Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge riproduce le idee e le disposizioni normative elaborate da un gruppo di lavoro per una nuova legge sulle immigrazioni.
Il gruppo di lavoro è stato promosso e coordinato dall’onorevole Andrea Maestri e ad esso hanno apportato contributi l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), la CGIL nazionale, la CISL nazionale, la UIL nazionale, la Società italiana della medicina delle migrazioni (SIMM), il Centro interdisciplinare scienze per la pace dell’università degli studi di Pisa e il Centro studi sull’immigrazione (CESTIM) di Verona.
Alle riunioni del gruppo svoltesi a Roma nei giorni 5 aprile, 17 maggio, 27 ottobre e 15 dicembre 2016, 16 gennaio, 9 febbraio e 24 maggio 2017 hanno partecipato attivamente:
Paolo Bonetti (professore associato confermato di diritto costituzionale nell’università degli studi di Milano-Bicocca e
delegato per le riforme legislative dell’ASGI);
Selly Kane e Kurosh Danesh (responsabili delle politiche sull’immigrazione della CGIL nazionale);
Liliana Ocmin (responsabile del Dipartimento politiche migratorie, donne e giovani della CISL nazionale);
Giuseppe Casucci (responsabile del Dipartimento politiche migratorie della UIL nazionale);
Pierfranco Olivani (delegato dalla SIMM);
Federico Oliveri (ricercatore aggregato del Centro interdisciplinare scienze per la pace dell’università degli studi di Pisa);
Carlo Melegari (CESTIM);
Enrico Varali e Beatrice Rigotti (avvocati del CESTIM e dell’ASGI);
Stefano Catone.
I. INTRODUZIONE GENERALE SULL’IMMIGRAZIONE STRANIERA IN ITALIA E SULLE POLITICHE MIGRATORIE ITALIANE ED EUROPEE A LIVELLO NORMATIVO E AMMINISTRATIVO.
In Italia, Paese di grande emigrazione per centoventi anni, l’immigrazione straniera è iniziata almeno dal 1974, ma è cresciuta intensamente, arrivando al 1° gennaio 2016 a 5.026.153 stranieri residenti, di cui 3.931.133 cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea (UE), dei quali 2.338.435 (oltre il 59,5 per cento) sono lungo soggiornanti da più di cinque anni e ben il 24 per cento sono minori.
L’immigrazione straniera in Italia è già dal 1974 un fenomeno strutturale e ordinario che ha profondamente modificato il sistema sociale ed economico nazionale, ma che non è stato previsto e governato perché la maggioranza della popolazione, dei poteri pubblici e delle varie forze politiche non ha saputo né voluto attuare un’effettiva politica di governo della realtà, continuando a trattarla come un fenomeno momentaneo da gestire con provvedimenti di carattere episodico o emergenziale o con periodiche «sanatorie» degli ingressi irregolari (ma sempre ostacolando un regolare ingresso per lavoro), o come una minaccia alla sicurezza (con poche eccezioni dovute all’obbligatoria attuazione di direttive dell’UE e alla libertà di circolazione e soggiorno spettante ai cittadini degli altri Stati membri dell’UE), in ogni caso negando un adeguato finanziamento alle politiche di interazione sociale dei cittadini stranieri.
La stessa disciplina organica della condizione dei cittadini stranieri non dell’UE, disposta soltanto nel 1998 con il testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, è stata attuata dai vari Governi in modo inadeguato, poi più volte modificata a partire dal 2002 al solo fine di reprimere gli ingressi e i soggiorni irregolari, ma senza meccanismi che consentano l’ingresso regolare degli immigrati, essendo fondata sull’anacronistico sistema dell’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro.
Nel contempo è mancata una serena e approfondita riflessione sociale sulla realtà migratoria in Italia, e sulle cause stesse delle immigrazioni.
È indubbiamente lungo l’elenco delle ragioni, ulteriori o che si aggiungono al desiderio individuale, per cui le persone decidono di dare corso a un progetto migratorio muovendosi da un territorio. Tra esse ritroviamo certamente conflitti bellici, la grave destabilizzazione sociale in molti Stati caratterizzati da regimi dittatoriali o fortemente repressivi o nei quali il sistema formalmente democratico non è in grado di garantire effettivamente le libertà primarie e sociali, le conseguenze delle politiche coloniali degli Stati europei dei secoli scorsi, la spoliazione delle risorse naturali del continente africano, la crescita demografica, i fattori climatici e quelli ambientali.
In questo contesto è particolarmente difficile individuare «la causa» della scelta di migrare, perché sempre più spesso sono fattori multipli nella vita di un individuo o di un gruppo sociale a determinare tale scelta. È, per questo, impossibile oggi tracciare un confine netto tra migrazioni per motivi economici e migrazioni per motivi legati alla ricerca di una forma di protezione,
perché molto spesso le cause della povertà individuale o sociale da cui si fugge si fondano a loro volta su forme di persecuzione in danno di individui o gruppi sociali.
È evidente, tuttavia, che sempre più marcata si fa la sproporzione tra lo sviluppo economico del mondo occidentale e l’aggravarsi della povertà in molte altre parti della terra, ciò che determina (come storicamente sempre avvenuto nella storia dell’essere umano) il movimento di persone da zone con minori prospettive di crescita individuale e sociale a zone ove può apparire possibile la realizzazione di una condizione migliorativa.
La globalizzazione delle merci e delle produzioni, che è tanto necessaria al sistema economico dei Paesi ricchi, in costante ricerca di mercati nei quali vendere i prodotti e nei quali creare consumatori, non va di pari passo con il diritto al movimento delle persone.
Alla libertà della migrazione delle merci non corrisponde il riconoscimento di un analogo diritto di movimento delle persone, neppure quando la guerra per il potere economico o politico in un dato territorio avviene nelle forme più tradizionali: con le armi.
A queste scelte, di natura politica, corrispondono chiari indirizzi legislativi e politiche del diritto in materia di immigrazione e di asilo in Europa e in Italia.
Perciò non è assolutamente un caso se, all’interno dell’UE, la questione dei movimenti migratori sia esplosa negli ultimi anni in maniera dirompente: i fattori causali che hanno comportato il dirigersi dei flussi migratori verso l’Europa sono stati accompagnati da una politica europea proibizionistica nei confronti degli ingressi regolari per lavoro.
È indispensabile aspirare a un modello basato sulla libera circolazione delle persone, che rappresenta la giusta risposta alle istanze democratiche egualitarie su cui si fondano tutte le moderne democrazie del mondo.
L’UE deve abbandonare l’attuale politica di chiusura nei confronti delle migrazioni economiche, così come da ultimo sintetizzata nell’Agenda europea sulle migrazioni del maggio 2015.
Al contempo, l’UE e ogni singolo Stato devono interrompere le politiche di finanziamento di quei Paesi nei quali vi sono seri indizi di violazione delle libertà e dei diritti umani, secondo i princìpi costituzionali.
Il progressivo raggiungimento di un modello basato sulla libera circolazione consentirebbe, tra l’altro, la naturale contrazione della richiesta di protezione internazionale. Ma soprattutto gradualmente contribuirebbe in modo determinante all’affermazione di politiche economiche internazionali più eque che circoscrivano il perpetrarsi delle cause principali dei grandi flussi migratori: radicali impoverimenti di Paesi politicamente più fragili, conflitti nazionali e internazionali etero-determinati da forze economiche straniere e catastrofi ambientali conseguenti a uno sconsiderato sfruttamento delle risorse da parte di imprese multinazionali.
L’Italia, nei limiti di autonomia consentiti dal diritto europeo, può e deve rappresentare uno stimolo per l’intera UE nella direzione descritta.
In Italia dal 2007 soggiorna anche una cospicua quota di cittadini di altri Stati membri dell’UE che devono ricevere un trattamento sostanzialmente identico rispetto ai cittadini italiani e che possono essere allontanati dal territorio italiano soltanto in casi eccezionali. Tuttora, malgrado la progressiva attuazione delle norme dell’UE e importanti sentenze delle Corti italiane ed europee, molte norme italiane sulla condizione dello straniero sono illegittime per la violazione di norme costituzionali, internazionali e dell’UE e spesso il linguaggio politico sembra considerare l’immigrazione come uno strumento di polemica politico-elettorale o di contrapposizione sociale, talvolta con accenti xenofobi o razzisti.
Pari inefficacia e disattenzione hanno avuto le norme concernenti il diritto di asilo, riconosciuto direttamente dalla Costituzione (articolo 10, terzo comma) ed è solo dal 2008, per effetto di direttive dell’UE, che l’Italia si è dotata di un corpo normativo specifico, mentre le misure di accoglienza dei richiedenti asilo restano inadeguate in quantità e qualità rispetto agli obblighi europei e al crescente numero delle persone in fuga da conflitti e persecuzioni, il che ha ripetutamente comportato drammatiche situazioni emergenziali durante gli esodi di massa di persone in fuga dai conflitti e dalle persecuzioni provenienti dal nord Africa e dal Medio oriente, dapprima fronteggiati dall’Italia con illegittimi respingimenti in mare (come tali condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2012), poi lasciati al traffico di persone che ha causato migliaia di morti in mare, cessate soltanto dopo l’intervento militare umanitario italiano dell’operazione Mare nostrum che dal 18 ottobre 2013 al 30 ottobre 2014 ha salvato 150.000 persone, delle quali poi però molte decine di migliaia sono state scoraggiate dal chiedere asilo all’Italia dall’inadeguatezza del sistema generale di accoglienza, riformato soltanto dall’ottobre 2015. In ogni caso nel 2014 e fino all’ottobre 2015 le domande di asilo presentate in Italia hanno superato le 64.000 annue, il che ha confermato l’inadeguatezza del sistema di protezione per richiedente asilo e rifugiati, i cui posti di accoglienza alla fine del 2015 erano soltanto 32.000, a cui si sopperisce tuttora con quasi 70.000 posti in strutture emergenziali inadeguate. Occorre ricordare che questa imprevidenza fu il pretesto fino al 2012 per attivare procedure emergenziali con cui si è derogato alle normali procedure di appalto per la gestione delle strutture di accoglienza, il che ha consentito alla criminalità organizzata di infiltrarsi nella loro gestione, togliendo preziose risorse utili ad assistere la condizione di queste persone più vulnerabili ed indifese.
Nonostante tali carenze politiche e legislative gli stranieri rappresentano una realtà strutturale della società italiana: sono inseriti nel mondo del lavoro (malgrado la crisi nel 2013 i cittadini non appartenenti all’UE impiegati regolarmente erano giunti a circa 2,5 milioni, pari a un decimo dell’occupazione totale), nel settore imprenditoriale (9,1 per cento), nelle scuole (gli alunni stranieri sono il 4,1 per cento degli alunni e quasi metà di loro sono nati in Italia) e contribuiscono allo sviluppo economico e sociale, tanto che soltanto grazie a loro è cresciuta la popolazione italiana (tra il censimento del 2001 e quello del 2011 i cittadini italiani sono diminuiti di oltre 250.000, mentre i cittadini stranieri sono aumentati di 2.694.256 unità). Perciò gli stranieri in Italia sono soprattutto i milioni di persone regolarmente soggiornanti da lungo tempo, delle quali però si parla meno nel dibattito pubblico rispetto alle decine di migliaia di nuovi immigrati.
Ciò significa che oggi il primo tipo di nuove norme deve occuparsi del trattamento dei 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia favorendone l’interazione sociale.
Inoltre è prevedibile nei prossimi decenni l’ingresso in Italia di un ulteriore notevole numero di cittadini stranieri, sia a causa della possibilità di occupare nuovi posti di lavoro, sia a causa del crescente flusso di fughe da situazioni di persecuzione o di violenza generalizzata derivante da conflitti interni e internazionali e tali ingressi sono favoriti dall’invecchiamento e dal drastico calo delle nascite in Italia e dalla facilità oggettiva di ingresso (l’Italia ha 8.000 chilometri di coste su un mare navigabile e vicino a Stati in grave crisi politica ed economica).
Perciò il secondo tipo di nuove norme deve consentire di governare in modo efficace e lungimirante i nuovi ingressi e soggiorni dei cittadini stranieri evitando restrizioni illegittime, in ogni caso inumane o illusorie, e prevenendo impreparazioni e tensioni.
La legislazione italiana e le conseguenti azioni amministrative dovranno essere pertanto adeguate sia per garantire effettivamente gli ingressi per chiedere e ottenere il diritto di asilo o per esercitare il diritto al riacquisto dell’unità familiare, sia per regolare gli ingressi per motivi di lavoro o di studio.
L’alternativa attuale non è perciò quella tra fare cessare l’immigrazione straniera (che, oltre che materialmente impossibile, violerebbe i diritti fondamentali garantiti a livello costituzionale, internazionale ed europeo all’asilo, all’unità familiare degli stranieri regolarmente soggiornanti e alle garanzie della libertà personale operando respingimenti o espulsioni indiscriminati e sarebbe contraria agli interessi economici e sociali dell’Italia e degli Stati europei in forte crisi demografica) ed eliminare ogni controllo ai confini (che tenderebbe più inefficace la prevenzione dei rischi per la sicurezza di tutti, violerebbe gli obblighi derivanti dall’appartenenza all’UE e non consentirebbe di programmare e redistribuire le risorse anche a tutti gli stranieri per assicurare loro un trattamento dignitoso e possibilmente egualitario).
La vera alternativa è quella tra la prosecuzione dell’attuale politica italiana ed europea di deterrenza e contenimento dei flussi migratori illegali in un contesto di drastica limitazione degli ingressi regolari (opzione finora attuata che è però poco efficace ed economicamente costosa, anche se forse appare talora politicamente meno costosa nel breve periodo) e l’avvio di una nuova politica di stabilizzazione dei canali di accesso regolari all’Italia e all’Europa (presupposto necessario per una gestione ordinata e sostenibile di tutti i tipi di flussi di migranti, economici, familiari, politici e umanitari).
Pertanto, è a partire da questi dati oggettivi che occorre una profonda riforma della disciplina in materia di immigrazione, di asilo e di cittadinanza.
A) In relazione al governo delle migrazioni, è indispensabile – da parte dell’UE e ancora prima da parte dello Stato italiano – l’immediata introduzione di:
canali di libero ingresso per ricerca di lavoro, basati sulle garanzie economiche rese da singoli o da imprese o comunque individuando misure economiche effettive e adeguate di rimpatrio assistito nel caso che, decorso un determinato periodo di tempo, la persona non abbia reperito un’attività lavorativa;
forme di regolarizzazione permanente, in modo da garantire in via ordinaria agli stranieri non regolarmente presenti sul territorio nazionale il rilascio di un permesso di soggiorno in tutti i casi in cui, in assenza di pericolosità sociale, dimostri di avere solidi legami familiari o socio-economici con il territorio, quali ad esempio lo svolgimento di attività lavorativa, oppure che siano privi di legami con i propri Paesi di origine;
più ampi meccanismi di ricongiungimento familiare, quanto meno nei casi in cui vi sia una comprovata capacità economica di primo sostegno da parte dei soggetti residenti in Italia;
meccanismi che effettivamente privilegino al rimpatrio coercitivo l’uso del rimpatrio volontario o altre misure alternative;
norme che conducano a una progressiva e tendenziale parità di trattamento con i cittadini, in tutti i diritti civili e sociali, con l’attribuzione dell’elettorato alle elezioni amministrative ai cittadini stranieri non appartenenti all’UE alle medesime condizioni dei cittadini dell’UE e un ampliamento dei casi di acquisto della cittadinanza;
un’autorità indipendente per la tutela dei diritti umani competente anche a contrastare le discriminazioni;
norme volte a rafforzare la tutela dei minori stranieri non accompagnati e il contrasto della tratta di esseri umani privilegiando un approccio di tutela e rafforzamento della condizione socio-giuridica delle vittime e non solo meramente repressivo.
B) In relazione al diritto di asilo, l’UE deve, anzitutto, desistere dalle più recenti politiche di ostilità intraprese nel corso degli ultimi due anni e che, da ultimo, hanno condotto al cosiddetto Accordo UE-Turchia del 18 marzo 2016, e a sostenere inqualificabili scenari di collaborazione con Paesi dittatoriali e violenti come la Libia. L’UE deve:
rafforzare in modo consistente le operazioni di soccorso in tutte le frontiere esterne all’UE;
prevedere la possibilità di rilascio di un visto di ingresso nei Paesi di origine o di transito in relazione a conflitti armati o a gravi violazioni dei diritti fondamentali per
aver accesso alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale;
predisporre un ampio piano di reinsediamento, vincolante per tutti i Paesi dell’UE, delle persone in fuga dai luoghi nei quali sono in corso conflitti armati o diffusi ovvero gravissime violazioni dei diritti fondamentali;
modificare il cosiddetto Regolamento di Dublino, ristrutturandolo sulla base del principio del diritto di asilo europeo, secondo cui il richiedente asilo rivolge la sua domanda di protezione all’UE (asilo europeo) e non a un singolo Stato. In quest’ottica, al fine di determinare il Paese competente, la distribuzione dei richiedenti secondo quote vincolanti va realizzata tenendo prioritariamente conto della volontà del richiedente, della presenza di familiari o di legami culturali con uno Stato membro e dell’esistenza di ragioni umanitarie;
nel riformare la direttiva dell’UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo occorre introdurre disposizioni volte ad accelerare i processi di integrazione sociale effettiva dei richiedenti asilo e vincolare gli Stati ad adottare standard di accoglienza più rigorosi che evitino quanto più possibile il ricorso a misure di trattenimento nonché a strutture di accoglienza le quali, anche per la loro ubicazione e dimensione, isolino i richiedenti asilo dalla popolazione locale;
nell’adottare il nuovo regolamento dell’UE sulle qualifiche degli stranieri destinatari di protezione internazionale occorre:
a) uniformare non al ribasso i tempi di durata dei permessi di soggiorno conseguenti al riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria, prevedendo un diritto di soggiorno di durata ampia; ciò al fine di non dovere rivedere la posizione giuridica dell’interessato con tempi irragionevolmente brevi rispetto agli eventuali cambiamenti avvenuti nel Paese di origine, appesantendo inutilmente le procedure amministrative, nonché di consentire al titolare di protezione di godere di un tempo congruo per realizzare un percorso di autonomia sociale, abitativa e lavorativa;
b) stralciare del tutto o comunque rivedere in profondità, restringendone la portata, la nozione di «protezione interna» finora positivamente non presente in alcuni ordinamenti nazionali come quello italiano, dal momento che detta nozione, come attualmente formulata, si presta a gravi e irragionevoli restrizioni dell’esercizio del diritto alla protezione internazionale e la sua applicazione si traduce concretamente nel rischio di rimpatrio del richiedente senza che sussistano adeguate condizioni di dignità e sicurezza;
c) introdurre l’obbligo per gli Stati di assicurare misure di accoglienza (o interventi economici di supporto aventi finalità analoghe) per i titolari di protezione internazionale nella fase immediatamente successiva al riconoscimento giuridico della protezione stessa;
nell’adottare il nuovo regolamento dell’UE sulle procedure di esame delle domande di protezione internazionale occorre:
a) rafforzare i diritti del richiedente protezione internazionale, anche prevedendo il diritto all’assistenza e alla rappresentanza legale gratuite già nel corso della procedura amministrativa;
b) restringere la portata di istituti giuridici quali la nozione di Paese terzo sicuro e quella di Paese di origine sicuro, che possono violare assai seriamente il diritto del richiedente asilo di accedere a una protezione effettiva nell’UE.
