PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
MARZANO, ROBERTA AGOSTINI, BRAGA, CAMPANA, CARRA, CULOTTA, GHIZZONI, GIULIANI, GOZI, GRIBAUDO, LAFORGIA, LOCATELLI, MALPEZZI, MARTELLI, MATTIELLO, MAZZOLI, MOGHERINI, MORETTI, MURER, PES, GIUDITTA PINI, ROTTA, SBROLLINI, SCALFAROTTO, SCUVERA, TENTORI, VERINI
Modifiche alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita
Presentata il 25 giugno 2013
Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge è volta a modificare la normativa vigente in materia di procreazione medicalmente assistita stabilita dalla legge n. 40 del 2004, con l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli e i divieti che impediscono oggi a migliaia di coppie di avere figli e di vedere tutelato il loro diritto alla vita familiare, percorrendo le strade che la tecnica e la scienza rendono oggi disponibili. Con la convinzione che una normativa sulle tecniche di fecondazione medicalmente assistita debba tutelare la libertà riproduttiva e debba garantire l’accesso alle tecniche che rendono effettivo il diritto alla vita familiare, tutelato anche dalla Carta europea dei diritti dell’uomo, senza discriminare tra coppie sterili e coppie che sono portatrici di malattie genetiche, tra coppie che possono avere figli grazie ad altre tecniche di fecondazione medicalmente assistita e coppie che possono averne solo ricorrendo alla fecondazione eterologa. Se la procreazione è un diritto, è compito del legislatore rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questo diritto. D’altra parte è la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 151 emessa il 1° aprile 2009, ad avere imposto una parziale riscrittura costituzionalmente orientata della legge n. 40 del 2004, dichiarandone illegittime alcune parti, a cominciare dall’articolo 14, nella parte in cui vieta la fecondazione di più di tre ovociti e impone l’unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti. Una decisione che – annotano i supremi giudici – «si pone, in definitiva, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’articolo 3 della Costituzione, per il pregiudizio alla salute della donna ed eventualmente, come si è visto, del feto ad esso connesso». Stabilire il numero di ovociti da fecondare e il numero di embrioni da impiantare – ha affermato la Consulta – non può che competere al medico in accordo con il paziente e nel rispetto di principi medici che non possono essere definiti a priori dal legislatore. Mentre, come conseguenza, cade anche il divieto alla crioconservazione degli embrioni. Più in generale la Consulta ha stabilito che: «in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali». Si tratta ora di proseguire lungo questa rotta indicata dalla Corte costituzionale, raccogliendo i frutti di una lunga battaglia legale che in quasi dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 40 del 2004, ha prodotto numerose sentenze, una corposa giurisprudenza e due pronunciamenti della Consulta. È a tale battaglia legale che si rifà la presente proposta di legge, scritta con l’obiettivo di rimuovere tutti quei divieti che non consentono al medico, con il consenso del paziente, di operare, nel rispetto dei princìpi medici, le scelte professionali necessarie a raggiungere lo scopo della gravidanza desiderata.
Uno degli ostacoli che la presente proposta di legge si propone rimuovere è il divieto di fecondazione eterologa. Peraltro, proprio su questo punto della legge n. 40 del 2004 è atteso a breve un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale, che dovrà decidere la legittimità o no dell’articolo 4, comma 3, della stessa legge che vieta esplicitamente «il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo». In ragione di questo divieto, dal 2004 nessun centro per la procreazione medicalmente assistita in Italia ha più praticato la fecondazione eterologa, con conseguenze drammatiche per le coppie che solo con questa tecnica possono sperare di avere figli. Secondo l’Osservatorio sul turismo procreativo, solo nel 2011, 4.000 coppie italiane sono andate all’estero per praticare la fecondazione medicalmente assistita. Secondo la Società europea di riproduzione umana ed embriologica (ESHRE), il fenomeno del turismo procreativo riguarda circa 30.000 coppie in tutta Europa: quasi un terzo (32 per cento) sono coppie italiane e di queste il 40 per cento vanno all’estero per aggirare il divieto di fecondazione eterologa che vige in Italia.
