22 luglio 2013 Nel secondo anniversario delle stragi di Oslo e dell’isola di Utoya
Prendo la parola in Aula per tentare di sanare una ferita che ha segnato il nostro Paese ed anche il nostro Parlamento. Il 22 luglio 2011, come lei ha detto, Anders Behring Breivik, un fanatico nazionalista xenofobo di estrema destra, uccise con una autobomba otto persone ad Oslo. Poi si recò nell’isola di Utoya, dove trucidò, uno ad uno, 69 giovani laburisti innocenti, disarmati, molti minorenni. Vestito da poliziotto radunò i ragazzi con voce suadente: venite, c’è stato un attentato ad Oslo, vi voglio proteggere. E fu la loro fine.
Il bilancio della mattanza di Utoya fu di 69 morti e 33 feriti. Di solito il numero dei feriti è superiore a quello dei morti, ma non in questo caso. Breivik, con ferocia inaudita, finì i feriti agonizzanti con un colpo alla testa, uno per uno. Ma cosa successe in Italia nel luglio 2011 ? I fatti sono descritti con precisione da Luca Mariani nel suo libro «Il silenzio sugli innocenti».
I media prima percorsero la falsa pista islamica, un riflesso condizionato che deriva dall’11 settembre, ma forse – e sottolineo «forse» – anche un calcolo politico: a molti fa comodo lo scontro di civiltà permanente. Eppure Breivik venne arrestato lo stesso giorno, alle 18,34. Intorno alle 20,30 le notizie di agenzia informavano che lo stragista di Utoya era un uomo alto, bianco, con tratti tipicamente scandinavi. Ma questo non frenò la grande parte dei media, che seguì false rivendicazione e fornì una visione distorta della realtà.
Con il passare delle ore i fatti divennero chiari: Breivik uccise 69 giovani laburisti per estirpare alla radice il laburismo norvegese. Lui odia gli immigrati, in particolare quelli musulmani, il multiculturalismo e l’Unione europea. Ai suoi occhi i laburisti e i socialisti europei sono traditori, perché non odiano gli immigrati, non odiano il multiculturalismo, non odiano l’Unione europea. Usò una metafora per spiegare la sua idea, quello stragista: quando c’è una perdita di acqua in un bagno – scrive Breivik nel suo manifesto politico – prima si ripara la perdita (i multiculturalisti, cioè i laburisti), e poi si tira su l’acqua (gli immigrati).
I media presto misero questi fatti nel dimenticatoio. Dal 24 luglio 2011 in poi, nessun quotidiano italiano, eccetto il cattolico Avvenire, scrisse in prima pagina gli aggettivi «socialista» o «laburista». Si preferì parlare di un pazzo che aveva ucciso dei campeggiatori. Nessuno evidenziò che a Utoya, da decenni, si riuniscono i giovani socialisti di tutta l’Europa. Willy Brandt ci andò quando portava i calzoncini corti. Fu una strage politica e Breivik, con sentenza definitiva del tribunale di Oslo, è stato dichiarato, nell’agosto 2012, perfettamente capace di intendere e di volere.
Il 27 luglio 2011, cinque giorni dopo le stragi norvegesi, in questa aula ci fu un breve dibattito.
Intervennero deputati di tutti i partiti (PD, PdL, Lega Nord, IdV, UdC, API). Nessuno di loro pronunciò mai – ripeto: mai – gli aggettivi socialista o laburista. Si volle rimuovere il significato chiaramente politico di quei fatti. Il PSI nel 2011 non era presente in Parlamento, oggi sì e oggi spetta proprio al Partito Socialista Italiano porre rimedio ad un’omissione che non fa onore al nostro Paese. Fu una strage politica contro il laburismo, contro il socialismo, contro il multiculturalismo, contro l’Unione europea.
Mario Borghezio, ancora eurodeputato della Lega Nord, definì le idee di Breivik in qualche caso ottime. Ebbene, nella primavera 2014 voteremo per il rinnovo del Parlamento europeo. Noi socialisti, compagni dei laburisti norvegesi, ci impegneremo con tutte le nostre forze affinché i movimenti antieuropeisti restino ai margini della politica europea e ci impegneremo con tutte le nostre forze per favorire l’elezione del socialista Martin Schulz alla Presidenza della Commissione europea. Sarà il nostro contributo per far sì che quei giovani non siano morti invano