C) È inoltre indispensabile da parte dell’UE e ancora prima da parte dello Stato italiano:
garantire a chiunque giunga in Europa un accesso effettivo e non discriminatorio alla procedura di asilo, abbandonando l’illegittimo approccio hotspot;
ampliare le possibilità di ricongiungimento familiare per tutti i cittadini stranieri provenienti da un Paese che versa in una situazione di conflitto armato o di conflitto diffuso;
cancellare qualsiasi accordo teso a dichiarare Paese terzo sicuro o Paese di
primo asilo la Turchia o altri Paesi dove non sono garantiti i diritti fondamentali e il diritto a non essere respinto in Paesi dove esista pericolo di essere sottoposti a trattamenti disumani.
In particolare nella legislazione italiana occorre una strategia complessiva che comporti la revisione e l’accorpamento delle norme in materia di diritto degli stranieri, asilo, cittadinanza e apolidia per renderle conformi con le norme costituzionali, internazionali e dell’UE e mirare a tre obiettivi collegati:
1) l’inclusione sociale dei 5 milioni di cittadini stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia, con una progressiva e tendenziale parità di trattamento con i cittadini, in tutti i diritti civili e sociali, con il rafforzamento delle azioni di prevenzione e di tutela contro lo sfruttamento lavorativo, con l’attribuzione dell’elettorato alle elezioni amministrative ai cittadini stranieri non appartenenti all’UE alle medesime condizioni dei cittadini dell’UE, con un ampliamento dei casi di acquisto della cittadinanza italiana che consenta un pieno riconoscimento delle aspirazioni dei nuovi cittadini e con l’istituzione di un’autorità indipendente per i diritti umani competente anche a contrastare le discriminazioni;
2) l’effettiva garanzia del diritto a un regolare ingresso e soggiorno nel territorio italiano, diritto di cui sono titolari tanti cittadini stranieri (cittadini dell’UE e loro familiari, titolari del diritto d’asilo e del diritto all’unità familiare e titolari di permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo), con particolare riguardo all’effettiva tutela dei minori stranieri, per il concreto esercizio del diritto all’unità familiare e per l’effettiva realizzazione di un nuovo sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, nonché una nuova disciplina degli ingressi e soggiorni in Italia che sia realistica rispetto agli effettivi flussi migratori per lavoro e riformi il sistema dei titoli di soggiorno, il cui rilascio e rinnovo devono essere trasferiti ai comuni, e abroghi l’Accordo di integrazione;
3) la riduzione al minimo degli ingressi e soggiorni irregolari, con il contrasto effettivo di ogni forma di lavoro irregolare e di tratta delle persone, con forme di regolarizzazione permanente e con provvedimenti di rimpatrio volontario, con una riforma dell’intera disciplina degli allontanamenti, privilegiando forme alternative al rimpatrio coercitivo, che pregiudica la dignità umana oltre a essere inutilmente dispendioso, in attuazione del diritto europeo, in modo che si rendano residuali provvedimenti coercitivi, da adottare soltanto nei limiti consentiti dalla Costituzione, dalle norme dell’UE e dalle norme internazionali.
II. LA SINTESI DELLA RIFORMA LEGISLATIVA PROPOSTA.
Nell’ambito di questi tre obiettivi collegati le specifiche modifiche proposte riguardano alcune aree della condizione giuridica dei cittadini degli Stati non appartenenti all’UE:
I. ingressi;
II. titoli di soggiorno;
III. unità familiare e minori;
IV. allontanamenti;
V. discriminazione;
VI. pari opportunità e diritti sociali;
VII. tutela delle vittime di tratta, di violenza e di grave sfruttamento (lavorativo o sessuale);
VIII. equa procedura e omogeneità della competenza giurisdizionale;
IX. elettorato amministrativo.
Invece i temi del diritto di asilo, della cittadinanza e delle minoranze rom e sinti non fanno parte della presente proposta di legge, perché già sono oggetto di distinti testi di riforma legislativa rispettivamente nell’ambito delle proposte di decreti legislativi correttivi del decreto legislativo n. 142 del 2015 in materia di asilo inviate nel novembre 2016 al Ministero dell’interno dalle associazioni aderenti al Tavolo nazionale
asilo e nell’ambito dei disegni di legge già all’esame del Parlamento in materia di cittadinanza italiana (Atto Senato n. 2092) e di rom e sinti.
Si precisa che le disposizioni della proposta di legge prevedono in grande maggioranza modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, di seguito «testo unico», ma anche modifiche di altre norme, incluso il codice penale.
Pertanto la presente proposta di legge prevede la riforma delle norme italiane in materia di immigrazione e diritto degli stranieri per raggiungere gli scopi generali di seguiti elencati.
1. Diversificare e semplificare gli ingressi.
Occorre anzitutto modificare le norme sugli ingressi regolari per lavoro attraverso l’introduzione del visto di ingresso per ricerca lavoro e del corrispondente permesso di soggiorno che consenta la permanenza in Italia per un periodo annuale e possa essere convertito alla sua scadenza in permesso per lavoro. Tale nuovo sistema va accompagnato da adeguate forme di incentivo al rimpatrio assistito nel caso in cui il progetto migratorio individuale non si traduca in inserimento socio – lavorativo.
Accanto all’ingresso per ricerca lavoro (eventualmente limitato quantitativamente), andrà ripristinato il sistema di ingresso per lavoro a seguito di chiamata nominativa da parte di un datore di lavoro residente in Italia. Tale ipotesi, ovviamente scollegata da limiti quantitativi, accompagnata a quella dell’ingresso per ricerca di lavoro, contrasterebbe l’irregolarità del soggiorno e le principali distorsioni che ne derivano (sfruttamento lavorativo, incapacità contrattuale, evasione fiscale e contributiva, vulnerabilità e «invisibilità» delle persone eccetera).
Il contesto citato è volto al superamento complessivo dell’anacronistico e inefficace sistema di ingressi legato alla programmazione di flussi annuali, attualmente in uso, ma privo di alcuna effettiva capacità regolativa dei flussi migratori. Nell’eventuale fase di transizione l’attuale sistema di ingressi dovrebbe comunque essere caratterizzato dall’obbligatorietà, in capo al Governo, di emanare annualmente il decreto flussi in misura effettivamente corrispondente alle esigenze occupazionali delle singole regioni, basato su differenti criteri di attribuzione delle quote e in grado di assicurare in tempi rapidi l’ingresso del lavoratore straniero (anche grazie all’inserimento di meccanismi di silenzio-assenso).
Occorre, poi, semplificare le procedure per il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche conseguiti all’estero e garantire sempre la restituzione dei contributi versati in Italia in caso di definitivo rientro in patria senza diritto a pensione.
2. Semplificare i titoli di soggiorno e introdurre un meccanismo di regolarizzazione ordinaria.
Tale semplificazione deve essere prevista per ogni singolo straniero già presente in Italia che dimostri lo svolgimento di un’attività lavorativa o importanti legami familiari o affettivi. Inoltre è necessario assicurare la convertibilità di tutti i tipi di permessi di soggiorno, trasferire ai comuni la competenza in materia di rinnovo del titolo di soggiorno, abolire l’accordo di integrazione, la tassa sul permesso di soggiorno e ogni automatismo preclusivo al mantenimento del titolo di soggiorno.
3. Rafforzare la tutela dei diritti dei minori e il diritto al ricongiungimento familiare.
Questo può essere realizzato consentendo delle parziali deroghe ai requisiti reddituali e abitativi, stabilendo per i genitori gli stessi requisiti previsti per il coniuge e favorendo la regolarizzazione dei familiari che vivono già in Italia senza titolo di soggiorno. Inoltre è necessario garantire a tutti i minori parità di diritti a prescindere dalla nazionalità e dalla condizione giuridica dei genitori, assicurare anche ai minori con genitori non autorizzati il rilascio di un titolo di soggiorno,
stabilire un sistema uniforme e scientificamente rigoroso per l’accertamento della minore età e un sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati adeguato a garantire i loro diritti, assicurare il diritto al rilascio del titolo di soggiorno al raggiungimento della maggiore età in presenza dei soli requisiti lavorativi e abitativi o per studio.
4. Limitare l’uso delle espulsioni solo per le violazioni più gravi e incentivare il rimpatrio volontario e chiudere i centri di permanenza temporanea per il rimpatrio attualmente esistenti.
Ciò è necessario perché l’attuale disciplina del trattenimento viola le norme costituzionali, internazionali ed europee. Si deve pertanto garantire che ogni forma di limitazione della libertà personale sia disposta da un giudice professionale (e non più dai giudici di pace) al pari di quanto previsto per tutti i cittadini italiani e che l’identificazione delle persone socialmente pericolose avvenga durante la detenzione in carcere e non più disponendo un nuovo e ulteriore trattenimento amministrativo, nonché sottoporre sempre alla previa approvazione del Parlamento gli accordi di riammissione con i Paesi terzi e abolire i reati che puniscono l’ingresso o il soggiorno non autorizzati.
5. Assicurare il rispetto del principio di non-discriminazione e parità di trattamento.
Occorre completare il riordino delle varie tipologie di procedimento giudiziario antidiscriminatorio, istituire un’Agenzia nazionale antidiscriminazione autonoma e indipendente con effettivi poteri di indagine e sanzionatori, garantire l’accesso alla procedura per il riconoscimento dello status di apolide, anche in via amministrativa, nonché per il rilascio di un titolo di soggiorno a partire dal momento in cui la richiesta è avanzata, a prescindere dalla pregressa residenza o regolarità del soggiorno.
Occorre inoltre garantire pari accesso alle prestazioni sociali per i cittadini stranieri, eliminando condizioni e requisiti discriminatori che ostacolano l’accesso a prestazioni sociali per i cittadini stranieri, in coerenza con l’ordinamento internazionale e europeo, eliminando condizioni e requisiti discriminatori che ostacolano la mobilità dei lavoratori e la coesione sociale e che trascurano proprio le più rilevanti esigenze di aiuto. Si deve poi riconoscere e rendere effettiva per tutti i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di un titolo di soggiorno che consente di lavorare la parità di accesso al pubblico impiego, alle medesime condizioni previste per i cittadini dell’UE, rimuovendo le disposizioni che attualmente limitano l’accesso a lungosoggiornanti, titolari di protezione internazionale e familiari di cittadini dell’UE.
6. Contrastare ogni forma di razzismo e di hate speech.
Ciò deve essere realizzato respingendo ogni proposta volta a ridurre la portata della legge Mancino e garantendo la possibilità di agire in giudizio, anche in sede civile e con procedura semplificata, contro ogni forma di molestia basata su pregiudizi razziali e xenofobi.
7. Tutelare le vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento.
Questo è assicurato garantendo effettive forme di indennizzo, un iniziale «periodo di riflessione», il rilascio del permesso di soggiorno indipendentemente dalla collaborazione con l’autorità giudiziaria e la non imputabilità per i reati commessi durante la fase di sfruttamento. Occorre rendere più chiari ed efficaci i meccanismi di accesso e fruizione dei programmi previsti dall’articolo 18 del testo unico da parte delle vittime di tratta richiedenti asilo. Occorre ampliare le ipotesi in cui è rilasciato un permesso per motivi umanitari ai cittadini stranieri che hanno subìto uno sfruttamento lavorativo, dando così corretta attuazione alla direttiva 2009/52/CE, e introdurre una norma che, in recepimento della direttiva 2004/81/CE, preveda il rilascio di un permesso di soggiorno in favore di cittadini di Paesi terzi
che siano stati vittime del reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale in alcune determinate circostanze, tenendo conto degli indicatori di lavoro forzato, tratta e sfruttamento lavorativo già elaborati dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Occorre inoltre attuare le norme che prevedono la protezione delle donne migranti vittime di violenza previste dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e il contrasto della violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
8. Garantire processi equi e unitari a tutti gli stranieri.
Questo è possibile attribuendo esclusivamente al giudice ordinario la competenza di tutti i procedimenti relativi alla condizione giuridica del cittadino straniero (escludendo sia il giudice amministrativo, sia il giudice di pace) e assicurando sempre al cittadino straniero il diritto ad esporre realmente le proprie ragioni. Occorre inoltre migliorare la condizione giuridica e le prospettive di stabilizzazione del soggiorno dei cittadini stranieri detenuti in carcere o ammessi a misure alternative alla detenzione.
9. Prevedere l’elettorato alle elezioni comunali per gli stranieri regolarmente residenti in Italia da almeno cinque anni.
La vigente disciplina italiana degli ingressi degli stranieri non appartenenti all’UE per soggiorni superiori a tre mesi, specie dopo le modifiche introdotte al testo unico dalla legge n. 189 del 2002, è orientata soprattutto all’ingresso condizionato al lavoro, ma in un Paese con elevati tassi di immigrazione (per quanto in linea con la media europea) cresce anche il flusso migratorio volto a rispondere a esigenze diverse quali l’unità familiare, la protezione umanitaria e la domanda di studio.
A tali diverse esigenze dovranno essere fornite specifiche risposte migliorando i relativi sistemi di ingresso al fine di fornire una risposta articolata alla domanda migratoria.
Quanto all’ingresso per lavoro è ormai ampio il consenso sull’irragionevolezza e sulla pratica irrealizzabilità di un incontro tra domanda e offerta di lavoro che dovrebbe avvenire (e non avviene) prima dell’ingresso in Italia, nell’ambito di quote predeterminate attraverso i cosiddetti decreti flussi che, non a caso, negli ultimi anni di fatto non sono stati emanati.
D’altra parte, l’attuale politica di chiusura delle frontiere, unitamente alla disciplina degli ingressi per motivo di lavoro subordinato, ha prodotto un’ampia schiera di persone irregolarmente presenti sul territorio nazionale senza alcuna possibilità di regolarizzare la propria posizione e condannata a vivere una condizione di precarietà determinata dalla mancanza di potere contrattuale sul mercato del lavoro.
Occorre, dunque, fare tesoro dell’esperienza maturata e tradurre le nuove acquisite consapevolezze in una modifica legislativa che consenta l’incontro tra domanda e offerta sul territorio nazionale mediante l’ingresso per ricerca di occupazione, che deve essere il sistema prioritario per permettere gli ingressi per lavoro, grazie alla sua maggiore aderenza alla realtà della catena migratoria e delle dinamiche del mercato del lavoro.
A tale radicale innovazione occorre, tuttavia, aggiungere ulteriori riforme volte a rendere complessivamente più flessibile il sistema e a migliorare il raccordo tra domanda e offerta di lavoro.
L’articolo 10 della proposta di legge prevede perciò l’introduzione nel testo unico di un nuovo articolo 27-quinquies dedicato agli ingressi per ricerca di lavoro.
Gli ingressi per lavoro subordinato di lavoratori devono avvenire non tanto attraverso il sistema della chiamata nominativa da parte di un datore di lavoro che già si trova in Italia, quanto piuttosto soprattutto mediante un nuovo tipo di ingresso «per ricerca di lavoro»: occorre che venga previsto
e garantito in maniera efficace – eventualmente nell’ambito delle quote di ingresso per lavoro – l’ingresso per ricerca di occupazione a chiunque possa offrire garanzie minime di sostentamento per un periodo ragionevole (un anno) al fine di poter realizzare un libero ed effettivo incontro tra domanda e offerta di lavoro sul territorio nazionale.
La richiesta di garanzie economiche per il viaggio e per il sostentamento nel periodo iniziale di soggiorno (la disponibilità di risorse economiche per ogni mese di soggiorno pari all’importo mensile dell’assegno sociale), inclusa la disponibilità di un alloggio, fornite dal migrante o da terzi in Italia o all’estero (inclusi enti preposti all’intermediazione di lavoratori, effettivamente operanti e debitamente autorizzati e vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali), corrisponde alla realtà delle catene migratorie (e la rende trasparente), nelle quali il progetto migratorio per lavoro almeno all’inizio ha una qualche, almeno parziale, copertura economica, fornita dal migrante o da amici o familiari terzi (o da entrambi), e previene il ricorso ai trafficanti irregolari di persone a cui si affidano i migranti che trovino eccessive limitazioni agli ingressi per lavoro; proprio per tale motivo la richiesta di garanzia economica non deve essere troppo onerosa perché altrimenti finirebbe per favorire il traffico internazionale di migranti di chi ha minori mezzi economici.
All’ingresso in Italia andrà rilasciato uno specifico e nuovo titolo di soggiorno, denominato permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, il quale sarà automaticamente convertito in permesso di soggiorno per motivo di lavoro subordinato una volta sussistenti i requisiti di legge.
Sul permesso di soggiorno per ricerca di lavoro non sarà inserita la dicitura «permesso unico di lavoro» e questo non darà diritto alle prestazioni di assistenza e previdenza sociale generalmente assicurate ai titolari di tale permesso di soggiorno.
Dato che lo scopo di tale ingresso è quello di tutelare la dignità delle persone, di contrastare il traffico di esseri umani e di evitare la condizione di soggiorno irregolare, è necessario che le quote di ingresso, eventualmente stabilite, tengano in considerazione sia le vicende attinenti al mercato del lavoro interno, sia le dinamiche e i flussi migratori in atto.