Dal 2004, infatti, le coppie che non riescono ad avere figli attraverso le altre tecniche di fecondazione assistita, in Italia si trovano a vivere in questo paradosso: in quanto coppie sterili, la legge n. 40 del 2004, (articolo 4, comma 1) consente loro l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita, però l’unica tecnica che potrebbe consentire loro di avere un figlio dalla stessa legge è vietata. Ma non solo perché la stessa legge si trova in qualche modo a dover comunque normare la fecondazione eterologa, ancorché vietata. «Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3», recita infatti all’articolo 9, comma 1, «il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice». E ancora all’articolo 9, comma 3, è costretta a definire un altro aspetto: «In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi». Insomma, la legge vieta il ricorso alla fecondazione eterologa e contemporaneamente disciplina gli effetti della tecnica stessa.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), chiamata a pronunciarsi sul divieto che vige anche in Austria, ha affermato che il divieto assoluto di fecondazione eterologa crea una «disparità di trattamento» che risulta «discriminatoria, se non ha alcuna giustificazione obiettiva e ragionevole».
La Grande Camera della Corte, il 6 novembre 2011, ha ribaltato la sentenza, riconoscendo agli Stati membri un margine di discrezionalità su questa materia, ma invitandoli anche a rispettare il principio di uguaglianza e la vita familiare nonché a tenere conto dell’evoluzione scientifica e medica delle tecniche di fecondazione assistita e dei mutamenti etico-sociali della comunità.
Nel frattempo, la questione di costituzionalità è stata sollevata anche in Italia. Alcune famiglie che chiedono di accedere alla fecondazione eterologa si sono rivolte alla giustizia italiana, impugnando l’articolo 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004, davanti ai tribunali di Firenze, Catania e Milano. I giudici ordinari, a loro volta, hanno sollevato il dubbio di costituzionalità davanti alla Consulta. Una prima serie di ricorsi fu presentata sulla base di quanto stabilito dalla CEDU a proposito del divieto di fecondazione eterologa in Austria. Dopo la sentenza della Grande Camera con l’ordinanza n. 150 del 2012, perciò, la Consulta ha disposto la restituzione degli atti ai tribunali di Firenze, Catania e Milano, lasciando loro il compito «alla luce della sopravvenuta sentenza della Grande Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria» di «procedere a un rinnovato esame dei termini delle questioni». Trascorsi alcuni mesi, i tre tribunali hanno tutti sollevato nuovamente la questione di costituzionalità davanti alla Consulta, che sarà chiamata a pronunciarsi sull’eventuale violazione dell’articolo 3 della Costituzione, dal momento che in forza del principio di ragionevolezza «il giudizio di legittimità costituzionale del divieto delle norme deve essere compiuto verificando la logicità interna della normativa e la giustificazione oggettiva e ragionevole delle differenze di trattamento».
Dal punto di vista del legislatore anche questo lungo dibattito offre ottime ragioni per tornare sulle norme che regolano la fecondazione assistita. Come suggerisce di fare la presente proposta di legge che, nel ridefinire le tecniche di fecondazione assistita, non ripropone quanto stabilito dall’articolo 4, comma 3, della legge n. 40 del 2004, e interviene a normare la fecondazione eterologa.
Un altro ostacolo alla libertà riproduttiva che questa proposta di legge intende rimuovere è quello che pone le coppie portatrici di malattie cromosomiche o generiche in una sorta di «limbo infernale». Le tecniche di fecondazione assistita, unite alla diagnosi di preimpianto, infatti, consentirebbero loro di mettere al mondo figli che non abbiano la malattia di cui sono portatori. Però la legge n. 40 del 2004 articolo 4, comma 1) prevede che il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita sia «circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico». La legge non fa riferimento alle coppie portatrici di malattie genetiche, fa riferimento alla possibilità di effettuare sull’embrione una diagnosi di preimpianto. Lacuna, questa, che il Ministro della salute aveva tentato di colmare, pochi mesi dopo l’approvazione della legge n. 40 del 2004, con il decreto 21 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 191 del 16 agosto 2004, contenente le linee guida sulla procreazione assistita. «Ogni indagine riguardante lo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’articolo 14, comma 5 (della legge n 40 del 2004) dovrà essere di tipo osservazionale», recitava il decreto, vietando di fatto, con un atto amministrativo, la diagnosi preimpianto. Un divieto inedito, non deciso dal legislatore e non contenuto nella legge n. 40 del 2004, approvata pochi mesi prima. Un ostacolo che ha costretto migliaia di coppie – quelle che potevano permetterselo economicamente – a rivolgersi all’estero, mentre altre, con grandi coraggio e senso civico, si sono rivolte ai tribunali italiani per aver accesso a una tecnica diagnostica riconosciuta come valida alternativa all’aborto dalla stessa organizzazione mondiale della sanità, ma che le linee guida del Ministero avevano messo al bando.
