RIFORMA COSTITUZIONALE discussione generale 11-4-16
Il Paese ha bisogno di questa riforma e ne ha bisogno da tanto tempo. Infatti, noi socialisti abbiamo posto il tema della grande riforma nel 1979; sono passati 37 anni e il nostro impegno è di portare a compimento questo processo. Tutti, io credo, dobbiamo impegnarci, a partire dal Presidente del Consiglio.
Come abbiamo già detto qui alla Camera, ma anche in altre occasioni, il disegno di legge di riforma costituzionale, che ci accingiamo a votare per l’ultimo passaggio parlamentare, non è propriamente quello voluto dai socialisti: non lo è nei contenuti, migliorati comunque nei passaggi tra Camera e Senato, e non lo è per il metodo. Sarebbe stato senza dubbio meglio, come avevamo proposto ad inizio legislatura, adottare la strada maestra di un’Assemblea costituente che, svincolata dall’esame di altri provvedimenti, avrebbe potuto dedicare più tempo e andare più in profondità, in un clima complessivo di maggiore serenità, pur senza escludere il confronto, se necessario anche aspro. Purtroppo, siamo rimasti gli unici a sostenere la necessità di questo percorso e ne prendiamo atto.
Nel corso dei precedenti passaggi parlamentari abbiamo sollevato dubbi e criticità, ma evidenziato anche la positività – le positività – della riforma, prima fra tutte il superamento del bicameralismo paritario. È soprattutto questo aspetto che ci induce ad esprimere il nostro voto favorevole. Più in dettaglio, sul merito dei contenuti mi soffermerò nel corso della dichiarazione di voto. Oggi intendiamo dire, in particolare al Presidente del Consiglio – e chiedo ai rappresentanti del Governo qui presenti di riferire questa parte del mio intervento –, che siamo preoccupati, molto preoccupati per la sopravvivenza di questa riforma, che deve rispondere a tante obiezioni e critiche, alcune fondate altre certamente meno, ma riforma che deve difendersi da nemici palesi e, paradossalmente, perfino da alcuni suoi sostenitori. Il problema è che il Presidente del Consiglio si è esposto in prima persona e ha strettamente legato l’esito del referendum di ottobre alla durata del suo Governo. Un legame enfatizzato che paradossalmente mette a rischio la riforma stessa, in quanto costituisce una piattaforma unificante tra il fronte di coloro che non ne condividono i contenuti e coloro che vedono nella vittoria del no un’occasione unica per far cadere il Governo Renzi. Il loro obiettivo è assestare un colpo anche al Partito Democratico e all’attuale maggioranza, nell’ottica di un ricambio a Palazzo Chigi o di un ricorso anticipato alle urne. Tra questi anche alcuni di coloro che della riforma condividono i contenuti. Questo fronte è destinato ogni giorno che passa ad ampliarsi e ad irrobustirsi e questo ci preoccupa molto.
Se questa riforma serve al Paese, come noi pensiamo – e serve perché supera il bicameralismo paritario, introduce il Senato delle regioni, stabilisce norme per il riequilibrio della rappresentanza di genere, che sono tutti elementi positivi –, allora essa deve essere approvata a prescindere dalle sorti politiche di Matteo Renzi e del Governo che egli presiede, che naturalmente continuiamo a sostenere lealmente.
Noi socialisti riteniamo che si debba scollegare, per quanto possibile, l’esito del referendum dalla vicenda politica intesa in senso largo, in modo che una vittoria eventuale del no al referendum non significhi una rinuncia alla riforma, ma possa rappresentare un pressante invito a ripensarla, correggerla e modificarla, altrimenti si dovrebbe ricominciare daccapo dopo quasi quarant’anni.
Certo, sarebbe una battuta d’arresto per la maggioranza, ma non affosserebbe automaticamente la riforma. E, allora, trasformare il voto referendario in una sorta di plebiscito personale è un errore che abbiamo già visto fare ai Governi passati – Governo D’Alema docet – e che non porta nulla di buono, non tanto per la maggioranza e per il Governo ma per il Paese. Siamo convinti che questa riforma sia utile e non vorremmo che elettori ed elettrici leggessero il quesito come un voto pro o contro il Presidente del Consiglio, finendo, loro malgrado, per rinunciare ad un traguardo così importante e atteso da così tanto tempo.