La disposizione dunque reintroduce anzitutto il sistema prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro da parte di singoli cittadini italiani o stranieri regolarmente soggiornanti di lungo periodo (analogo a quello che era stato previsto dalla legge italiana dal 1998 al 2002) per l’inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero con la garanzia di risorse finanziarie adeguate e disponibilità di un alloggio per il periodo di permanenza sul territorio, agevolando in primo luogo quanti abbiano già avuto precedenti esperienze lavorative in Italia o abbiano frequentato corsi di lingua italiana o di formazione professionale.
La disposizione prevede altresì la disciplina dell’attività d’intermediazione che possa essere esercitata per favorire e realizzare l’incontro tra la domanda di lavoro delle imprese italiane e l’offerta da parte di lavoratori stranieri, prevedendo che possano svolgerla i soggetti pubblici e privati autorizzati a operare all’estero (agenzie private per il lavoro, enti bilaterali, università eccetera), purché dispongano di idonee strutture all’estero, i fondi interprofessionali per la formazione, il sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e le sue aziende speciali e le camere di commercio all’estero, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e le associazioni e gli enti che già svolgono attività a favore degli immigrati iscritte nell’apposito registro nazionale.
Le norme per il rilascio del permesso temporaneo di soggiorno per la ricerca del lavoro a favore dei candidati selezionati dai servizi pubblici e privati per l’impiego sono molto semplificate e il permesso temporaneo ha durata massima di dodici mesi: si prevede in particolare l’obbligo da parte dell’intermediario pubblico o privato di garantire la disponibilità da parte del lavoratore straniero di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e anche per il ritorno nel Paese di provenienza, salvo che se ne faccia carico personalmente; l’impegno sottoscritto dal lavoratore straniero a rimpatriare in caso di mancata assunzione; l’eventuale attestato della sua conoscenza della lingua italiana.
Gli articoli 1, 2 e 4 della proposta di legge provvedono alla riforma della disciplina della determinazione delle quote di ingresso per lavoro.
Si deve prevedere la possibilità, svincolata dalla previsioni di «flussi governativi», per i cittadini stranieri residenti all’estero di essere invitati a lavorare tramite chiamata individuale in Italia da parte di soggetti residenti che dimostrino effettive capacità economiche e prestino concrete garanzie a favore del cittadino straniero. Nell’ambito di un sistema del genere non avrebbe senso inserire previsioni quantitative massime, perché l’incontro tra domanda e offerta di lavoro sarebbe già avvenuto confermando la capacità del sistema economico di collocare sul mercato del lavoro la persona.
Nell’ambito del sistema individuato, dunque, solo l’ingresso per ricerca di lavoro dovrebbe essere sottoposto alla predeterminazione di un numero massimo e, pertanto, dovrebbe avvenire nei limiti di quote massime di ingresso. Tuttavia, la predeterminazione di quote massime di ingresso per lavoro ha senso solo in quanto costituisca un elemento effettivo di raccordo tra domanda migratoria e possibilità di assorbimento del sistema economico: dunque deve essere effettiva, annuale e ponderata.
L’attuale sistema di ingressi determinato dai decreti flussi è, invece, completamente inefficace.
Esso si basa su una finzione (l’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro) e ha come principale effetto la regolarizzazione della posizione di coloro che già sono in Italia in maniera non regolare. La circostanza che negli ultimi anni i decreti flussi non siano stati emanati o, qualora emanati, siano serviti quasi esclusivamente a permettere la conversione di permessi di soggiorno già rilasciati, documenta l’inaffidabilità della scelta legislativa che, invero, sembra oggi maggiormente rivolta a permettere l’ingresso irregolare delle persone e il loro conseguente sfruttamento sul lavoro (data l’impossibilità di stipula di un contratto di lavoro da parte del migrante irregolare e, conseguentemente, la sua mancanza di qualsivoglia potere contrattuale sul mercato del lavoro).
D’altra parte le carenze dell’attuale sistema di determinazione degli ingressi per motivo di lavoro attraverso i decreti flussi annuali potrebbero sì essere migliorate, ma pur sempre nell’ambito di una politica di generale contenimento dei flussi migratori che ha dimostrato (soprattutto per l’Italia e la sua particolare morfologia) la sua fallacia.
Per fare ciò si ritiene, comunque, che:
a) le regioni siano vincolate all’effettiva rilevazione dei fabbisogni occupazionali sulla base dei quali emanare il decreto nazionale e i loro dati devono essere resi disponibili a tutti, inclusi i potenziali migranti (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 2, comma 1, lettera b), della proposta di legge);
b) sia esclusa una funzione «premiale» delle quote nei confronti dei Paesi che collaborano ai progetti di rimpatrio giacché tale funzione (oggi prevalente nella formulazione delle quote) altera completamente il sistema (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 2, comma 1, lettera a), della proposta di legge);
c) il decreto abbia sempre una cadenza annuale inderogabile al fine di dare certezza agli operatori economici e ai migranti stessi, salva la possibilità di emanare un nuovo decreto nel medesimo anno qualora le quote siano esaurite e vi sia un fabbisogno lavorativo non soddisfatto (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 1 della proposta di legge);
d) nella definizione delle quote di ingresso siano preferiti i titolari di qualifiche professionali o di titoli di studio che abbiano le maggiori possibilità di inserimento, senza che ciò diventi un incentivo alla «fuga dei cervelli» dai Paesi di origine, che deve essere prevenuta realizzando dei seri programmi internazionali di cooperazione e di partenariato internazionale con
i Paesi di provenienza. Infatti, anche per errate scelte di politica normativa, in questi anni l’immigrazione straniera si è purtroppo collocata spesso ai gradini più bassi della scala sociale e lavorativa con evidenti gravi danni culturali e sociali che occorre ora prevenire; a tale fine occorre escludere espressamente dagli ingressi per lavoro o per ricerca di lavoro sottoposti al regime delle quote gli stranieri che già abbiano le qualifiche professionali e gli altri requisiti elevati per ottenere il rilascio della carta blu UE per i lavori di elevata qualificazione, ai quali già è consentito l’ingresso per lavoro al di fuori delle quote annuali, il che consente di lasciare il resto degli ingressi per lavoro a chi nel mercato del lavoro ha qualifiche meno pregiate, ma altrettanto apprezzabili o richieste e spesso non coperte da manodopera italiana o straniera reperibile in Italia; (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 2, comma 1, lettera a), della proposta di legge);
e) la distribuzione dei posti nell’ambito delle quote, sia per gli ingressi per ricerca di lavoro, sia per ingressi per lavoro subordinato, deve avvenire non già in base alla priorità temporale della presentazione delle domande, criterio finora dimostratosi insensato e inefficiente, bensì (quantomeno per una parte rilevante) secondo criteri oggettivi volti a privilegiare l’immigrazione stabile (per esempio qualifiche professionali e titoli di studio corrispondenti a quelli più richiesti nei settori, per le qualifiche e le mansioni più richieste dal mercato del lavoro italiano, conoscenza della lingua italiana, precedenti esperienze formative o lavorative in Italia, soggiorno regolare in Italia di familiari o conoscenti disponibili a fornire sostentamento o ospitalità eccetera), ma prevedendo anche un diritto di prelazione per chi ha già soggiornato regolarmente in Italia, lasciando poi volontariamente il territorio nazionale, inclusi coloro che lasciano volontariamente il territorio nazionale al termine del periodo di soggiorno per ricerca di lavoro (infruttuoso), e per lo straniero espulso che abbia spontaneamente ottemperato all’obbligo di lasciare il territorio italiano per effetto di un provvedimento di espulsione per ingresso o soggiorno irregolari (anche per incentivare la partenza volontaria dello straniero espulso per ingresso o soggiorno irregolare); (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 2, comma 1, lettera a), della proposta di legge);
f) si prevede l’abolizione della preventiva verifica dell’indisponibilità dei lavoratori già iscritti nei centri per l’impiego quale condizione insuperabile per autorizzare l’ingresso per lavoro subordinato di uno straniero non dell’UE per le qualifiche, i settori e le mansioni indicati nella programmazione annuale delle quote di ingresso per lavoro: tale condizione (inopinatamente reintrodotta nel 2013 nell’ordinamento italiano) è in contraddizione con una programmazione annuale governativa degli ingressi per lavoro e ha sempre ostacolato una realistica disciplina degli ingressi regolari per lavoro in Italia; così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 4 della proposta di legge.
L’articolo 5 della proposta di legge introduce modifiche nell’articolo 22 del testo unico per rispondere all’esigenza che siano previsti tempi certi e brevi tra la richiesta di assunzione e l’effettivo ingresso per lavoro del lavoratore immigrato, anche mediante l’introduzione di meccanismi di silenzio assenso (dopo sessanta giorni dalla presentazione della domanda): una richiesta di assunzione che ottiene risposta solo mesi o anni dopo la sua presentazione è destinata ad alimentare un sistema fittizio, volto soltanto a coprire un rapporto di lavoro già iniziato con un immigrato irregolarmente presente.
Per evitare qualsiasi «zona grigia» tra ingresso regolare e rilascio del titolo di soggiorno (che oggi si prolunga per vari mesi tra la firma del contratto di soggiorno successiva all’ingresso e il rilascio del permesso) occorre garantire che lo straniero, una volta entrato regolarmente in relazione a una richiesta di lavoro, acquisisca immediatamente la titolarità di un permesso di soggiorno e possa muoversi liberamente nel mercato del lavoro. In particolare, le modifiche introdotte con l’articolo 6 della proposta di legge espressamente prevedono
che «In caso di mancata costituzione del rapporto dopo l’ingresso per responsabilità del datore di lavoro, lo straniero accede a un permesso per attesa di occupazione e a qualsiasi altra occupazione, ferme restando le sanzioni a carico del datore di lavoro».
Le modifiche introdotte con l’articolo 3 della proposta di legge prevedono un sistema di collegamenti informatici e informazioni dei centri per l’impiego per fare conoscere le effettive possibilità occupazionali e i lavoratori stranieri: occorre che venga garantito (anzitutto dai Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e del lavoro e delle politiche sociali, in collegamento con le regioni e con i centri per l’impiego) un effettivo sistema di informazione ai lavoratori migranti circa le possibilità di occupazione sul nostro territorio.
Le modifiche introdotte con l’articolo 11 della proposta di legge prevedono la semplificazione delle procedure per il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali: il riconoscimento delle qualifiche professionali e dei titoli di studio conseguiti all’estero deve essere semplificato e velocizzato, sia per consentire l’accesso ai lavoratori altamente qualificati come prevede la direttiva dell’UE attuata dal decreto legislativo n. 108 del 2012, sia per favorire gli ingressi per studio o ricerca nell’ambito delle università italiane.
Le modifiche introdotte con l’articolo 9 della proposta di legge prevedono l’ingresso per lavoro fuori delle quote annuali dei lavoratori stranieri che abbiano svolto nei Paesi di origine specifici corsi finalizzati all’inserimento lavorativo nei settori produttivi italiani: devono essere incentivate la negoziazione e l’attuazione degli accordi bilaterali volti all’effettuazione dei programmi di formazione professionale nei Paesi di origine previsti dalla normativa vigente, ma gli ingressi correlati a tali programmi devono essere computati «fuori quota» e devono avvenire in qualsiasi periodo dell’anno in quanto particolarmente correlati a esigenze produttive del nostro sistema.
Le modifiche introdotte con l’articolo 8 della proposta di legge prevedono una nuova disciplina dei diritti previdenziali del lavoratore straniero che ritorna in patria e mirano a incentivare la stipula di accordi internazionali in materia di sicurezza sociale.
Infatti occorre che sia incentivata la stipula (a livello nazionale e a livello dell’UE) degli accordi di sicurezza sociale con i Paesi non appartenenti all’UE allo scopo di assicurare ai cittadini italiani e stranieri la totalizzazione dei periodi assicurativi a fini pensionistici. Infatti oggi tali accordi sono in vigore soltanto con pochi Stati.
Deve essere però anche reintrodotta la facoltà (già vigente sino al 2002) per lo straniero che sia cittadino di uno Stato con il quale manchino accordi bilaterali che rendano utili i versamenti contributivi effettuati in Italia, di ottenere, indipendentemente dal periodo in cui è iniziato il periodo di assicurazione previdenziale, la restituzione dei contributi versati in Italia in caso di definitivo rientro in patria senza diritto a pensione o prima dell’età pensionabile: tale principio non solo risponde a un’esigenza di equità, ma costituisce anche un aiuto e un incentivo al reinserimento nei Paesi di origine per quegli stranieri che ipotizzano un periodo migratorio breve o che si trovino in Italia nell’impossibilità di trovare una nuova occupazione (incentivando gli eventuali disoccupati stranieri di lungo periodo al rientro piuttosto che restare in Italia a carico del sistema di sicurezza sociale) e introduce un conflitto di interessi tra datore di lavoro e lavoratore, così contribuendo a prevenire l’evasione contributiva e il lavoro irregolare. In tali casi un importo fino al 20 per cento dei contribuiti che saranno restituiti potrà essere impiegato su richiesta dello stesso straniero per contribuire ai costi aggiuntivi al rientro e al reinserimento in patria derivanti dalla partecipazione a programmi di rimpatrio volontario e assistito.
Deve comunque essere abrogata l’attuale norma che prevede il godimento dei diritti previdenziali e di sicurezza sociale solo al compimento dei 65 anni, riferimento anagrafico che da un lato non ha più un significato preciso nell’attuale sistema pensionistico dall’altro costituisce un’illegittima discriminazione per quelle prestazioni delle quali l’italiano potrebbe godere anche prima del compimento di detta età.
Le modifiche introdotte con l’articolo 7 della proposta di legge prevedono l’ingresso per lavoro fuori delle quote annuali dei lavoratori stranieri riassunti dal medesimo datore di lavoro dopo avere già svolto un contratto a tempo determinato.
Infatti deve essere garantito allo straniero che per qualsiasi motivo sia rientrato in patria dopo aver lavorato in Italia con contratto a termine l’effettivo esercizio dei diritti di precedenza che la normativa nazionale prevede per i lavoratori assunti a termine, ma che per gli stranieri rischiano di essere vanificati se assieme al diritto di precedenza nella riassunzione non viene prevista anche una facilitazione al reingresso: tale facilitazione dovrebbe operare sia in caso di lavoro stagionale (per il quale esiste già, ma solo nell’ambito delle quote) sia in caso di lavoro non stagionale (per il quale la normativa vigente non prevede alcuna facilitazione al reingresso).
II. CAPO II – NUOVA DISCIPLINA DEL SOGGIORNO DEGLI STRANIERI.
L’attuale disciplina del soggiorno dei cittadini non dell’UE ruota intorno a un approccio all’immigrazione anacronistico, inadeguato, utilitaristico e vessatorio.
Nel sistema legislativo vigente per conservare il permesso di soggiorno fuori dei casi in cui sia titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo il cittadino straniero deve sempre dimostrare di avere i medesimi requisiti che aveva al momento dell’ingresso, che sono prevalentemente legati a una capacità reddituale (per il lavoro il reddito è quello derivante dal rapporto di lavoro; per il ricongiungimento familiare è richiesto un reddito determinato in rapporto all’assegno sociale annuo, aumentato a seconda del numero di familiari; per gli studenti è richiesto un reddito minimo e la copertura assicurativa eccetera). Così ad ogni rinnovo del permesso di soggiorno lo Stato chiede al cittadino straniero, anche se soggiornante da anni sul territorio nazionale, di dimostrare di avere un lavoro o un determinato reddito. Pretesa che, a maggior ragione in un periodo di gravissima crisi economica mondiale, si ripercuote negativamente sulla condizione del cittadino straniero, limitando o negando la sua regolarità di soggiorno e inducendo, in generale, una forte precarizzazione.
Fuori dei casi in cui lo straniero possa ottenere o mantenere il diritto all’unità familiare o un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, per mantenere il soggiorno regolare nessuna rilevanza è attribuita alla durata della presenza in Italia del cittadino straniero, così come all’esistenza di indici di integrazione, quali l’esistenza di un rapporto di lavoro, sia pur irregolare, o di solidi legami familiari.
Dopo la riforma del testo unico attuata nel 2009, dal 2012 ogni straniero che abbia più di 16 anni che entra in Italia per un soggiorno di durata non inferiore a un anno ha l’obbligo di stipulare un accordo di integrazione che gli impone di acquisire entro due anni un determinato numero di punti (in relazione al raggiungimento di vari obiettivi cosiddetti di integrazione sociale – inclusi corsi di studio, regolari contratti per il proprio alloggio eccetera – e in assenza di condanne o sanzioni amministrative diverse da quelle già indicate dalla legge), pena la perdita del titolo di soggiorno e la conseguente espulsione.
Tale accordo è costituzionalmente illegittimo perché, in violazione della riserva di legge prevista dall’articolo 10, secondo comma, della Costituzione, la disciplina delle specifiche condizioni dell’accordo è demandata dalla legge a un regolamento del Governo; peraltro in tale regolamento, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 179, si delinea un modello di integrazione nel quale lo straniero è un mero soggetto passivo, assoggettato a un controllo autoritario e pertanto non inclusivo, mentre lo Stato e gli altri pubblici poteri non sono vincolati a svolgere alcun intervento di promozione sociale di medio-lungo periodo, contrariamente a quanto avviene nel resto dell’Europa.