Il tribunale di Cagliari, quello di Firenze e quello di Salerno, uno dopo l’altro, hanno dato ragione alle coppie che hanno impugnato il divieto della diagnosi del preimpianto. Fino alla sentenza del tribunale amministrativo (TAR) del Lazio che, il 21 gennaio 2008, dichiara illegittime le linee guida del 2004 che avevano sancito quel divieto.
Le nuove linee guida adottate con decreto dal Ministero della salute l’11 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008, correggono il tiro, facendo cadere il divieto nella diagnosi di preimpianto. Tuttavia – e occorre sottolinearlo – a distanza di cinque anni, in assenza di circolari e disposizioni più positive da parte del Ministero, la diagnosi del preimpianto non è praticata in nessuno dei centri pubblici presenti in Italia ma solo, a pagamento, nei centri privati. Anche in questo caso il tribunale di Cagliari ha dato ragione a una coppia che, ricorsa alle tecniche di fecondazione assistita perché sterile, di fronte al rischio di trasmettere la talassemia al figlio, aveva impugnato il diniego dell’ospedale di effettuare la diagnosi del preimpianto, in nome del diritto alla salute e alla procreazione. Un diritto che tuttavia, nel caso della fecondazione assistita, appare ancora da conquistare ogni volta nelle aule dei tribunali. Con un dispendio di tempo prezioso per chi vuole mettere al mondo un figlio e che spesso, in questi anni, è arrivato a vedersi riconosciuto il diritto alla procreazione quando ormai era troppo tardi. Come è accaduto a Neris: lei e suo marito hanno scoperto di essere portatori di atrofia muscolare spinale dopo aver messo alla luce Beatrice, una bellissima bambina morta a soli sette mesi. Un anno dopo, era il 2004, l’anno in cui entra in vigore la legge n. 40, Neris e suo marito hanno tentato di avere un altro figlio, pur sapendo che c’era una possibilità su quattro di trasmettergli la stessa malattia che aveva fatto morire Beatrice. Quando la villocentesi ha confermato che di nuovo avrebbero messo al mondo un bambino malato, hanno deciso di abortire. La terza gravidanza – si sono detti – l’avrebbero tentata solo attraverso le tecniche di fecondazione assistita. È allora che hanno scoperto che in Italia la diagnosi di preimpianto non era autorizzata e che le coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche non avevano accesso a queste tecniche. «All’inizio», annota Neris nel suo diario di aspirante mamma, «speravo che la legge fosse fatta così perché i nostri legislatori ci avevano dimenticato. È assurdo che la legge impedisca di usare degli strumenti che ti proteggerebbero dal rischio di far contrarre a tuo figlio la patologia di cui sei portatore. Poi mi sono accorta che era volutamente pensata e scritta per escluderci».
Il 9 gennaio 2010 il giudice Antonino Scarpa del tribunale di Salerno ha riconosciuto a lei e a suo marito il diritto «a conseguire dal centro di medicina della riproduzione di Salerno, (…) l’adempimento contrattuale delle prestazioni professionali consistenti nelle tecniche procreative medicalmente assistite, imposte dalle migliori pratiche scientifiche, di diagnosi di preimpianto degli embrioni da prodursi e di trasferimento nell’utero della Signora di embrioni che non evidenzino la mutazione del gene Sma 1, causativo dell’atrofia muscolare spinale di tipo 1, di cui i ricorrenti sono affetti», condannando peraltro al pagamento delle spese processuali il direttore sanitario del centro di fecondazione in vitro Mediterraneo medicina della riproduzione di Salerno che, in applicazione della legge n. 40 del 2004, aveva negato loro l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita. Sei anni dopo, però, era troppo tardi. E forse anche per questo i tentativi di avere un figlio nel caso di Neris non hanno portato a una gravidanza.
