Atto Camera
Risoluzione in commissione 7-01359
presentato da
testo di
La III Commissione,
premesso che:
dopo due guerre d’indipendenza combattute contro la Federazione Russa, la Cecenia è divenuta una repubblica semi-autonoma sotto il controllo di Ramzan Kadyrov, sostenuta e protetta da Vladimir Putin;
la Repubblica Cecena fa parte della Federazione Russa e condivide con essa gli impegni presi sotto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
un dossier pubblicato nel 2016 dal Memorial Human Rights Center descrive la Repubblica Cecena come uno «Stato totalitario dentro uno Stato»;
il 1° aprile 2017, il giornale russo indipendente Novaya Gazeta ha reso noto che nella Repubblica Cecena sono attivi almeno 6 centri di detenzione illegale dove almeno 100 persone presunte gay sono state detenute illegalmente e torturate;
immediatamente dopo l’annuncio del giornale di opposizione russa, l’agenzia di informazione indipendente Interfax, con sede a Mosca, ha riportato alcune dichiarazioni del portavoce di Kadyrov, Alvi Karimov, che, oltre a negare l’accaduto, poiché in Cecenia «non esisterebbero omosessuali», ha affermato che se esistessero, le autorità non dovrebbero intervenire perché «ci penserebbero le famiglie a mandarli in luoghi da dove non vi è ritorno»;
secondo un rapporto pubblicato nel maggio 2017 da Human Rights Watch, gli arresti illegali di presunti uomini gay sono iniziati alla fine di febbraio 2017, ma altre fonti fanno risalire l’inizio delle persecuzioni al dicembre 2016;
secondo Human Rights Watch alcuni degli uomini arrestati sospettati di essere gay sono stati torturati e quindi «restituiti» alle famiglie, le quali sono state incoraggiate a commettere una sorta di «delitto d’onore»;
Novaya Gazeta afferma di avere prove di almeno 6 persone morte in conseguenza delle persecuzioni delle autorità cecene, ma Elena Milashina, la giornalista autrice degli articoli, ha dichiarato a Huffington Post Italia che le vittime potrebbero essere anche 50;
il 3 aprile 15 mila persone si sono riunite in una moschea di Grozny, capitale della Repubblica Cecena, e hanno condannato Novaya Gazeta perché avrebbe «insultato le fondamenta centenarie della società cecena e la dignità dei ceceni» e che i colpevoli «saranno puniti ovunque si trovino senza limitazioni». In conseguenza di queste e altre minacce Elena Milashina è stata costretta a lasciare la Federazione Russa e vive ora in una località sconosciuta;
il 15 aprile 2017 Jambulat Umarov, ministro della stampa e dell’informazione ceceno, ha chiesto su Instagram a Novaya Gazeta di scusarsi con il popolo ceceno per aver parlato delle atrocità, soprattutto per aver insinuato che possano esistere persone gay in Cecenia, affermazione definita dal ministro come una «lurida provocazione»;
il 21 aprile 2017 il Sottosegretario agli affari del Commonwealth Sir Alan Duncan ha reso note al Parlamento britannico altre dichiarazioni del leader ceceno Ramzan Kadyrov: su una emittente locale avrebbe sostenuto di voler eliminare la popolazione omosessuale cecena entro l’inizio del Ramadan;
in una intervista al leader della Repubblica autonoma cecena andata in onda sul canale televisivo statunitense HBO, Kadyrov – seguitando a negare l’esistenza di persone omosessuali in Cecenia – ha dichiarato: «Non ci sono gay in Cecenia, e se ci sono, portateli via in Canada, per grazia di Allah, lontano da noi, per depurare il sangue del popolo ceceno»;
il Russian LGBT Network ha dato vita a una hotline per raccogliere le testimonianze di sopravvissuti che hanno riferito di essere stati sottoposti ad elettroshock e picchiati con bastoni e tubi di plastica, di essere stati ricattati per mesi e di aver dovuto pagare migliaia di rubli per essere lasciati in vita;
i sopravvissuti hanno denunciato altresì di essere stati utilizzati per intercettare e arrestare altri gay attraverso i loro telefoni cellulari;
riferendo davanti alla Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato e al Comitato permanente sui diritti umani della Camera dei deputati, il 18 e 19 luglio 2017, l’esponente del Russian LGBT Network Igor Kochetkov ha sottolineato con preoccupazione il richiamo, che trova precedenti nella follia nazista, alla «pulizia» delle minoranze sessuali in Cecenia;
l’11 maggio 2017, l’attivista italiano Yuri Guaiana, insieme agli attivisti russi Alexandra Aleksieva, Marina Dedales, Nikita Safronov e Valentina Dekhtiarenko, è stato fermato dalla polizia mentre tentava di consegnare alla Procura generale a Mosca le firme raccolte attraverso una petizione online per sollecitare l’avanzamento dell’inchiesta federale sul pogrom antigay in Cecenia;
il 18 maggio 2017 il Parlamento europeo in una risoluzione ha espresso preoccupazione per queste notizie e condannato le dichiarazioni delle autorità cecene che tollerano o incoraggiano la violenza contro le persone LGBTI. I parlamentari europei chiedono la fine immediata delle detenzioni e delle torture, l’avvio di un’inchiesta in Russia e un contributo alle indagini da parte dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa. Dello stesso tenore è la presa di posizione di alcuni leader europei (tra cui quelli di Germania, Francia e Regno Unito) e dei rappresentanti di varie istituzioni intergovernative, tra cui l’Unione europea, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e le Nazioni Unite;
ad oggi il Russian LGBT Network ha aiutato oltre 60 persone a lasciare la Cecenia, ma secondo Human Rights Watch potrebbero essere rintracciate dalle forze di sicurezza cecene o dai loro familiari e per questo devono vivere nascoste e non possono cercare un lavoro in Russia restando totalmente dipendenti dalle associazioni LGBTI;
secondo il Russian LGBT Network agli inizi di luglio gli arresti sono ripresi,
impegna il Governo:
a porre l’attenzione in tutte le sedi e i fori internazionali, la questione delle violazioni dei diritti umani contro il popolo ceceno e la sua comunità LGBTI;
ad assumere tutte le iniziative necessarie per promuovere forme di collaborazione con le organizzazioni per i diritti umani che danno assistenza alle vittime dei fatti denunciati in premessa, offrendo la disponibilità dell’Italia ad accogliere e ad assistere le vittime e le potenziali vittime del pogrom antigay ceceno.
(7-01359) «Locatelli, Quartapelle Procopio, Pastorelli, Marzano».