Un simile sistema normativo deve essere radicalmente modificato, prevedendo:
1) la convertibilità di tutti i tipi di permessi di soggiorno allorché lo straniero abbia i requisiti per un permesso diverso da quello di cui è titolare, così premiando la regolarità della presenza anziché il motivo del soggiorno (così prevede la modifica introdotta dall’articolo 18 della proposta di legge);
2) l’abolizione dell’accordo di integrazione e l’individuazione di percorsi, su base volontaria, di apprendimento degli elementi di conoscenza della società italiana e dell’ordinamento giuridico europeo e italiano o di partecipazione a programmi e progetti di volontariato sociale o di studio o formazione professionale o di elementi utili all’accesso al lavoro, all’alloggio e ai servizi sociali; perciò le modifiche introdotte con l’articolo 12 della proposta di legge all’articolo 4-bis del testo unico prevedono la sostituzione dell’accordo di integrazione con altre misure di integrazione incentivate e in particolare con l’iscrizione dello straniero a corsi di lingua italiana e di educazione civica, la cui partecipazione è incentivata dalla durata doppia del permesso di soggiorno rinnovato, introdotta per effetto delle modifiche previste dall’articolo 16;
3) l’abolizione della tassa sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno, che dovrebbe avere un costo analogo a quello del rilascio o del rinnovo del passaporto, in conformità della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del settembre 2015 (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 13 della proposta di legge, che disciplina i contributi per il rilascio e il rinnovo dei titoli di soggiorno);
4) una durata almeno biennale dei titoli di soggiorno per i tipi di soggiorno non di breve periodo o non rinnovabili, con requisiti semplificati in materia familiare (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 15 della proposta di legge e dalle disposizioni in materia di famiglia e minori);
5) una durata del permesso di soggiorno rinnovato doppia rispetto a quella del primo rinnovo collegandolo al meccanismo premiale volontario che sostituisce l’accordo di integrazione (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 16 della proposta di legge);
6) l’eliminazione di ogni automatismo nell’applicazione delle cause ostative al mantenimento del titolo di soggiorno e l’individuazione di criteri di proporzionalità tra cause ostative e conseguenze della loro applicazione nella situazione individuale e familiare dello straniero (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 17 della proposta di legge, le quali disciplinano criteri e modi per l’adozione dei provvedimenti di revoca o di diniego di rinnovo dei permessi di soggiorno);
7) il trasferimento ai comuni delle funzioni amministrative concernenti le domande di rilascio, di rinnovo e di conversione di ogni tipo di titolo di soggiorno, da rilasciare sulla base di una documentazione tassativa uguale su tutto il territorio italiano e previo nulla osta dell’autorità di pubblica sicurezza, analogamente a come avviene oggi per il rilascio della carta di identità o del passaporto da parte dei comuni (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 14 della proposta di legge, le quali disciplinano il rilascio, il rinnovo e la conversione dei permessi di soggiorno, prescrivendo la documentazione uniforme per la presentazione delle domande e le funzioni amministrative spettanti ai comuni in materia di raccolta delle domande, verifica preliminare e consegna dei provvedimenti e contestuale iscrizione anagrafica; a ciò si aggiungono le modifiche introdotte dall’articolo 19 della proposta di legge, le quali prescrivono l’istituzione di appositi servizi in ogni comune, anche associati, per la realizzazione di attività mirate all’inclusione sociale degli stranieri residenti sul proprio territorio);
8) l’istituzione di forme di regolarizzazione ordinaria, su base individuale, degli stranieri che si trovino in situazione di soggiorno irregolare allorché sia dimostrabile l’esistenza in Italia di una certa
attività lavorativa (trasformabile in attività regolare o denunciabile in caso di sfruttamento lavorativo) o di comprovati legami familiari in Italia (dando così completa attuazione al diritto al rispetto della vita privata o familiare previsto dall’articolo 8 della CEDU) o l’assenza di legami concreti con il Paese di origine (per esempio come per i minori stranieri nati in Italia o che qui vivono da anni, per gli anziani o per coloro che vivono in Italia da almeno cinque anni) o di denuncia di casi di violenza o sfruttamento. In ogni caso, analogamente a ciò che già da tempo prevede la legislazione francese, una simile regolarizzazione non dovrebbe essere mai negata. In proposito le modifiche introdotte nell’articolo 5 del testo unico dall’articolo 19 della proposta di legge prevedono il rilascio di appositi permessi di soggiorno per motivi umanitari, rinnovabili, a stranieri, anche al momento non regolarmente soggiornanti o per i quali sia impossibile il rinnovo del permesso di soggiorno a seguito di diniego della domanda di protezione internazionale, che sono regolarizzabili se sono identificati e documentano la loro effettiva integrazione nella società civile o l’esigenza di rendere effettivo il diritto al rispetto della propria vita privata o familiare.
In particolare si prevede che quest’ultimo permesso di soggiorno per motivi umanitari sia rilasciabile a titolo di regolarizzazione permanente (anche sulla base di criteri uniformi stabiliti dal Ministro dell’interno o del consiglio territoriale per l’immigrazione, previa documentata domanda dell’interessato o dei servizi sociali o di un ente o associazione operante per gli stranieri iscritti nell’apposito registro nazionale), in favore degli stranieri che si trovino in situazione di soggiorno irregolare, che siano muniti di documenti identificativi e non segnalati al Sistema d’informazione Schengen (SIS) per la non ammissione, né segnalati per casi di sfruttamento lavorativo, compresi i richiedenti asilo ai quali è stata respinta la richiesta di protezione internazionale, in due distinte ipotesi:
a) si prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, rinnovabile e convertibile anche in un successivo permesso per lavoro, a stranieri che dimostrino di essere radicati nel territorio e integrati nel tessuto civile e sociale italiano, condizione desumibile da elementi quali l’immediata disponibilità al lavoro, il grado di conoscenza della lingua italiana, la frequentazione di corsi di formazione professionale, i legami familiari o altre circostanze di fatto o comportamenti idonei a dimostrare un legame stabile con il territorio nel quale vive. Il permesso provvisorio di soggiorno non è rinnovato allorché questa disponibilità non si sia tradotta in un contratto di lavoro, a meno che lo straniero dimostri di essersi registrato come disoccupato, aver reso la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego, abbia sottoscritto il patto di servizio personalizzato e le conseguenti obbligazioni relative alle attività da svolgere e non si sia sottratto, in assenza di giustificato motivo, alle convocazioni ovvero agli appuntamenti dei centri per l’impiego;
b) si prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, rinnovabile e convertibile anche in un successivo permesso per motivi familiari, a stranieri che dimostrino l’esistenza in Italia di legami familiari e personali che renderebbero la loro eventuale espulsione per ingresso o soggiorno irregolare sproporzionata e lesiva del diritto alla vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della CEDU.
III . CAPO III – NUOVE NORME CONCERNENTI FAMIGLIA E MINORI.
1. Il ricongiungimento familiare è uno dei più importanti percorsi di migrazione legale e rappresenta un fattore essenziale di integrazione dei cittadini stranieri nelle società di arrivo.
La direttiva 2003/86/CE in materia di ricongiungimento familiare ha affermato che «Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una
stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato».
Gli Stati membri devono dunque disciplinare l’esercizio del diritto alla vita familiare tenendo conto del suo carattere fondamentale e del fatto che esso è considerato dall’UE come uno degli strumenti per la promozione della coesione economica e sociale.
L’attuale normativa in materia stabilita dal testo unico rispetta l’approccio europeo, ma presenta lacune che vanno eliminate per rendere più effettivo il diritto all’unità familiare.
I) Utilizzo del principio di proporzionalità nella valutazione dei requisiti per il ricongiungimento.
Oggi, le condizioni reddituali e alloggiative previste per l’esercizio del diritto al ricongiungimento sono valutate con particolare rigore dall’amministrazione, senza alcuna applicazione del principio di proporzionalità. Per esempio, la mancanza di qualche metro quadro in una determinata abitazione può essere ostativa al ricongiungimento, benché la soluzione abitativa non possa considerarsi inadeguata. Così avviene anche per il requisito reddituale, sicché basta la mancanza di pochi euro per negare il diritto fondamentale alla famiglia.
II) Sistemi di regolarizzazione permanente ai sensi dell’articolo 8 della CEDU.
Con il tempo, gli stranieri intrecciano vincoli familiari e sociali sempre più stretti nel Paese di accoglienza, mentre i legami con il Paese di origine si allentano. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte avuto occasione di dichiarare che tali vincoli familiari, in presenza di determinate condizioni, meritano di essere protetti, indipendentemente dalla regolarità del soggiorno. Alla luce di tale giurisprudenza, alcuni Paesi europei hanno introdotto sistemi di regolarizzazione permanente per gli stranieri la cui vita familiare sia ormai stabilmente radicata nel Paese di accoglienza. Tale possibilità deve essere disciplinata in modo più chiaro e inequivoco anche in Italia, applicando effettivamente le disposizioni già vigenti (articolo 5, comma 5, del testo unico), spesso disattese dall’autorità di pubblica sicurezza. In tal senso si vedano le modifiche già proposte a tale comma.
Perciò, per garantire effettività al diritto all’unità familiare, occorre prevedere che:
a) nel valutare la sussistenza del requisito della disponibilità di un alloggio idoneo e di risorse economiche adeguate ai fini del ricongiungimento familiare si deve tenere conto della situazione personale complessiva dell’interessato, in analogia con quanto previsto per i cittadini dell’UE, eliminando ogni automatismo; così dispongono le modifiche previste dall’articolo 25 della proposta di legge, le quali prevedono l’equiparazione della disponibilità di risorse economiche certe alla disponibilità di reddito ai fini dell’attuazione del diritto all’unità familiare;
b) sia data rilevanza all’esistenza dei legami familiari in Italia, anche prescindendo dall’originaria condizione di irregolarità, in applicazione del principio di effettività del diritto a vivere in famiglia; inoltre sia resa effettiva la facoltà prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare allargando il ricongiungimento familiare anche al «partner non coniugato cittadino di un Paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante, o del cittadino di un Paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata». Così dispongono le modifiche introdotte dall’articolo 24 della proposta di legge, che prevedono l’equiparazione delle unioni civili e delle stabili convivenze registrate ai fini del diritto all’unità familiare, e dall’articolo 27, della proposta di legge, che prevedono forme di agevolazione dell’unità familiare dei familiari già presenti in Italia di stranieri titolari di protezione internazionale (non soltanto di status di rifugiato) o di un permesso per motivi umanitari;
c) sia consentito il ricongiungimento familiare o la coesione familiare con i genitori, alle stesse condizioni previste per le altre categorie di familiari, così favorendo l’occupazione femminile; le restrizioni al diritto al ricongiungimento con i genitori introdotte dalle ultime riforme devono essere eliminate, per consentire alle donne migranti di accedere effettivamente al lavoro, diritto che, insieme ad altri, concorre a determinarne l’autonomia e l’indipendenza, presupposti imprescindibili per una società democratica. Così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 23 della proposta di legge, le quali stabiliscono l’ampliamento della possibilità di attuare l’unità familiare coi genitori a carico;
d) poiché i tempi attualmente necessari in alcune prefetture-uffici territoriali del Governo (UTG) per ottenere il nulla osta al ricongiungimento sono eccessivi occorre ridurre il termine entro il quale tale fase del procedimento deve essere effettivamente conclusa a novanta giorni (termine così già ridotto dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46) e perciò si prevede che, trascorso tale termine senza che sia stato adottato un provvedimento di diniego, l’interessato possa ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, come già stabiliva il testo unico prima delle modifiche introdotte nel 2008 e nel 2009. Così dispongono le modifiche introdotte dall’articolo 26 della proposta di legge, le quali prevedono una forma di silenzio-assenso entro 90 giorni al nulla-osta al ricongiungimento familiare.
2. I minori stranieri devono essere trattati, in primo luogo, come minori.
La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 1991, stabilisce che i diritti da essa sanciti devono essere riconosciuti a tutti i minori che rientrano nella giurisdizione dello Stato, senza alcuna discriminazione, indipendentemente dalla loro nazionalità, regolarità del soggiorno o apolidia. Ai sensi della Convenzione, inoltre, in tutte le decisioni che riguardano i minori, il superiore interesse del minore deve essere una considerazione preminente. Tali princìpi sono già previsti nel testo unico, ma spesso, nella prassi, sono disapplicati o non attuati.
Per garantire i diritti dei minori stranieri è dunque necessario che:
1) si affermi inequivocabilmente che ai minori stranieri presenti sul territorio nazionale, indipendentemente dal possesso di un permesso di soggiorno da parte loro o dei genitori, sono riconosciuti in via generale pari diritti rispetto ai minori italiani, inclusi i diritti inerenti gli atti di stato civile, il diritto all’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, l’accesso agli interventi di sostegno al nucleo familiare finalizzati a consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia, il diritto all’istruzione e alla formazione fino al conseguimento del titolo finale del corso iniziato durante la minore età; così dispongono le modifiche introdotte dall’articolo 28 della proposta di legge, che disciplinano in generale la condizione giuridica dei minori stranieri;
2) si prevedano disposizioni in materia di accertamento dell’età, atte a garantire che nessun minore venga erroneamente identificato come maggiorenne, con conseguente mancata applicazione delle norme a protezione dei minori: va adottato un protocollo a livello nazionale che definisca le modalità per l’effettuazione dell’accertamento dell’età, sulla base di parametri scientifici basati sui più autorevoli studi internazionali (esigenza di un approccio multidimensionale che tenga conto dello sviluppo psico sociale e fisico del minore, obbligo di indicazione del margine di errore eccetera); deve inoltre essere stabilito per legge il principio, già previsto in ambito penale, secondo cui, in caso di dubbio, prevale la presunzione della minore età. Per tali finalità occorre perciò espressamente estendere a tutti i minori stranieri non accompagnati le norme in materia di accertamento dell’età dei minori stranieri oggi previste per i minori stranieri vittime di tratta delle persone (articolo 4 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24) nonché le procedure multidisciplinari previste
dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri emanato in attuazione di tale disposizione, il regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 2016, n. 234, recante definizione dei meccanismi per la determinazione dell’età dei minori non accompagnati vittime di tratta e le norme per l’identificazione dei minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo (articolo 19-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, introdotto dalla legge 7 aprile 2017, n. 47). A ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 21 della proposta di legge, che prevedono regole generali sull’identificazione e sull’accertamento della minore età dello straniero;
3) si stabiliscano le modalità di presentazione della domanda di permesso di soggiorno per i minori accompagnati da genitori irregolarmente soggiornanti ai sensi degli articoli 19 del testo unico e 28 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999: la normativa vigente vieta in generale l’espulsione dei minori, salvo il diritto di seguire il genitore eventualmente espulso, e prevede che ad essi, in quanto soggetti inespellibili, sia rilasciato un permesso di soggiorno; a differenza dei minori stranieri non accompagnati, tuttavia, attualmente ai minori accompagnati da genitori irregolarmente soggiornanti non viene in genere rilasciato alcun titolo di soggiorno, in quanto il genitore non può presentare la relativa domanda; a tutto ciò si provvede con le modifiche introdotte dall’articolo 22 della proposta di legge, che disciplinano la presentazione della richiesta e ritiro del permesso di soggiorno dei minori inespellibili;
4) si promuova il mantenimento della regolarità del soggiorno al compimento della maggiore età, prevedendo (come dispongono le modifiche introdotte dall’articolo 29 della proposta di legge) che:
la disposizione dell’articolo 32, comma 1, del testo unico in materia di rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età si applichi a tutti i cittadini stranieri ai quali sia stato rilasciato un permesso di soggiorno durante la minore età, senza distinzioni tra minori accompagnati e non accompagnati, abrogando i successivi commi 1-bis e 1-ter;
il permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato al minore sia rinnovato per la stessa durata di quello del genitore, al compimento della maggiore età e successivamente, a condizione che il cittadino straniero risulti a carico del genitore;
si mantenga il principio dell’estensione delle condizioni di soggiornante di lungo periodo del genitore al figlio minore.
IV. CAPO IV – NUOVA DISCIPLINA DEGLI INGRESSI IRREGOLARI E DEGLI ALLONTANAMENTI.
La disciplina vigente in tema di espulsioni e di allontanamenti degli stranieri non dell’UE, anche dopo le modifiche introdotte tra il 2014 e il 2017, è farraginosa, inefficace, dispendiosa, contrastante con la Costituzione e con le norme internazionali e dell’UE e assai poco rispettosa dei diritti fondamentali delle persone.
Ridurre e razionalizzare le tipologie espulsive, limitandole alle violazioni più gravi (parallelamente alla previsione di forme di regolarizzazione permanenti); incentivare il rimpatrio volontario; prevedere che l’identificazione delle persone socialmente pericolose avvenga durante la detenzione in carcere; prevedere che ogni forma di limitazione della libertà personale sia disposta da un giudice professionale (cui attribuire ogni competenza in ordine al contenzioso in materia di espulsioni); chiudere immediatamente tutti i centri di permanenza temporanea per il rimpatrio attualmente esistenti e sottoporre all’approvazione del Parlamento ogni accordo di riammissione: questi sono i punti irrinunciabili per una riforma costituzionalmente corretta delle procedure di allontanamento.
1. Razionalizzazione delle tipologie espulsive, previsione di forme di regolarizzazione e incentivazione del rimpatrio assistito e della partenza volontaria.
Attualmente la legge prevede due differenti tipologie di respingimento, quattro
tipi di espulsioni giudiziali e ben sedici differenti tipologie di espulsioni amministrative. A questa inflazione di tipi di espulsione non corrispondono né efficienza né garanzie.
In ogni caso il respingimento disposto in via ordinaria dal solo questore – attuato con restrizione della libertà personale – senza alcun controllo dell’autorità giudiziaria, deve essere comunque abolito perché incostituzionale in violazione della riserva di giurisdizione e della riserva assoluta di legge previste dall’articolo 13 della Costituzione. A ciò si aggiunga, come ha constatato la relazione del maggio 2016 della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, che «nella pratica, considerata la assai limitata disponibilità di posti nei CIE – oggi “centri di permanenza temporanea per il rimpatrio” – e l’oggettiva impossibilità di procedere al rimpatrio effettivo dei cittadini di Paesi con i quali non sono stati sottoscritti accordi di riammissione, la casistica più ricorrente è quella di adottare il provvedimento con intimazione a lasciare il territorio entro sette giorni. È evidente che la prassi appena descritta determina l’aberrante conseguenza di creare una massa enorme di irregolari, privi di qualunque forma di assistenza, che si trovano, in molti casi, nella effettiva impossibilità di ottemperare al provvedimento e che lo Stato non è in grado di espellere materialmente».