L’obiettivo di questa proposta di legge è quindi di rimuovere gli ostacoli che fino ad ora sono stati rimossi solo dai tribunali, volta per volta, senza poter garantire a tutti coloro che non hanno impugnato la legge n. 40 del 2004 davanti alla giustizia italiana l’uguaglianza nell’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita. Per le coppie portatrici di malattie genetiche, in particolare, superate le linee guida del 2004, l’ostacolo più grande a veder riconosciuto il loro diritto ad avere figli resta la decisione di circoscrivere l’accesso alle tecniche di procreazione assistita «ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico», sancito in questo caso proprio dalla legge n. 40 del 2004, con l’articolo 4, comma 1.
In realtà, una possibile via d’uscita era già stata indicata proprio dalle linee guida riscritte all’indomani della citata ordinanza del TAR del Lazio, tuttora in vigore, ma che il precedente Governo aveva tentato in extremis di riscrivere.
Il citato decreto n. 31639 dell’11 aprile 2008 dà indicazione ai centri di fecondazione medicalmente assistita di tenere conto «di quelle peculiari condizioni in presenza delle quali – essendo l’uomo portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da HIV, epatite B e C – l’elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo l’adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condizione di infecondità, da farsi rientrare tra i casi di infertilità maschile severa da causa accertata e certificata da atto medico, di cui all’articolo 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004». Per questa stessa via dunque «perché non considerare infertili anche le coppie che non mettono al mondo un figlio solo per evitare che nasca malato?», suggerì in una intervista del 30 settembre 2012 Anna Pia Ferraretti, responsabile della Società Italia studio medicina riproduttiva di Bologna. Ennesimo escamotage tentato sul campo, in attesa che il legislatore mettesse mano a una nuova (e più giusta) normativa sulla fecondazione medicalmente assistita. Ora noi abbiamo la possibilità di rimuovere con una legge più coerente e benigna quegli ostacoli che la legge stessa ha creato.
A quasi dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 40 del 2004, è la stessa CEDU che ci invita a farlo e, di nuovo, sono due aspiranti genitori a rimettere in moto la giurisprudenza, Rosetta Costa, classe 1977, e Walter Pavan, classe 1975, portatori di fibrosi cistica B. La loro vicenda è ormai nota. L’unica possibilità che la legge italiana offre loro è tentare una gravidanza per poi ricorrere eventualmente all’aborto terapeutico dopo la villocentesi. Ma loro vogliono accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita. Ecco allora che si rivolgono alla CEDU, invocando il rispetto della vita privata e familiare, sancito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali all’articolo 8. La CEDU, il 28 agosto del 2012, ha dato loro ragione, condannando lo Stato italiano a risarcirli per danni morali. Non solo. «È giocoforza constatare che, in materia, il sistema legislativo italiano manca di coerenza. Da un lato, esso vieta l’impianto limitato ai soli embrioni non affetti dalla malattia di cui i ricorrenti sono portatori sani; dall’altro, autorizza i ricorrenti ad abortire un feto affetto da quella stessa patologia», replicano i giudici della CEDU, invitando lo Stato italiano ad adeguare la legge sulla fecondazione assistita non solo a quanto previsto dalla citata convenzione, ma anche a quanto previsto dalla legge n. 194 del 1978.
Ultimo punto che la presente proposta di legge intende modificare è il divieto contenuto all’articolo 13, comma 1, con cui la legge n. 40 del 2004 dispone che «è vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano». Mentre, all’articolo 14, aggiunge che «è vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194», anche se la Consulta, nel 2009, ha stabilito che, eliminato il limite dei tre embrioni, il divieto di crioconservazione non è assoluto e che dunque gli embrioni possono essere crioconservati per la salute della donna e degli stessi embrioni.
La presente proposta di legge, eliminando questi divieti, intende disciplinare il trattamento e la cessione degli embrioni per la ricerca scientifica, consentendoli solo fino al quattordicesimo giorno, come previsto in Gran Bretagna dal 1990 con lo «Human Fertilization and Embriology Act» che ha appunto consentito la ricerca sugli embrioni fino al quattordicesimo giorno, istituendo un’Autorità alla quale ha affidato il compito di autorizzare e di controllare l’attività di ricerca e di fecondazione assistita.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
«Art. 1. – (Finalità) – 1. La normativa vigente sulla fecondazione medicalmente assistita disciplina il modo in cui la scienza può prestare il suo aiuto per la realizzazione del diritto alla salute e alla genitorialità, conciliando e rendendo compatibili tali diritti con i diritti del concepito, nel rispetto della dignità dell’essere umano».
