, in Ciad, in Guinea, nel Mali, in Mozambico e in Niger dove una ragazza su dieci ha un figlio prima di 15 anni. Stanno nei Paesi in via di sviluppo dove ogni giorno partoriscono 20 mila ragazze sotto i 18 anni. Circa 70.000 perdono la vita ogni anno per complicazioni durante la gravidanza e il parto, mentre i dati attestano che sono 3,2 milioni l’anno gli aborti non sicuri di adolescenti tra i 15 e i 19 anni.
Ma stanno anche vicino a noi, sull’altra sponda del Mare Adriatico e del Mediterraneo, forse un po’ più a sud, o nella stessa Italia dove i dati parlano di 2 mila ragazze, nate nel nostro Paese, ma costrette a sposarsi negli Stati di origine.
Non stiamo parlando, quindi, di una cosa lontana, ma di fatti che ci riguardano direttamente come società civile, come politici, come governo. Per questo motivo l’Intergruppo parlamentare Salute globale e diritti delle donne, che sono stata chiamata a coordinare, insieme ad Aidos, sin dall’inizio di questa legislatura ha sollevato l’attenzione sul dramma di queste ragazze.
Lo abbiamo fatto più volte nel corso degli interventi in Aula, lo abbiamo fatto presentando il 21 luglio dello scorso anno una mozione nella quale si impegnava il Governo “a farsi parte diligente per procedere alla negoziazione della prima «risoluzione di sostanza» sui matrimoni di minori, precoci e forzati in occasione della 69a sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite;
a contribuire a dare impulso e a sostenere a livello globale la campagna per prevenire ed eliminare questa pratica che viola i diritti umani delle bambine con l’impegno e la determinazione già mostrati per la campagna contro le mutilazioni dei genitali femminili;
a sostenere finanziariamente programmi e progetti di cooperazione internazionale volti alla prevenzione e all’abbandono dei matrimoni di minori, precoci e forzati”.
Questa mozione non è stata ancora calendarizzata e discussa e ci auguriamo che questo convegno, grazie anche all’attenzione che i media vorranno dedicargli, possa servire a sensibilizzare l’attenzione di tutti i gruppi parlamentari per accelerarne l’iter.
Nel frattempo il 21 novembre 2014 la 3° Commissione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite ha adottato la prima «risoluzione di sostanza» sui matrimoni di minori, precoci e forzati; questa risoluzione comprende raccomandazioni “di sostanza” sulle quali convergono gli stati membri delle Nazioni Uniti con riferimento ad iniziative da intraprendere da parte di Stati, organizzazioni internazionali ed altri attori.
L’azione per prevenire ed eliminare i matrimoni di minori, precoci e forzati richiede altrettanto impegno di quello profuso nella campagna mondiale per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili e della quale l’Italia si è fatta promotrice in Europa.
La questione dei matrimoni forzati costituisce un ulteriore e non secondario aspetto dell’azione per combattere la violenza di genere e promuovere i diritti delle donne e l’empowerment femminile.
Il nostro Paese, insieme agli altri Stati del gruppo G7 riunitosi a Bruxelles lo scorso anno, ha manifestato la sua determinazione per promuovere la parità di genere, e la piena partecipazione e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze in diverse occasioni. Un impegno che è stato ribadito anche recentemente nel corso della riunione del G7 di Elmau all’inizio di giugno.
Una campagna e un impegno che hanno bisogno di tutti noi. Ringrazio quindi Maria Grazia Panunzi, presidente di Aidos, che è stata la prima a volere questo convegno e insieme lo abbiamo realizzato; Barbara Spinelli dell’onlus Trama di Terre, Maura Misiti del Cnr e dell’onlus Le Onde e la collega Sandra Zampa, vice-presidente della commissione per l’Infanzia che concluderà i lavori.
Prima di dare la parola a Maria Grazia, abbiamo un messaggio di una persona speciale che sin dall’inizio della legislatura ha “imposto” al parlamento un’attenzione sulle tematiche di genere, calendarizzando come primo provvedimento di questa legislatura la Ratifica della Convenzione di Istanbul e poi la legge antiviolenza, promuovendo alla Camera il reading di “Ferite a morte”, battendosi attivamente per il rispetto di un linguaggio di genere. La presidente Laura Boldrini che oggi non è potuta essere qui con noi ha voluto farlo idealmente con queste parole