Invece occorre abolire il respingimento differito (a ciò provvede la modifica all’articolo 10 del testo unico prevista dall’articolo 30 della proposta di legge) e limitare l’espulsione degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare ai soli casi in cui l’ingresso o il soggiorno legale non siano o non siano più concretamente possibili neppure a titolo di regolarizzazione permanente e perciò prevedere che:
a) nei casi di ingresso e soggiorno irregolari nel territorio dello Stato lo straniero non deve essere immediatamente respinto o espulso ma, per dare effettiva attuazione al diritto di asilo garantito dall’articolo 10, terzo comma, della Costituzione, al diritto al rispetto del diritto alla vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della CEDU e alle direttive dell’UE sulla protezione delle vittime della tratta e delle vittime di sfruttamento lavorativo, egli deve essere anzitutto identificato e, in ossequio all’obbligo di valutazione «caso per caso», occorre informarlo in modo completo in una lingua a lui effettivamente comprensibile sui suoi diritti e doveri in base alle norme vigenti e sulle conseguenze della loro applicazione, poi occorre verificare tutta la situazione umana, familiare e sociale dello straniero, al fine di effettuare un’accurata verifica sull’eventuale sussistenza di divieti di espulsione per asilo, per motivi familiari o umanitari, o in ragione dell’applicazione di misure di assistenza per le vittime di violenza o di grave sfruttamento anche lavorativo, anche a seguito di collaborazione con le autorità. L’accesso al diritto di asilo deve essere sempre garantito e il permesso di soggiorno deve essere rilasciato subito in tali casi e in tutti i casi in cui, in considerazione della sua condizione personale, familiare e sociale, l’eventuale rimpatrio dello straniero costituirebbe un’intromissione sproporzionata nel suo diritto alla vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della CEDU rispetto agli altri interessi pubblici che sarebbero protetti in caso di rimpatrio;
b) nelle ipotesi in cui si dimostri che nel caso concreto lo straniero non possa accedere ad alcuna di tali regolarizzazioni, si attuino anzitutto forme efficaci di rimpatrio assistito e soltanto in via residuale sia disposta l’espulsione, da eseguire anzitutto mediante la concessione di un congruo termine per la partenza volontaria, corredato – in caso di ottemperanza – del venir meno automatico del divieto di reingresso, così dando piena attuazione alla direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, invece di ricorrere soprattutto a costose e inefficaci forme coercitive di esecuzione delle espulsioni.
In ogni caso deve cessare l’attuale quasi automatico legame tra revoca o annullamento del permesso di soggiorno e rifiuto
di rinnovo e il provvedimento amministrativo di espulsione: tale legame viola l’articolo 1 del protocollo n. 7 alla CEDU che esige che ogni straniero regolarmente soggiornante deve avere il tempo di difendersi prima che sia eseguito un provvedimento espulsivo che non sia stato disposto per motivi connessi con l’ordine pubblico, con la sicurezza dello Stato e con la sicurezza pubblica. Perciò è indispensabile prevedere che la revoca e l’annullamento del permesso di soggiorno e il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno, allorché siano disposti per motivi diversi dall’ordine pubblico o dalla sicurezza dello Stato o al di fuori di sentenze definitive di condanna che prevedano anche l’espulsione, possano essere adottati soltanto previo contraddittorio con l’interessato, che deve essere previamente informato delle ragioni del provvedimento e deve avere un termine seppur breve per replicare e deve disporre di un termine per impugnare tale provvedimento e per lasciare il territorio dello Stato, prima che possa essere disposto alcun tipo di provvedimento espulsivo.
A questa complessiva riforma provvedono le modifiche introdotte dalla presente proposta di legge:
dall’articolo 31 (che abroga i reati di ingresso o soggiorno irregolari sostituendo l’articolo 10-bis del testo unico con la disciplina della condizione degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare prevedendo casi di rilascio di titoli di soggiorno e casi di adozione della decisione di rimpatrio);
dall’articolo 32 (che disciplina l’assistenza, i colloqui, le identificazioni, le garanzie, i permessi di soggiorno e l’eventuale trattenimento degli stranieri fermati in situazione di ingresso o soggiorno irregolari);
dall’articolo 41 (che introduce nuove norme in materia di programmi di rimpatrio volontario assistito).
2. Identificazione e allontanamento delle persone pericolose.
Gli stranieri condannati e ritenuti dal giudice socialmente pericolosi devono essere identificati fin dal processo e prima della fine della detenzione negli istituti penitenziari e non devono essere ulteriormente ristretti in un centro di permanenza temporanea con conseguente aggravio di «pena» per l’interessato e sperpero di risorse pubbliche. In tal senso occorre ulteriormente dare concreta attuazione alle misure introdotte nel 2002 e nel 2014 negli articoli 14, comma 5, e 15, comma 1-bis, del testo unico.
Piuttosto, in mancanza di identificazione dello straniero espulso e tuttora socialmente pericoloso, occorre disporre la conversione della misura di sicurezza dell’espulsione in un’altra misura di sicurezza come consente già oggi la legge.
In ogni caso è urgente prevedere modalità di identificazione e di predisposizione dei documenti necessari all’accompagnamento durante l’esecuzione della pena (in carcere o nelle differenti forme di espiazione), come è stato finalmente previsto nel 2014 negli articoli 14 e 16, comma 5-bis, del testo unico, sicché il Ministero della giustizia deve adeguatamente investire nelle necessarie risorse, in sinergia con il Ministero dell’interno, per ottenere la fattiva collaborazione delle autorità consolari dei Paesi di provenienza dei condannati ritenuti pericolosi con sentenza definitiva.
A questa complessiva riforma provvedono le modifiche all’esecuzione dell’espulsione a titolo di misura di sicurezza previste dall’articolo 43 della proposta di legge.
3. Pienezza ed effettività del controllo giurisdizionale.
Ogni forma di limitazione della libertà personale degli stranieri deve essere conforme alla riserva di giurisdizione prevista dall’articolo 13 della Costituzione e perciò ogni competenza in materia deve spettare al solo giudice togato (non più il giudice di pace, ma il tribunale ordinario, al pari di ogni altra restrizione delle libertà fondamentali). All’autorità di pubblica sicurezza deve essere attribuito il solo potere di presentare al giudice la richiesta di espulsione, affinché l’autorità giudiziaria – in contraddittorio con l’amministrazione e lo straniero (assistito da un difensore, designato
fin dall’invio della richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza, e con l’assistenza linguistica) – decida su di essa entro 48 ore.
La limitazione preventiva della libertà personale da parte dell’autorità di pubblica sicurezza contestualmente alla presentazione della richiesta di espulsione – cui deve conseguire la convalida giurisdizionale entro 48 48 ore cioè prima della decisione del giudice sulla richiesta di espulsione – deve essere consentita soltanto in ipotesi eccezionali e tassativamente indicate dal legislatore e comunque limitate ai soli casi di effettiva pericolosità sociale del cittadino straniero da espellere o nel caso in cui sia evidente il rischio di fuga, oggettivamente non fronteggiabile con altre misure meno afflittive (deposito del passaporto o di una cauzione, obbligo di dimora, obbligo di presentazione agli uffici di polizia).
In tal modo, all’autorità amministrativa di pubblica sicurezza deve essere riservato un mero potere propositivo circa la necessità di allontanamento dello straniero, mentre la decisione sarebbe riservata esclusivamente all’autorità giudiziaria in contraddittorio con l’interessato e il suo difensore, raggiungendo così la piena giurisdizionalizzazione del procedimento espulsivo. L’autorità di pubblica sicurezza deve fare pervenire al giudice e al difensore la sua richiesta motivata di allontanamento dello straniero, documentando l’impossibilità che nel caso concreto lo straniero possa accedere alle forme di regolarizzazione o di rimpatrio assistito, e il giudice – in contraddittorio con l’amministrazione e lo straniero (assistito da un difensore e con l’assistenza linguistica) – deve decidere, dopo avere sentito l’interessato e il suo difensore sulla convalida della limitazione preventiva della libertà personale, sulla richiesta di espulsione da parte dell’autorità di polizia e sulle sue modalità attuative.
A questa complessiva riforma provvedono le modifiche introdotte dalla presente proposta di legge:
dall’articolo 33 (che riforma la disciplina del provvedimento amministrativo di espulsione prevedendo i casi di richiesta del prefetto di autorizzazione giudiziaria ad adottare il provvedimento espulsivo nei confronti dello straniero destinatario di un provvedimento di rimpatrio);
dall’articolo 34 (che riforma del provvedimento amministrativo di espulsione ridisciplinando i casi di nulla-osta giudiziario all’esecuzione dell’espulsione e l’eventuale trattenimento nelle more del nulla-osta);
dall’articolo 35 (che riformula alcune ipotesi di pericolo di fuga degli stranieri destinatari dei provvedimenti amministrativi di espulsione);
dall’articolo 36 (che disciplina la partenza volontaria dello straniero come modalità ordinaria di esecuzione dei provvedimenti di espulsione per soggiorno irregolare e misure per prevenire il rischio di fuga);
dall’articolo 37 (che riforma il provvedimento amministrativo di espulsione prevedendo i casi di convalida giudiziaria dell’espulsione disposta dal prefetto o dal Ministro dell’interno da eseguire con accompagnamento alla frontiera);
dall’articolo 38 (che disciplina l’esecutività dei provvedimenti giudiziari di autorizzazione o di convalida dell’espulsione e le possibilità di reclamo di tali provvedimenti di fronte al giudizio collegiale della stessa sezione specializzata per l’immigrazione del tribunale che ha autorizzato o convalidato i provvedimenti espulsivi);
dall’articolo 39 (che riforma i divieti di rientro connessi ai provvedimenti espulsivi e sopprime le sanzioni penali in caso di reingresso illegale dell’espulso per ingresso o soggiorno irregolare).
4. Centri di permanenza temporanea.
I centri di permanenza temporanea per il rimpatrio attualmente esistenti devono essere immediatamente chiusi, perché sono costosi e inutili (a fronte di elevati costi di gestione consentono l’effettivo rimpatrio di meno della metà degli stranieri trattenuti) e violano palesemente norme costituzionali, oltre che apparire irrazionali e iniqui mirando a reprimere la mera violazione di
norme, di carattere amministrativo, che regolano l’ingresso o il soggiorno agli stranieri.
Oggi il trattenimento in tali centri disposto nei confronti degli stranieri espulsi o respinti, anche se la sua durata massima complessiva è stata ridotta a novanta giorni dalla riforma legislativa del 2014, rappresenta il modo normale e non l’eccezione per dare esecuzione all’accompagnamento alla frontiera degli stranieri respinti o espulsi (posto che quasi tutte le espulsioni sono eseguibili coattivamente). Inoltre i modi della detenzione amministrativa non sono stabiliti soltanto da norme legislative, come esige l’articolo 13 della Costituzione, ma anche da norme regolamentari, da direttive ministeriali (ancorché riformate dai nuovi criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di identificazione ed espulsione stabiliti con il regolamento del Ministro dell’interno 20 ottobre 2014) e dalle convenzioni stipulate – a seguito di gara d’appalto – tra prefetture ed enti gestori privati: è la privatizzazione della detenzione.
Le condizioni in cui vivono gli stranieri trattenuti negli attuali centri di identificazione violano spesso anche il divieto di trattamenti inumani e degradanti previsto dall’articolo 3 della CEDU.
Il citato decreto-legge n. 13 del 2017 persiste in una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l’accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio (come la previsione del trattenimento anche per gli stranieri richiedenti protezione non espulsi ma respinti o l’allungamento del termine di trattenimento per coloro che hanno già scontato un periodo di detenzione in carcere), ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all’apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati centri di permanenza per i rimpatri).
Da anni risulta chiaro come un sistema efficiente di rimpatri non possa basarsi solo sull’esecuzione coattiva degli stessi, ma debba, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all’allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici.
Appare quindi necessaria una più ampia e organica revisione delle strategie di governo dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del testo unico che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione e di inserimento controllato dei migranti, prendendo atto del fallimento, sotto il profilo dell’effettività e della sostenibilità economica, di un approccio esclusivamente orientato all’allontanamento forzoso di soggetti le cui precarie condizioni sociali e civili interpellano peraltro il tema della garanzia dei diritti fondamentali.
Soltanto in un contesto normativo profondamente innovato secondo le indicazioni descritte la legge, nelle ipotesi in cui un giudice ritenga che la persona da allontanare sia socialmente pericolosa o sia evidente il rischio di fuga oggettivamente non fronteggiabile con altre misure meno afflittive (deposito del passaporto o di una cauzione, obbligo di dimora, obbligo di presentazione agli uffici di polizia), in conformità con la direttiva 2008/115/CE si possono prevedere in casi eccezionali forme di limitazione della libertà, disciplinate completamente a livello legislativo e circoscritte nel tempo breve, sotto il costante controllo dell’autorità giudiziaria togata, monitorate dal Servizio sanitario nazionale e dagli enti di tutela degli immigrati e controllate in modo rigoroso circa le modalità di gestione finanziaria e le modalità di assistenza dignitosa delle persone.
In ogni caso, come prescrive la direttiva dell’UE sui rimpatri degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare, si deve espressamente prevedere che in tutte le ipotesi in cui il rimpatrio dello straniero espulso sia o sia diventato per qualsiasi motivo oggettivamente impossibile la restrizione alla libertà deve cessare, ma non ci si può limitare a dare allo straniero un’intimazione a lasciare spontaneamente il territorio nazionale, si deve anche prevedere la possibilità di riconsiderare sempre la sua complessiva situazione giuridica e umana e la possibilità di rilasciare allo straniero un titolo di soggiorno: nessuno deve essere lasciato in situazione di abbandono e in condizioni indegne di vita.
A questa complessiva riforma provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 41 della proposta di legge, che riformano i trattenimenti degli stranieri espulsi e le misure alternative al trattenimento e disciplinano, in conformità alla direttiva dell’UE sui rimpatri finora inattuata, il rinvio o la revoca dei provvedimenti di rimpatrio ineseguibili e l’abolizione dei reati connessi all’inottemperanza dei provvedimenti espulsivi per ingresso o soggiorno irregolari.
5. Gli accordi di riammissione.
Gli accordi di riammissione possono agevolare gli allontanamenti degli stranieri privi di titolo di soggiorno legale, ma devono essere uno ad uno ripensati e rinegoziati in modo trasparente anche per garantire il rispetto dei diritti fondamentali (soprattutto allorché dispongono di consegnare gli espulsi alle autorità di alcuni Stati che non rispettano effettivamente tali diritti), perché gli accordi di riammissione stipulati dall’Italia in realtà sono stati conclusi dai vari Governi in modo incostituzionale, cioè sono in vigore senza che sia stata approvata una legge di autorizzazione alla ratifica prevista dall’articolo 80 della Costituzione.
Ciò è divenuto ancora più urgente dopo che nel 2014 la legislazione vigente è stata modificata prevedendo che i provvedimenti amministrativi di espulsione di stranieri in situazione di ingresso e soggiorno irregolari possano essere eseguiti applicando le misure previste dagli accordi bilaterali di riammissione con gli altri Stati dell’UE in vigore prima del 2009, data di entrata in vigore della direttiva dell’UE sui rimpatri degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare.
Peraltro questi accordi di riammissione non devono costituire un sostituto di accordi per favorire un regolare ingresso degli stranieri di quei medesimi Stati, in modo da rendere realistica la gestione del fenomeno migratorio. In ogni caso nessun accordo di riammissione tra l’Italia e altri Paesi dell’UE deve essere applicato ai richiedenti protezione internazionale, perché in tale materia si applicano le norme di diritto europeo che disciplinano l’accesso alla protezione internazionale.
6. Abolire i reati che puniscono l’ingresso o il soggiorno irregolari dello straniero.
La delega legislativa prevista nell’articolo 2, comma 3, lettera b), della legge n. 67 del 2014 mirava ad «abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato» di ingresso e soggiorno irregolare, ma per ragioni incomprensibili e ingiustificate tale delega non è stata esercitata dal Governo.
Tuttavia persiste l’esigenza di abolire il reato contravvenzionale di ingresso e soggiorno irregolare degli stranieri (a ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 31 e dall’articolo 44) e tutti i reati connessi ad ogni tipo di ingresso o di soggiorno irregolari dello straniero o di reingresso dello straniero già respinto o espulso (a ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 39 e dall’articolo 40): la previsione di future e incerte pene detentive o pecuniarie nei confronti di stranieri espulsi soltanto perché si trovano in situazione di soggiorno irregolare non ha alcuna effettiva efficacia nella prevenzione e nel contrasto dell’immigrazione irregolare (sono più efficaci i rimedi amministrativi), aumenta inutilmente il carico giudiziario e può fare entrare lo straniero nel circuito penitenziario, il che finisce per agevolare i contatti degli stranieri con la criminalità.
7. Prima identificazione e rimpatrio degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare.
Il tema, trattato dall’articolo 10-ter del testo unico, introdotto dal citato decreto-legge n. 13 del 2017, fa riferimento al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563 (cosiddetto decreto Puglia), il quale però non contiene alcuna
disciplina giuridica dei centri di primo soccorso ed assistenza, né dei tempi nei quali il cittadino straniero da identificare può essere limitato nella sua libertà personale.
Così l’articolo 10-ter del testo unico legittima i «punti di crisi» (hotspot) con un mero richiamo al decreto-legge n. 451 del 1995 e ai centri governativi di prima accoglienza, di cui all’articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015, ma omette di qualificarne la natura e di definire il tempo in cui lo straniero da identificare possa essere limitato nella sua libertà personale.
L’articolo 13 della Costituzione indica precise e tassative condizioni al potere di limitazione della libertà personale, che nell’articolo 10-ter del testo unico sono totalmente assenti.
Il fatto che, teoricamente, il cittadino straniero possa sottrarsi all’identificazione, poiché tale comportamento determinerebbe l’integrarsi del «pericolo di fuga», presupposto per il trattenimento in un centro di permanenza per il rimpatrio, non eliminerebbe l’incostituzionalità del periodo precedente, affidato alle mere modalità organizzative dell’autorità di pubblica sicurezza.
Va ricordato, in proposito, che anche recentemente l’Italia è stata condannata dalla Grande Camera della CEDU nel caso Khlaifia v. Italia per il trattenimento illegittimo dei cittadini stranieri (violazione dell’articolo 5 della CEDU) nel centro di accoglienza di Lampedusa (un hotspot, appunto) e sulle navi divenute centri di detenzione in quanto non vi era alla base un provvedimento di un giudice che legittimasse tale detenzione, rendendo impossibile un ricorso effettivo (violazione dell’articolo 13 della CEDU).
In tal senso la mancata disciplina dei centri definiti «punti di crisi» (gli hotspot della terminologia dei documenti della Commissione europea), per il cui funzionamento si rinvia a testi normativi (decreto Puglia del 1995) che non contengono alcuna precisazione circa la natura di questi luoghi e le funzioni che vi si svolgono, viola la riserva di legge in materia di stranieri (articolo 10, secondo comma, della Costituzione) e la riserva assoluta di legge in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale (articolo 13 della Costituzione).
In moltissime occasioni le istituzioni europee e il Consiglio d’Europa hanno invitato l’Italia a disciplinare per legge le fasi di prima accoglienza e di identificazione dei migranti, come avviene in pressoché tutti i Paesi europei.
L’articolo 10-ter del testo unico non appare coerente con tali sollecitazioni, muovendosi piuttosto nel senso dell’ulteriore destrutturazione della disciplina legale dei fenomeni, affidando al potere amministrativo di polizia la gestione di centri che sono a tutti gli effetti, e per periodi di tempo spesso significativi, dei luoghi di privazione di libertà.