Art. 2.
Dopo l’articolo 2 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 sono inseriti i seguenti:
«Art. 2-bis. – (Definizione delle tecniche). – 1. Per tecniche di fecondazione medicalmente assistita si intendono tutti quei procedimenti che comportano il trattamento di gameti umani o di embrioni nell’ambito di un progetto finalizzato a realizzare una gravidanza.
Art. 2-ter. – (Tutela dell’embrione). – 1. Per embrione si intende il prodotto del concepimento dal quattordicesimo giorno del suo sviluppo in poi. Nel computo non devono essere considerati i tempi della crioconservazione».
Art. 3.
«Art. 4. – (Presupposti oggettivi). – 1. Il ricorso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita può essere effettuato quando sussistano problemi di sterilità
o di infertilità non adeguatamente risolvibili con altri interventi terapeutici, nonché per la prevenzione delle malattie e delle patologie cromosomiche, genetiche o sessualmente trasmissibili.
Art. 4-bis. – (Diagnosi di preimpianto). – 1. Prima di procedere al trasferimento in utero dell’embrione, su richiesta dei soggetti cui sono applicate le tecniche di fecondazione medicalmente assistita, deve essere effettuata, con la metodologia che, senza danneggiare in alcun modo il prodotto del concepimento, fornisca le maggiori garanzie di accuratezza e di completezza di indagine, una diagnosi in ordine al suo stato di salute e all’esistenza di patologie rilevanti. I dichiaranti devono essere informati del risultato dell’indagine.
Art. 4-ter. – (Fecondazione di tipo eterologo). – 1. I soggetti aventi titolo per accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita con donazione di gameti si sottopongono all’applicazione della tecnica nelle strutture di fecondazione in vitro.
Art. 4-quater. – (Donazione dei gameti). – 1. La donazione dei gameti, per le finalità autorizzate dal presente capo, è un contratto completamente gratuito, stipulato per scritto tra il donatore o la donatrice e la struttura autorizzata. La donazione di gameti avviene nel rispetto e nelle modalità stabilite dalle norme in vigore sulla tracciabilità e sicurezza. Entrambi i contraenti sono tenuti ad adottare ogni cautela per impedire che notizie relative al contratto siano conosciute da parte di terzi non autorizzati.
Art. 5.
«Art. 5. – (Requisiti soggettivi). – 1. Possono accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita soggetti maggiorenni coniugati o conviventi in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».
Art.6.
«Art. 6. – (Consenso informato) – 1. Il medico deve informare in modo dettagliato i soggetti richiedenti in ordine ai metodi, ai problemi, agli effetti collaterali, alle possibilità di successo e alle conseguenze giuridiche derivanti dall’applicazione delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, nonché sui costi economici delle stesse tecniche.
Art. 7.
Art. 8.
«Art. 8. – (Stato giuridico del nato). – 1. I nati a seguito dell’applicazione di tecniche di fecondazione medicalmente assistita, hanno lo stato di figli della coppia che ha chiesto di accedere a tali tecniche.
Art. 9.
Art. 10.
«Art. 13. – (Conservazione, trattamento e cessione di gameti e embrioni) – 1. I gameti e gli embrioni possono essere crioconservati, nelle banche autorizzate, per un periodo massimo di dieci anni. Decorso il termine indicato al primo comma, i gameti e gli embrioni non richiesti dai soggetti da cui derivano restano a disposizione delle banche autorizzate, per i fini consentiti dalla legge.
Art. 11.
«Art. 14. – (Sanzioni). – 1. Chiunque, volontariamente, danneggia o sopprime dopo il quindicesimo giorno un embrione vitale non impiantato, prodotto o pervenuto alla fase embrionale, è punito con la pena prevista dall’articolo 18, primo comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, ridotta di un terzo.
Art. 12.
«3-bis. – La struttura sanitaria è comunque tenuta a garantire l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita tramite il ricorso alla sostituzione del personale sanitario che si è avvalso della facoltà di cui al comma 1».
Art. 13.