Per tali motivi le modifiche introdotte dall’articolo 32 della proposta di legge provvedono a modificare e a integrare l’articolo. 10-ter per prevedere che:
1) le attività di soccorso di migranti ritrovati o che entrino nel territorio dello Stato in situazione di soggiorno irregolare devono comunque comprendere una completa informazione, in lingua comprensibile a chiunque, della facoltà di manifestare la volontà di presentare domanda di asilo, e dei suoi diritti, come prevede l’articolo 8 della direttiva 2013/32/UE e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò vale in generale per qualsiasi straniero potenzialmente interessato a richiedere protezione internazionale. L’informazione deve essere accurata, fatta attraverso un mediatore culturale, in una lingua comprensibile e soltanto dopo che il richiedente ha ricevuto un primo aiuto ed è stato posto in condizioni di poter in modo sereno ricevere le informazioni medesime. L’attività informativa è compito dello Stato. Può essere fornita da soggetti terzi di provata competenza nel settore della protezione internazionale in convenzione con lo Stato, senza che tuttavia a questi soggetti possano essere contestualmente affidate attività di monitoraggio/garanzia nello stesso centro o in altri centri di eguale natura;
2) in mancanza di tale informazione ogni eventuale provvedimento di respingimento
o di espulsione deve intendersi nullo (Cassazione, sezione VI, ordinanza n. 5926 del 25 marzo 2015);
3) le operazioni di identificazione sono effettuate da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza nelle ipotesi, nei modi, nei limiti e nei termini previsti dalla legge per la generalità dei cittadini e dal regolamento (UE) n. 603/2013 che istituisce EURODAC;
4) poiché l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2013/32/UE prevede che le organizzazioni e le persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti abbiano effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne occorre prevedere espressamente tale accesso e garantire un accesso effettivo alle strutture di accoglienza o di trattenimento a enti indipendenti che possano monitorare l’effettivo rispetto del diritto all’informazione. Tali organizzazioni dovranno aver accesso a tutti i luoghi in cui sono presenti o transitano gli stranieri. L’accesso ai centri e alle singole parti di questi non può essere sottoposto a previa autorizzazione. Tali organizzazioni, in occasione dei loro accessi, possono altresì fornire informazioni direttamente ai richiedenti asilo. Tali organizzazioni non possono svolgere in convenzione con la pubblica amministrazione, sul territorio italiano, le attività di cui al paragrafo 2 dell’articolo 8 ovvero altre attività in convenzione con la pubblica amministrazione nei centri di primo soccorso o di prima accoglienza o nei centri di permanenza temporanea di cui all’articolo 14 del testo unico;
5) per evitare il riprodursi delle criticità nei centri di accoglienza previsti dal decreto Puglia del 1995, che si riferiva a un’emergenza circoscritta in termini geografici e temporali, risulta necessario fissare dei termini massimi di accoglienza in tali centri dedicati alle operazioni di colloquio e identificazione (12 ore), dei minimi standard di accoglienza e una modalità legittima di istituzione dei centri medesimi.
V. CAPO V – POTENZIAMENTO DELLA TUTELA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI.
1. Strumenti di tutela e processo antidiscriminatorio.
1.1. Nel rispetto dei princìpi e delle raccomandazioni di organismi internazionali ed europei, occorre istituire un’autorità amministrativa indipendente contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose, anche nell’ambito dell’ipotizzata Commissione indipendente per la tutela dei diritti umani. L’autorità dovrebbe avere componenti politici di nomina parlamentare e componenti della società civile scelti tra le associazioni con specifico curriculum individuate sulla base di un bando pubblico. A differenza dell’attuale Ufficio nazionale antidiscriminazione (UNAR), collocato presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, dovrebbe agire in modo autonomo e indipendente dai pubblici poteri quale Agenzia nazionale antidiscriminazione (Equality Body), con poteri più ampi di quelli attualmente riconosciuti all’UNAR e, in particolare, i seguenti: agire direttamente in giudizio, al pari di quanto avviene per la consigliera di parità nell’ambito della discriminazione di genere; effettuare indagini e acquisire dati o documenti; irrogare sanzioni amministrative in caso di inadempimento o omissione nel fornire le informazioni o i documenti richiesti, nonché nel caso di accertamento di una condotta discriminatoria (sul modello di quanto già previsto per il Garante per la protezione dei dati personali).
A ciò provvedono le modifiche introdotte con l’articolo 47 che mirano a prevedere la trasformazione dell’UNAR in Autorità nazionale antidiscriminazioni mediante un apposito regolamento governativo.
1.2. Occorre riordinare le varie tipologie del procedimento giudiziario antidiscriminatorio, già avviato con il decreto legislativo n. 150 del 2011, in particolare prevedendo:
I) l’ampliamento della possibilità di agire in giudizio per gli enti e le associazioni
della società civile nei casi di discriminazioni collettive, chiarendo che gli enti e le associazioni di cui all’elenco previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 215 del 2003 sono legittimati ad agire anche avverso le discriminazioni collettive previste dagli articoli 43 e 44 del testo unico;
II) l’espressa estensione dell’ambito di applicazione delle disposizioni in materia di molestia e di tutela delle vittime di discriminazioni fondate sull’elemento etnico-razziale contenute nei decreti di recepimento della direttiva 2000/43/CE (attualmente contenute solo nei decreti legislativi n. 215 e n. 216 del 2003) anche ai fattori di discriminazione contemplati dagli articoli 42 e 44 del testo unico e dunque anche al fattore di discriminazione della «nazionalità/cittadinanza» ovvero alla discriminazione dello straniero in quanto tale o della religione;
III) l’unificazione del processo antidiscriminatorio per ragioni di genere sul lavoro (attualmente non assoggettato al rito sommario di cognizione) con gli altri procedimenti al fine di consentire di affrontare con un’unica azione anche i casi di discriminazioni multiple (come quelle che accadono in relazione alla questione del velo islamico che può essere letto sia come discriminazione di genere che di religione);
IV) una più razionale disciplina della competenza territoriale che consenta al ricorrente (in particolare se si tratta di un’associazione) di agire in giudizio anche nel luogo in cui è stata commessa la discriminazione;
V) la gratuità del processo antidiscriminatorio.
Sulla base di tali princìpi si propongono perciò specifiche modifiche all’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150:
1) la prima modifica (introdotta dall’articolo 48 della proposta di legge) intende parificare il procedimento antidiscriminatorio per discriminazione di genere sul lavoro al procedimento antidiscriminatorio previsto per gli altri tipi di discriminazione, compresa quella di genere nell’accesso a beni e servizi. L’assetto attuale (che prevede un processo separato e diverso per la sola discriminazione di genere in ambito lavorativo), oltre a non essere sorretto da alcuna ragionevole motivazione, ha effetti pregiudizievoli laddove vengano fatte valere discriminazioni multiple che risulterebbero soggette a riti diversi (si pensi alle questioni del velo che possono configurare sia discriminazione di genere, sia discriminazione per motivi religiosi, le cui azioni civili sono ciascuna soggetta a riti diversi);
2) la seconda modifica (inserita dall’articolo 49 della proposta di legge), che introduce la previsione di fori alternativi, sul modello di quanto previsto dall’articolo 413 del codice di procedura civile, intende porre rimedio alla situazione attuale nella quale, fissando la competenza (inderogabile, secondo la Cassazione) nel luogo di domicilio del ricorrente accade spesso che il giudizio si debba svolgere lontano dal luogo in cui è stata posta in essere la discriminazione senza nessun vantaggio né per il ricorrente (che potrebbe aver interesse a un giudizio il più possibile vicino al luogo di svolgimento dei fatti), né per il convenuto. Inoltre, nel caso di azione collettiva proposta da associazioni la norma vigente finisce irragionevolmente per concentrare in un unico giudice la competenza a giudicare tutte le azioni proposte dalla medesima associazione, le quali però riguardano di volta in volta vicende che si sono realizzate in tutta Italia. Infine, qualora non si realizzasse la parificazione di cui al punto 1), la modifica consentirebbe di parificare parzialmente la competenza territoriale per discriminazione di genere (attualmente fissata nel luogo dove è stata posta in essere la discriminazione) con la competenza territoriale per le altre discriminazioni;
3) la terza modifica (introdotta dall’articolo 50 della proposta di legge) intende garantire che, nel processo antidiscriminatorio, anche la seconda fase di giudizio si svolga con le medesime garanzie di celerità previste per il primo grado.
La norma inoltre supererebbe l’attuale contraddittoria situazione nella quale talune corti ritengono che, anche qualora la causa in primo grado sia stata assegnata al giudice del lavoro, il secondo grado debba essere comunque introdotto con citazione. La maggioranza delle corti ritiene invece che il processo di secondo grado sia correttamente introdotto con ricorso, qualora il primo grado si sia svolto davanti al giudice del lavoro. L’incertezza espone tuttavia gli appellanti a eccezioni, qualunque sia l’opzione scelta.
Parificando sostanzialmente il rito di appello ai sensi dell’articolo 702-quater del codice di procedura civile e il rito di appello del lavoro, la contraddizione verrebbe in ogni caso risolta;
4) la quarta modifica (introdotta dall’articolo 51, capoverso 3-bis dell’articolo 28, della proposta di legge) è volta a recepire l’orientamento maggioritario della giurisprudenza secondo la quale le associazioni di cui all’elenco previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 215 del 2003 (che disciplina le azioni avverso le discriminazioni per razza e origine etnica) hanno legittimazione ad agire anche avverso le discriminazioni «dello straniero». La diversa interpretazione, talora accolta da qualche tribunale, avrebbe effetti gravissimi in termini di tutela, posto che la maggior parte delle discriminazioni avviene nei confronti degli stranieri a tutela dei quali – nell’interpretazione restrittiva – nessuna associazione avrebbe legittimazione attiva;
5) la quinta modifica (introdotta dall’articolo 51, capoverso 3-ter dell’articolo 28, della proposta di legge) riguarda la gratuità delle azioni antidiscriminatorie.
2. In materia di apolidia l’Italia, a differenza di molti altri Paesi, prevede un meccanismo per ottenere l’accertamento dello status di apolidia. Anzi, ne prevede due: uno in via amministrativa (tramite domanda da presentare al Ministero dell’interno) e uno in via giudiziaria (tramite atto di citazione da presentare al tribunale ordinario di Roma).
Nessuno dei due meccanismi risulta però operare in modo soddisfacente: in particolare, i tempi necessari per l’accertamento, i costi in caso di mancato accesso al patrocinio a spese dello Stato e le difficoltà di provare lo status costituiscono rilevanti ostacoli all’accertamento dello status di apolidia.
Anche i diritti dell’apolide e di chi chieda l’accertamento dello status di apolidia sono regolati senza tenere conto della particolare vulnerabilità di chi si trovi privo di qualsiasi cittadinanza e rischi di essere equiparato a un cittadino straniero privo del diritto a soggiornare sul territorio italiano e, in quanto tale, destinatario della normativa sull’allontanamento e sulla detenzione degli stranieri.
Al fine di superare tali gravi problematiche, è opportuna l’approvazione di una legge che disciplini le modalità di accertamento dello status di apolidia e i diritti spettanti nelle more del procedimento e successivamente al riconoscimento.
Tale compito è oggi facilitato dal lavoro effettuato a livello internazionale dall’UNHCR, volto a identificare le linee guida e i princìpi che gli Stati sono chiamati a rispettare in materia di identificazione e protezione degli apolidi (linee guida e princìpi che sono oggi previsti e disciplinati nell’Handbook on Protection of Stateless persons pubblicato nel 2014 dall’UNHCR).
Intanto occorre modificare il testo unico (a ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 46 della proposta di legge) in modo da evitare che vi siano persone che di fatto siano apolidi, ma che non riescano a ottenere le garanzie previste dalla Convenzione relativa allo status degli apolidi, adottata a New York il 28 settembre 1954, resa esecutiva dalla legge n. 306 del 1962. In particolare:
1) in materia di accertamento dello status di apolide, sia in via amministrativa (garantendo l’effettivo riconoscimento a chiunque si trovi nel territorio italiano, inclusi i minori, e non soltanto a chi in precedenza era straniero residente), sia in via giudiziaria (precisando meglio sia il
tribunale ordinario competente, sia il rito applicabile);
2) in materia di diritti del richiedente il riconoscimento dello status di apolide e dell’apolide riconosciuto con riferimento in particolare all’esigenza di rilasciare sempre un apposito titolo di soggiorno, sia durante la procedura amministrativa o giudiziaria di riconoscimento (e identica norma deve essere prevista in caso di richiesta di cittadinanza), sia dopo il riconoscimento.
VI. CAPO VI – RAFFORZAMENTO DELLE PARI OPPORTUNITÀ E DELL’ACCESSO AI DIRITTI SOCIALI.
La parità di trattamento dello straniero regolarmente soggiornante rispetto al cittadino italiano costituisce, in Italia come in Europa, un obiettivo fondamentale in primo luogo per garantire una società più giusta e più coesa ed evitare situazioni di emarginazione e di conflitto sociale, ma anche per garantire un’effettiva mobilità dei lavoratori, componente essenziale della crescita economica.
Una forte spinta in tal senso proviene dalla direttiva 2011/98/UE che semplifica le procedure di rilascio del permesso di soggiorno e definisce un contenuto minimo del permesso per tutti i cittadini di Paesi terzi ai quali è consentito di lavorare stabilendo in particolare un vincolo di parità di trattamento in molti campi della vita sociale.
Il recepimento di tale direttiva – con il decreto legislativo n. 40 del 2014 – è stato lacunoso sia sotto il profilo della semplificazione sia sotto il profilo della parità di trattamento, in particolare per l’accesso alle prestazioni sociali.
Occorre dunque intervenire da un lato per completare tale recepimento, dall’altro per razionalizzare – in materia di accesso alle prestazioni sociali – le disposizioni che si sono accavallate in modo disordinato negli ultimi anni, sia per renderle coerenti con la direttiva, sia – anche indipendentemente dalla norma europea – per creare un assetto più equo e razionale.
1. Procedure di rilascio del permesso e di accesso al lavoro.
Occorre (come dispongono le modifiche introdotte dall’articolo 57 della proposta di legge):
I) abolire il contratto di soggiorno, previsto dall’articolo 5-bis del testo unico garantendo che – in conformità alla direttiva – l’autorizzazione al soggiorno e l’autorizzazione al lavoro siano contenute in un unico atto;
II) eliminare qualsiasi riferimento all’obbligo del datore di lavoro di provvedere al dipendente l’alloggio e le spese per il rientro in patria, garantendo così che, fin dal primo ingresso, tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti autorizzati al lavoro possano muoversi nel mercato del lavoro a condizioni paritarie rispetto al cittadino italiano.
2. Parità di trattamento nell’accesso al lavoro private.
Benché tale parità sia formalmente rispettata, costituisce dato di comune conoscenza che la forza lavoro straniera è collocata in prevalenza in settori a bassa qualificazione, con situazioni che – anche quando non sfociano nel lavoro nero – restano comunque gravemente peggiorative rispetto ai settori con prevalente presenza di lavoratori autoctoni.
Al fine di invertire questa tendenza occorre pertanto, oltre a quanto indicato nel paragrafo sugli ingressi:
semplificare le procedure di riconoscimento dei titoli di studio, al fine di consentire allo straniero una migliore spendita del titolo nel mercato del lavoro italiano (così prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 11 della proposta di legge);
prevedere l’obbligo a carico del datore di lavoro che si avvalga in prevalenza di forza lavoro straniera di offrire «azioni positive» a vantaggio dei dipendenti, quali corsi di italiano o iniziative di formazione professionale.
3. Accesso alle prestazioni sociali di sostegno alla famiglia e alla natalità.
Dette prestazioni si sono moltiplicate in modo disordinato con previsione – per quanto riguarda gli stranieri – di requisiti diversi talora indicati da mere circolari.
In particolare si tratta di:
assegno di maternità di base ai sensi dell’articolo 74 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001 (dal quale sono attualmente esclusi i titolari di permesso unico lavoro e i titolari di carta blu UE);
assegno di maternità per le lavoratrici atipiche previsto dall’articolo 75 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001 (per i soli lungosoggiornanti);
assegno per il nucleo familiare numeroso di cui all’articolo 65 della legge n. 488 del 1998 e all’articolo 1, comma 130, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (dal quale sono esclusi i titolari di permesso unico lavoro e i titolari di carta blu UE);
assegno di natalità di cui all’articolo 1, comma 125, della citata legge n. 190 del 2014(per i lungosoggiornanti e per i titolari di protezione internazionale).
Tutte le prestazioni citate devono essere estese, con parità di condizioni rispetto ai cittadini italiani, a tutti gli stranieri per i quali le direttive europee prevedono la parità di trattamento e pertanto agli stranieri titolari di permesso unico lavoro (articolo 12 della direttiva 2011/98/UE), ai familiari non dell’UE di cittadini dell’UE (articolo 24 della direttiva 2004/38/CE), ai titolari di protezione internazionale (articolo 29 della direttiva 2011/95/UE) ai titolari di carta blu UE (articolo 14 della direttiva 2009/50/CE), peraltro in conformità alla giurisprudenza creatasi sul punto.
Inoltre occorre prevedere che l’assegno ordinario per il nucleo familiare (per lavoratori, disoccupati e pensionati) ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 69 del 1988, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 153 del 1988, sia erogato a parità di condizioni per italiani e stranieri, tenendo conto dei familiari a carico residenti all’estero, come già previsto per i cittadini italiani e dell’UE.
4. Accesso alle prestazioni sociali per il contrasto della povertà.
La recente introduzione del Sostegno all’inclusione attiva (SIA), con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 26 maggio 2016, limita i destinatari della prestazione ai titolari di permesso di lungo periodo, ai familiari di cittadini dell’UE e ai titolari di protezione internazionale con esclusione, quindi, proprio di quelle categorie che si trovano presumibilmente in condizioni di maggiore povertà, non avendo potuto accedere al reddito minimo necessario per ottenere il permesso di lungo periodo.
Indipendentemente dalla possibilità di ricondurre anche tale prestazione nell’ambito della direttiva 2011/98/UE, occorre porre rimedio a tale scelta iniqua e irrazionale e pertanto estendere questa prestazione, come pure quella della carta acquisti ordinaria (articolo 81, comma 32, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti che si trovino nella situazione di bisogno prevista per queste prestazioni.
Nella stessa ottica occorre eliminare il requisito del permesso di lungo periodo ancora previsto per l’assegno sociale, peraltro in contrasto con la direttiva 2011/98/UE qualora il soggetto ultrasessantacinquenne sia in possesso di un permesso che consente di lavorare.
5. Prestazioni di invalidità.
Benché la questione sia stata risolta dalle numerose sentenze della Corte costituzionale che, con riferimento alle prestazioni di invalidità, hanno dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 nella parte in cui prevede il requisito del permesso di lungo periodo per l’accesso a tali prestazioni, la norma rimane formalmente ancora in vigore e induce in errore utenti e amministrazioni incaricate di curare l’informazione sul punto.
Occorre quindi abrogare la norma e prevedere espressamente che le prestazioni in materia di disabilità (indennità di accompagnamento, indennità di frequenza, assegno di invalidità, pensione di invalidità) siano garantite a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti, senza alcuna distinzione derivante dal titolo di soggiorno, così recependo integralmente il contenuto delle decisioni della Corte costituzionale (nn. 306 del 2008, 11 del 2009, 285 del 2009, 187 del 2010, 329 del 2011 e 40 del 2013) e alla luce del principio di non discriminazione contenuto nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con legge n. 18 del 2009.
6. Altre prestazioni sociali.
La normativa in materia di accesso degli stranieri di Paesi terzi a prestazioni sociali di natura assistenziale va rivista, eliminando condizioni e requisiti discriminatori, alla luce dei seguenti princìpi generali e riferimenti a norme di diritto internazionale ed europeo:
1) in adempimento della Convenzione dell’OIL n. 143 del 1975, ratificata dall’Italia con legge n. 158 del 1981, occorre garantire la piena parità di trattamento dei lavoratori migranti e dei loro familiari;
2) occorre garantire un pieno ed effettivo recepimento nella legislazione interna delle disposizioni in materia di parità di trattamento contenute nella direttiva 2011/98/UE, che riguardano anche la materia della sicurezza sociale di cui al regolamento (CE) n. 883/2004 incluse, dunque, tutte le prestazioni familiari e quelle anche a carattere misto ovvero non contributivo ma che costituiscono diritti soggettivi secondo la legislazione vigente. A tale riguardo, va dunque riformato l’articolo 41 del testo unico prevedendo che accedano alle misure anche economiche di assistenza sociale alle medesime condizioni previste per i cittadini italiani non soltanto gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno e i loro figli minori, ma anche tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti con un titolo di durata inferiore, salvo quelli eventualmente «inattivi» che non abbiamo svolto un’attività lavorativa in Italia per un periodo minimo di sei mesi (articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/98/UE);
3) per i lungo soggiornanti, titolari dell’apposito permesso di soggiorno di cui alla direttiva 2003/109/CE, occorre garantire la piena parità di trattamento in materia rivedendo la previsione contenuta nell’articolo 9 del testo unico recependo integralmente quanto previsto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea nella sentenza Kamberaj c. Provincia autonoma di Bolzano (causa C-571/10, sentenza 24 aprile 2012);
4) per i rifugiati e i titolari della protezione sussidiaria occorre garantire il rispetto del principio di parità di trattamento in materia di prestazioni di assistenza sociale e di accesso all’abitazione di cui alla direttiva 2011/51/UE.
In ossequio ai princìpi e agli obblighi internazionali ed europei richiamati, occorre in particolare:
1) abrogare la previsione, attualmente vigente per i soli cittadini di Paesi terzi non membri dell’UE, della residenza decennale o quinquennale nella regione, al fine dell’accesso al Fondo nazionale per il sostegno alle locazioni (legge n. 431 del 1998);
2) eliminare la limitazione, prevista nella legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), dell’assegno per la nascita o l’adozione di un figlio avvenute dal 2015 al 2017 soltanto alle donne italiane o cittadine dell’UE o titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: tale limitazione viola la parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri prevista nell’articolo 12 della direttiva 2011/98/UE per tutti gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, nell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE per i familiari non dell’UE di cittadini italiani o di altri Stati dell’UE residenti nel territorio dello Stato, nell’articolo 29 della direttiva 2011/95/UE per gli stranieri o apolidi regolarmente
soggiornanti in Italia a cui sia stato riconosciuto lo status di protezione internazionale (status di rifugiato e status di protezione sussidiaria) e nell’articolo 14, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2009/50/CE per i titolari di carta blu UE;
3) eliminare le limitazioni ancora vigenti per l’accesso all’assegno per le famiglie numerose di cui all’articolo 65 della legge n. 448 del 1998, dal quale sono attualmente esclusi tutti i cittadini di Stati terzi non membri dell’UE, tranne i rifugiati politici, e all’assegno maternità di base di cui all’articolo 74 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, di cui possono attualmente beneficiare le sole cittadine di Stati terzi non membri dell’UE titolari del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti e le rifugiate politiche (per tale esclusione l’Italia è stata condannata anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza 8 aprile 2014, Dhahbi c. Italia, 8 aprile 2014, C-17120/09);
4) abolire il requisito di residenza decennale in Italia ai fini dell’accesso all’assegno sociale, previsto a partire dal 1° gennaio 2009 sulla base dell’articolo 20, comma 10, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, che costituisce una chiara discriminazione indiretta o dissimulata fondata sulla residenza, come tale vietata dal diritto dell’UE;
5) eliminare la limitazione ai soli cittadini italiani o cittadini dell’UE o familiari di cittadini dell’UE o non dell’UE lungosoggiornanti per l’accesso al beneficio sociale della carta acquisti (social card) riservata agli anziani over 65 e ai bambini under 3 in condizioni di bisogno economico, previsto dall’articolo 81, comma 32, del citato decreto-legge n. 112 del 2008, ed eliminare la limitazione all’accesso alla nuova carta acquisti di cui all’articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, prevista per i soli cittadini italiani e di altri Stati membri dell’UE, nonché per i lungo soggiornanti e dalla quale continuano a essere esclusi anche i rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria.
7. Prestazioni relative all’accesso all’alloggio.
Sempre nella prospettiva di garantire la parità a un diritto sociale garantito anche dall’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, occorre (come prevedono le modifiche introdotte dall’articolo 54 della proposta di legge):
1) abrogare la previsione, vigente per i soli cittadini di Paesi non dell’UE, della residenza decennale nello Stato o quinquennale nella regione, al fine dell’accesso al Fondo nazionale per il sostegno alle locazioni;
2) rivedere la previsione, contenuta nelle legislazioni regionali, relativa ai requisiti di lungo residenza per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica (ERP): tali requisiti, benché previsti normalmente sia per italiani che per stranieri, determinano una discriminazione indiretta in danno di questi ultimi che hanno una mobilità più elevata da regione a regione e impediscono un’auspicabile libertà di movimento sul territorio nazionale alla ricerca di migliori condizioni di vita. Se introdotti, devono pertanto essere contenuti in limiti molto ridotti;
3) eliminare il requisito dello svolgimento di un’attività lavorativa ai fini dell’accesso degli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno agli alloggi di ERP in condizione di parità con gli italiani.
8. Procedure di accesso alle prestazioni sociali.
Occorre abrogare l’articolo 3 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 nella parte in cui limita la possibilità dello straniero di accedere all’autocertificazione. Tale norma, benché in parte superata dalle norme in materia di ISEE (che prevedono anche per lo straniero la possibilità di autocertificare beni e redditi posseduti all’estero) continua a creare rilevanti ostacoli per l’accesso all’assegno sociale, agli alloggi di ERP e ad altre prestazioni.
Occorre invece dare piena attuazione all’articolo 2, comma 5, del testo unico che prevede la parità di trattamento tra italiani e stranieri nel rapporto con la pubblica amministrazione e pertanto parificare la possibilità di autocertificazione, fermo restando l’obbligo dell’amministrazione di provvedere a tutte le necessarie verifiche.
A quanto indicato nei punti 3, 4, 5, 6 e 8 provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 55 della proposta di legge.
9. Accesso degli stranieri al pubblico impiego.
L’ampliamento dell’accesso al pubblico impiego degli stranieri regolarmente soggiornanti titolari di protezione internazionale o di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, previsto dall’articolo 38 del decreto legislativo n. 165 del 2001, alle stesse condizioni previste per i cittadini degli Stati membri dell’UE, ovvero con le uniche limitazioni per gli impieghi che implichino l’esercizio di pubblici poteri ovvero attengano alla tutela dell’interesse nazionale, deve essere completato modificando la normativa in materia di rapporti di impiego nelle pubbliche amministrazioni per consentire l’accesso al pubblico impiego anche ai cittadini di Stati non membri dell’UE regolarmente soggiornanti in Italia che siano in possesso di un titolo di soggiorno che consente di accedere ad altri rapporti di lavoro subordinato, in adempimento del vincolo paritario previsto dalla Convenzione dell’OIL n. 143 del 1975.
Occorre inoltre rivedere il regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 febbraio 1994, n. 174, contenente l’elenco dei posti e delle funzioni riservati ai cittadini italiani, che – risalendo a ventitré anni orsono – non corrisponde all’attuale assetto organizzativo della pubblica amministrazione, alle attuali regole di inquadramento dei dipendenti, nonché alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE che consente la riserva ai cittadini esclusivamente di quelle posizioni di lavoro che comportino in via continuativa l’esercizio di pubbliche funzioni.
Occorre infine chiarire, sempre in ottemperanza alla giurisprudenza dell’UE, che dette limitazioni si riferiscono esclusivamente alla pubblica amministrazione come definita dal decreto legislativo n. 165 del 2001, con esclusione pertanto di società ed enti a partecipazione pubblica anche totale.
A tutto ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 56 della proposta di legge.
10. Accesso alla sanità.
Occorre che siano previste norme statali affinché tutte le regioni recepiscano e diano completa attuazione all’accordo Stato-regioni in materia di accesso degli stranieri al Servizio sanitario nazionale n. 255/CSR del 2012, sia per gli stranieri privi di permesso di soggiorno in corso di validità, sia per i cittadini dell’UE presenti sul territorio italiano e privi della tessera europea di assicurazione malattia e dei requisiti per l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale.
In particolare, si richiamano le seguenti esigenze da inserire nelle norme statali (a cui provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 53 della proposta di legge):
1) uniformità delle disposizioni regionali e della loro fruibilità, coerentemente con i livelli essenziali di assistenza (LEA) (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017);
2) piena equiparazione dei diritti assistenziali dei cittadini dell’UE (codice ENI) a quelli degli stranieri privi di permesso di soggiorno in corso di validità (codice STP);
3) possibilità di iscrizione al medico di medicina generale, onde garantire la continuità delle cure;
4) riconoscimento, ai minori figli di stranieri privi di permesso di soggiorno in corso di validità, o figli di cittadini di altri Stati dell’UE non iscrivibili al Servizio sanitario nazionale, presenti sul territorio italiano, di diritti sanitari paritetici a quelli dei minori italiani o dei minori figli di stranieri in regola con le norme relative al soggiorno, fino al compimento del diciottesimo anno;
5) garanzia della possibilità di iscrizione dei familiari ultrasessantacinquenni ricongiunti (volontaria nel primo anno dall’ingresso e successivamente obbligatoria); a ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 52 della proposta di legge;
6) garanzia che, in nome del principio della continuità delle cure, nessuna misura di allontanamento possa essere presa nei confronti di un cittadino di un Paese straniero che sia colpito da una patologia grave, indipendentemente dal fatto che sia o no in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno (a ciò provvedono le modifiche introdotte dagli articoli 31 e 32 della proposta di legge).
VII. CAPO VII – RAFFORZAMENTO DELLA TUTELA DELLE VITTIME DI TRATTA, DI VIOLENZA E DI GRAVE SFRUTTAMENTO.
Il fenomeno della tratta di esseri umani ha subìto e continua a subire continue modificazioni ed evoluzioni, tra cui l’affermazione e la sovrapposizione di diversi ambiti di sfruttamento (sessuale, lavorativo, dell’accattonaggio, delle attività illecite, dello sfruttamento finalizzato all’espianto degli organi e alle adozioni illegali), il cambiamento dei mezzi di reclutamento, dei tragitti, del target di vittime, più compositi in termini di nazionalità, genere, età e contesto socio-culturale.
In Italia il fenomeno è quanto mai presente, sebbene l’emersione delle situazioni di grave sfruttamento e dunque l’identificazione delle vittime, soprattutto in ambiti diversi da quello sessuale, rimanga la sfida più difficile.
Le trasformazioni dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo hanno fatto sì che sia aumentato considerevolmente il numero di richiedenti asilo vittime di tratta o a rischio di divenirlo. Moltissimi migranti, nel disperato tentativo di raggiungere i nostri confini, si affidano ad organizzazioni che spesso, durante il percorso o giunti a destinazione, li vincolano a situazioni di sfruttamento.
Il recepimento della direttiva 2011/36/UE con il decreto legislativo n. 24 del 2014 ha consentito l’introduzione di alcune disposizioni di rilievo sotto il profilo della protezione delle vittime, ma il sistema necessita ancora di essere migliorato, tanto sotto il profilo normativo quanto per quel che riguarda le misure necessarie per dare attuazione pratica alle norme stesse.
Inoltre, le norme attualmente vigenti in materia di ingresso e soggiorno nel territorio italiano dei cittadini non appartenenti agli Stati dell’UE hanno indirettamente contribuito ad alimentare il fenomeno dello sfruttamento di lavoratori a basso costo e privi di ogni garanzia previdenziale e assistenziale.
Per contrastare tale fenomeno, la tutela della vittima deve essere posta in primo piano e per raggiungere tale obiettivo occorre:
1) dare piena attuazione alle disposizioni della direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, fornendo assistenza e sostegno alle vittime e garantendo effettive forme di indennizzo;
2) dare completa attuazione all’articolo 18 del testo unico e in generale alle norme relative ai diritti delle vittime di tratta;
3) aumentare le misure relative al coordinamento tra i sistemi della protezione internazionale e della protezione delle vittime di tratta;
4) modificare le vigenti norme nazionali in tema di grave sfruttamento lavorativo che sono del tutto prive di coerenza e organicità e incapaci di tutelare effettivamente le vittime.
Occorre oggi acquisire gli strumenti per «identificare» le vittime di tratta, meritevoli di una diversa e più ampia tutela sotto molteplici profili, incluso il loro diritto a soggiornare sul territorio.
In ogni caso la principale misura del contrasto alla tratta di esseri umani è la protezione delle vittime. Essere in grado di identificare e dunque di proteggere una vittima significa anche acquisire un elemento
utile, se non determinante, per le indagini volte a reprimere il fenomeno criminale.
Perciò occorre favorire la corretta applicazione delle norme già vigenti a tutela delle vittime e dare completo recepimento alle norme dell’UE e sovranazionali nell’ordinamento italiano.
A fronte della notevole presenza di vittime di tratta tra coloro che chiedono la protezione internazionale, è necessario sviluppare misure volte alla corretta identificazione delle vittime stesse nell’ambito della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, in osservanza peraltro di quanto disposto dall’articolo 11 della direttiva 2011/36/UE.
La recente approvazione del Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento di esseri umani di cui all’articolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228, come modificato dal decreto legislativo n. 24 del 2014, deve costituire il punto di partenza per la ripresa di azioni di sistema a livello istituzionale e per l’attuazione delle misure che lo stesso Piano individua, in particolare per quel che riguarda la protezione delle vittime.
Occorre inoltre consentire agli enti del pubblico e del privato sociale che da anni realizzano i programmi di protezione a tutela delle vittime di continuare a offrire i loro servizi mediante un adeguato sostegno strutturale e finanziario.
In questa prospettiva occorre prevedere gli interventi di seguito elencati.
1. Recepire pienamente le norme della direttiva 2011/36 UE.
In particolare è necessario:
a) introdurre nel codice penale la previsione espressa che il consenso della vittima allo sfruttamento sia irrilevante in presenza di uno dei metodi coercitivi previsti (a ciò provvede l’articolo 64 della proposta di legge);
b) prevedere il mancato esercizio dell’azione penale nei confronti delle vittime coinvolte in attività criminali;
c) fornire assistenza e sostegno alle vittime indipendentemente dalla collaborazione con l’autorità giudiziaria;
d) garantire effettive forme di indennizzo alle vittime dei reati connessi alla tratta degli esseri umani e alle altre forme di grave sfruttamento;
e) adottare misure per la rapida identificazione delle vittime di tratta;
f) introdurre, con una norma di fonte primaria, un periodo di riflessione affinché sia garantito alle potenziali vittime di tratta la possibilità di riprendersi e sottrarsi realmente ai propri sfruttatori senza che in tale periodo possa essere disposta o eseguita alcuna misura di allontanamento.
Infatti il decreto legislativo n. 24 del 2014 ha recepito la direttiva 2011/36/UE, ma talvolta in modo parziale o distante dalla sua ratio, il che non ha fatto prevedere nell’ordinamento italiano norme di notevole rilevanza sotto il profilo dell’effettiva tutela delle vittime di tratta e per il consolidamento di un buon sistema anti-tratta: l’approccio adottato dal legislatore europeo, volto a una visione d’insieme della problematica della tratta di esseri umani in una prospettiva in cui si integravano disposizioni di natura penale con altre volte a introdurre misure volte alla protezione e all’assistenza delle vittime, è stato ripreso solo formalmente dal decreto legislativo, che si è limitato a introdurre norme, tra loro slegate, che modificano altre norme del codice penale, del codice di procedura penale, della legge sulla tratta e del testo unico, senza creare una disciplina di sistema che potesse finalmente realizzare l’obiettivo perseguito dalla direttiva e ha omesso di recepire alcune norme di particolare rilevanza della direttiva, alcune delle quali prevedono peraltro specifici obblighi a carico degli Stati.
Tra queste in particolare:
in recepimento dell’articolo 2 della direttiva l’espressa previsione per cui il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante in presenza di uno dei metodi coercitivi previsti;
in recepimento dell’articolo 8 della direttiva, l’introduzione di una norma che preveda la non punibilità per chi ha commesso
il fatto per esservi stato costretto come conseguenza diretta di uno degli atti di cui agli articoli 600 e 601 del codice penale;
in recepimento dell’articolo 11 della direttiva, le disposizioni relative all’adeguata e completa assistenza alle vittime, sotto il profilo della precocità dell’assistenza stessa (offerta sin dai primi indizi in cui vi sia «ragionevole motivo» di ritenere che l’interessato sia vittima di tratta), della garanzia dell’assistenza e della tutela a prescindere dalla collaborazione (norma non presente nel nostro ordinamento come fonte di natura primaria), nonché dell’introduzione di «adeguati meccanismi di rapida identificazione» delle vittime.
2. Garantire l’effettivo accesso delle vittime ai sistemi di protezione previsti dalla normativa vigente.
Tale garanzia, prevista dall’articolo 18 del testo unico e dall’articolo 13 della legge n. 228 del 2003, deve essere assicurata mediante:
a) l’introduzione nel citato articolo 18 di una chiara disposizione che preveda il rilascio del titolo di soggiorno indipendentemente dalla collaborazione della vittima con l’autorità giudiziaria, in linea con quanto previsto dalla direttiva 2011/36/UE;
b) la riorganizzazione e l’istituzione degli appositi organismi di controllo e monitoraggio del fenomeno anche attraverso le misure predisposte dal Piano d’azione nazionale contro la tratta e il grave sfruttamento di esseri umani;
c) la previsione di consistenti e regolari stanziamenti finanziari dei relativi progetti di assistenza e integrazione sociale;
d) la realizzazione dei percorsi di formazione previsti dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 24 del 2014 che consentano di migliorare la preparazione di tutti i soggetti che entrano in contatto con le potenziali vittime di tratta;
e) la realizzazione di tutte le misure previste dal citato Piano d’azione nazionale, tra cui l’adozione di un National Referral Mechanism.
3. Aumentare le misure relative al coordinamento tra i sistemi della protezione internazionale e della protezione delle vittime di tratta.
Tale obiettivo si raggiunge attraverso:
a) l’adozione di misure di coordinamento tra le attività di competenza delle amministrazioni che si occupano della tutela e dell’assistenza delle vittime di tratta e quelle che hanno competenza in materia di protezione internazionale, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 10, comma 1, del decreto legislativo n. 24 del 2014;
b) la realizzazione di misure volte a dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 10, comma 2, del decreto legislativo n. 24 del 2014, che dispone che siano fornite adeguate informazioni alle persone straniere che si trovino in una situazione di grave sfruttamento relativamente alla possibilità di ottenere la protezione internazionale;
c) l’individuazione di strategie utili per migliorare il sistema di accoglienza di richiedenti asilo che si ritenga possano essere vittime di tratta nonché per sostenere l’accoglienza dei richiedenti asilo identificati come vittime di tratta nelle strutture del sistema anti-tratta così come stabilito dall’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo n. 142 del 2015.
Al recepimento delle esigenze indicate nei punti 2 e 3 provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 60 della proposta di legge.
4. Rafforzare la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo per dare tutela effettiva dei diritti delle vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo.
Oltre a tale obiettivo è necessario rimediare al recepimento inadeguato e incompleto da parte del decreto legislativo n. 109 del 2012 della direttiva 2009/52/UE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di
datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. A tale fine occorrono:
a) modifiche all’articolo 22, comma 12–bis, del testo unico, prevedendo il rilascio del permesso di soggiorno in tutti i casi di grave sfruttamento lavorativo di cui all’articolo 603-bis del codice penale e anche indipendentemente dalla collaborazione della vittima straniera nel relativo procedimento penale;
b) interventi integrativi, anche tramite disposizioni regolamentari, al fine di una piena attuazione di tutte le disposizioni della direttiva stessa, anche per tutelare i lavoratori sfruttati e dare loro informazioni sulla possibilità di denunciare i rapporti irregolari, di recuperare retribuzioni e contributi previdenziali evasi e di ottenere assistenza e un permesso di soggiorno se ne sono sprovvisti;
c) realizzare su tutto il territorio nazionale un piano di effettive e costanti verifiche sulle situazioni lavorative che prevenga e contrasti effettivamente i datori di lavoro senza scrupoli e gli sfruttatori e che favorisca la collaborazione dei lavoratori stranieri sfruttati, anche se in condizione di soggiorno irregolare; tali verifiche dovranno essere effettuate anche dall’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, che deve integrare i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ai sensi dell’articolo 1, comma 7, lettera l), della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
Si segnalano in particolare:
A) l’illegittima limitazione del concetto di «sfruttamento».
La definizione di «particolare sfruttamento» concretamente adottata dal legislatore nazionale (commi 12-bis e seguenti dell’articolo 22 del testo unico) non è conforme alle disposizioni della direttiva: la sussistenza di particolari condizioni di sfruttamento, a cui è collegato l’accesso al permesso di soggiorno per motivi umanitari, è infatti riconosciuta in base a una definizione molto più restrittiva, ovvero:
a) escludendo dalla tutela i minori in età lavorativa;
b) omettendo il richiamo alle condizioni di particolare sfruttamento come intese dall’articolo 2, lettera i), della direttiva e precisamente riconosciute dal nostro ordinamento nel terzo comma dell’articolo 603-bis del codice penale (sistematica retribuzione deteriore, ritmi e tempi di lavoro abnormi, pericolosità e insalubrità dell’ambiente di lavoro, condizioni di lavoro degradanti), così disapplicando non solo la direttiva ma altresì la citata norma interna;
c) inserendo invece l’arbitraria condizione limitativa – ai fini della specifica sanzione penale e della concessione del permesso di soggiorno alle vittime – che si tratti di almeno quattro lavoratori in condizione di soggiorno irregolare impiegati presso lo stesso datore di lavoro (come se la gravità dello sfruttamento individuale potesse essere diversamente valutata in relazione al numero di vittime di tale sfruttamento), laddove la direttiva non prende in considerazione alcun criterio «quantitativo» ai fini della valutazione della gravità delle condizioni di sfruttamento.
Inoltre, nell’ordinamento italiano non è stata espressamente prevista la concessione del permesso di soggiorno nemmeno in favore delle vittime dei più gravi reati previsti e puniti dagli articoli 600 e 603-bis del codice penale, né in favore delle vittime del reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare per finalità di sfruttamento previsto e punito dall’articolo 12, comma 3-ter, lettera a), del testo unico, quantomeno nei casi, non certo rari, in cui non sussistano né i requisiti di cui al comma 12-bis dell’articolo 22 dello stesso testo unico, né le condizioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti delle vittime dei reati in favore delle quali è prevista l’adozione delle misure di assistenza e di integrazione sociale in applicazione dell’articolo 18 del
medesimo testo unico (è noto, infatti, che le forme anche più propriamente schiavistiche di sfruttamento non richiedono necessariamente violenza, né richiedono necessariamente l’attività di vere e proprie organizzazioni criminali in senso tecnico);
B) la mancata adozione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 7 della direttiva.
L’articolo 7 della direttiva 2009/52/CE impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché un datore di lavoro responsabile dell’impiego di lavoratori irregolarmente soggiornanti sia escluso da benefìci e da sovvenzioni pubblici (anche dell’UE) ovvero sia tenuto al rimborso degli stessi, come pure che sia sottoposto alla chiusura temporanea dell’azienda. Nessuna di queste misure risulta essere stata adottata nell’ordinamento italiano, pur essendo di tutta evidenza la loro importanza ai fini di dissuasione espressamente contemplati dalla direttiva nei diversi settori produttivi, si pensi ad esempio alla fortissima incidenza delle sovvenzioni e agevolazioni pubbliche nell’agricoltura, oppure alla rilevanza dell’interdizione dagli appalti nell’edilizia;
C) la totale violazione del fondamentale obbligo di informazione.
Il legislatore nazionale ha totalmente omesso il recepimento nell’ordinamento italiano dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva, il quale prevede in modo in equivoco, non solo in favore delle vittime di particolare sfruttamento bensì di tutti i cittadini di Paesi terzi assunti illegalmente (anche nei casi di rimpatrio forzato o volontario), l’obbligo di informare «sistematicamente e oggettivamente i cittadini di paesi terzi circa i loro diritti ai sensi del presente paragrafo e dell’articolo 13 prima dell’esecuzione di qualsiasi decisione di rimpatrio». Detto obbligo di informazione riguarda espressamente anche i diritti previsti nell’articolo 13 della direttiva, ma nulla è stato stabilito per garantire con meccanismi efficaci l’effettiva possibilità di denuncia e di assistenza da parte di enti e associazioni preposti alla tutela dei lavoratori. È inoltre rimasta inattuata la norma dell’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 109 del 2012, che prevede che con decreto di natura non regolamentare dei Ministri dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali si devono determinare le modalità e i termini per garantire ai cittadini stranieri interessati le informazioni di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2009/52/CE. Tale attività informativa risulta nei fatti totalmente assente nell’ambito di tutti gli interventi istituzionali, basti pensare alla totale assenza di qualsiasi indicazione operativa (lettera G)) e alla mancata dotazione agli ispettori di vigilanza di moduli informativi plurilingue, come pure alla mancata indicazione di tali informazioni persino nei provvedimenti «prestampati» di espulsione;
D) la mancata agevolazione delle denunce.
L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva, impone agli Stati membri di provvedere affinché siano disponibili meccanismi efficaci per consentire ai cittadini di Paesi terzi assunti illegalmente di presentare denuncia nei confronti dei loro datori di lavoro, sia direttamente che tramite sindacati o associazioni, e ciò anche in funzione del recupero delle retribuzioni o delle differenze salariali maturate. Tale norma non è stata recepita nell’ordinamento nazionale e si deve altresì rilevare che la condizione di irregolarità del soggiorno dello straniero, a cui sono spesso collegate anche la mancanza di documenti di identificazione e l’impossibilità di dimostrare il proprio reddito, è frequente motivo di mancata concessione del patrocinio a spese dello Stato. Inoltre, l’effettiva ed efficace agevolazione delle denunce non può prescindere dalla disponibilità di misure di assistenza effettiva alle vittime di particolare sfruttamento, anche in considerazione dei fondati timori di gravi ritorsioni normalmente derivanti dalle denunce, che dovrebbero essere assicurate con modalità analoghe a quelle previste per le vittime di tratta anche in situazioni non esattamente rientranti nel
campo di applicazione dell’articolo 18 del testo unico;
E) la mancata previsione del periodo di riflessione.
Non è stato attuato neppure l’articolo 13 della direttiva che dispone che alle vittime di particolare sfruttamento venga rilasciato un permesso di soggiorno «con modalità comparabili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi rientranti nel campo di applicazione della direttiva 2004/81» sulle vittime di tratta, in quanto per le vittime di particolare sfruttamento non risulta in alcun modo previsto o consentito il periodo di riflessione di cui all’articolo 6 della direttiva 2004/81/CE, che attiene ovviamente alla fase anteriore alla richiesta del permesso di soggiorno e presuppone, quindi, la previa e sistematica informazione sui diritti esercitabili;
F) la sostanziale violazione dell’articolo 14 della direttiva dell’obbligo di efficaci ispezioni in base a scelte «mirate» delle aree e dei comparti produttivi a maggiore rischio di sfruttamento di immigrati irregolari.
Nella comunicazione della Commissione europea del 22 maggio 2014 si fa riferimento alla relazione fornita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dalla quale emerge il risultato ben poco credibile (che si dubita possa essere documentato) per cui sarebbero state effettivamente eseguite nel 2012 ispezioni presso il 17,33 per cento dei datori di lavoro sul territorio nazionale, mentre sono tanto noti quanto caratterizzati da sostanziale impunità i settori lavorativi e le aree in cui si ricorre sistematicamente all’impiego in condizioni di gravissimo sfruttamento di immigrati irregolari. È dunque evidente che non sono affatto sufficienti le scarne e indistinte tabelle sulle ordinarie attività ispettive svolte mensilmente dal Ministero, dalle quali non si può ricavare alcuna azione mirata nei settori lavorativi e nei territori in cui si ricorre più di frequente a lavoratori stranieri che si trovano in Italia in situazioni di soggiorno irregolare;
G) la mancata emanazione di qualsivoglia indicazione operativa agli uffici competenti.
I Ministeri competenti hanno a tutt’oggi omesso di impartire qualsiasi istruzione operativa ai servizi ispettivi e alle Forze dell’ordine per la concreta applicazione delle norme di recepimento della direttiva da parte degli uffici periferici, come pure per il coordinamento degli interventi e delle rispettive competenze istituzionali, ciò che fa sì, per così dire, che la mano destra non sappia quanto fa la mano sinistra. Lo straniero irregolare fermato e accompagnato presso l’ufficio per l’immigrazione di una questura risulta semplicemente tale, anche nell’ipotesi in cui sia stato accertato o sia in corso di accertamento da parte di un altro ufficio il suo impiego irregolare in condizioni di grave sfruttamento; in realtà anche i servizi ispettivi di fatto non ravvisano nella grande maggioranza dei casi la specifica violazione dell’articolo 22 del testo unico, complice evidente l’assenza di istruzioni operative e la mancata informazione di cui si è già detto; nel frattempo, dato che il verbale di accertamento ispettivo viene formalizzato entro (e quasi sempre in prossimità della scadenza) i trenta giorni successivi all’accesso nel luogo di lavoro, le relative informazioni-notizie di reato non vengono normalmente trasmesse alla competente procura della Repubblica né al competente ufficio per l’immigrazione della locale questura. Infine, la violazione della direttiva è dimostrata dagli stessi dati forniti dal Ministero dell’interno, che infatti registrano soli otto permessi di soggiorno rilasciati nell’anno 2013, ai sensi dell’articolo 22, comma 12–quater, del testo unico, e soltanto due nel primo semestre del 2014. Nel 2014 i permessi rilasciati per tali motivo (per primi soggiorni e rinnovi) sono stati in tutto soltanto dodici e nel 2015 sono stati quattordici;
H) l’esigenza di svincolare dalla denuncia il rilascio del permesso di soggiorno nei casi di grave sfruttamento lavorativo.
Il permesso di soggiorno di cui all’articolo 22, comma 12-quater, del testo unico è
finora poco attuato non soltanto per l’assenza di un’informazione sistematica e per la definizione restrittiva della nozione di sfruttamento, ma anche per l’obbligo di denuncia e collaborazione alle indagini, nonché per l’assenza di tutele (a parte il permesso di soggiorno) e di programmi di protezione e inclusione sociale. Poiché la direttiva dell’UE sulle sanzioni collega il permesso a una mera cooperazione alle indagini, non si deve prescrivere come presupposto l’obbligo di denuncia nei casi di grave sfruttamento lavorativo.
Inoltre occorre prevedere che allorché tali stranieri siano concretamente in pericolo per la loro incolumità accedano ai programmi di assistenza e integrazione sociale previsti dall’articolo 18 del testo unico senza obbligo di collaborazione alle indagini. Così si manterrebbe anche una certa proporzionalità tra l’aumento di tutela per le vittime dei reati di cui al novellato articolo 18, comma 3-bis, e le vittime di «particolare sfruttamento lavorativo».
Alle modifiche indicate in tutti i punti precedenti provvedono le disposizioni della proposta di legge introdotte:
dall’articolo 59 (che agevola l’accesso alle misure di assistenza e protezione sociale delle vittime della tratta delle persone);
dall’articolo 63 (che prevede il rafforzamento delle misure di contrasto dello sfruttamento lavorativo degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare, di protezione dei lavoratori stranieri sfruttati e di accesso dei lavoratori stranieri sfruttati al permesso di soggiorno per motivi umanitari e ai programmi di assistenza e integrazione sociale).
5. Dare completa attuazione alle norme che prevedono la protezione delle donne migranti vittime di violenza previste dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione ed il contrasto della violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Per dare effettiva e completa attuazione nell’ordinamento italiano a tale Convenzione, ratificata e resa esecutiva con legge 27 giugno 2013, n. 77, ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, occorre colmare le lacune e correggere le norme nazionali che appaiono di dubbia legittimità rispetto a tali obblighi internazionali.
In particolare sono indispensabili le seguenti modifiche normative:
a) il rilascio del permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica previsto dall’articolo 18-bis del testo unico deve essere previsto non soltanto in caso di accesso alla giustizia penale, ma anche sulla base delle segnalazioni dei servizi sociali, in modo analogo agli altri stranieri vittime di violenza e di sfruttamento tutelati dalle misure di assistenza e di integrazione sociale previste dall’articolo 18 dello stesso testo unico e non deve essere sempre subordinato al parere favorevole dell’autorità giudiziaria procedente, perché tale condizione implica necessariamente l’instaurazione di un procedimento penale, anche se la richiesta è inoltrata al questore dai centri antiviolenza e dai servizi socio assistenziali, il che viola l’articolo 18, paragrafo 4, della Convenzione secondo il quale la messa a disposizione dei servizi di protezione «non deve essere subordinata alla volontà della vittima di intentare un procedimento penale o di testimoniare contro ogni autore di tali reati». Tali modifiche sono introdotte dall’articolo 61 della proposta di legge;
b) le donne straniere vittime di violenza domestica devono accedere ad appositi programmi di assistenza e integrazione sociale dedicati alle donne beneficiarie del permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica rilasciato ai sensi dell’articolo 18-bis del testo unico, al fine di consentire l’effettivo accesso delle donne ai centri antiviolenza e ai servizi degli enti attuatori dei programmi di reinserimento sociale, in modo analogo agli altri stranieri vittime di violenza e di sfruttamento tutelati dalle misure di assistenza e di integrazione sociale previste dall’articolo 18 del testo unico. Tali modifiche sono introdotte dall’articolo 62 della proposta di legge.
6. Introdurre una norma che, in recepimento della direttiva 2004/81/CE, preveda il rilascio di un permesso di soggiorno in favore di cittadini di Paesi terzi che siano
stati vittime del reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale in alcune determinate circostanze.
A fronte delle trasformazioni dei flussi migratori e della sempre più evidente sovrapposizione tra i fenomeni della tratta di esseri umani (trafficking in human beings) e del favoreggiamento dell’immigrazione illegale (smuggling), si rende necessario ripensare alle misure opportune per consentire tutela e assistenza alle persone che, sebbene non destinate o comunque coinvolte in situazioni di sfruttamento, siano state vittime, durante il tragitto, di condotte gravi, tali da costituire violazioni di diritti umani.
Sono infatti riportati numerosi casi di persone che si affidano alle organizzazioni criminali dedite al traffico di migranti e che, nel corso del viaggio, subiscono violenze fisiche, psicologiche e sessuali. Tra questi in particolare le donne sole, oggetto di violenze sessuali e i minori stranieri non accompagnati, anch’essi particolarmente esposti ad abusi e violenze. Ma anche uomini adulti che, nel caso in cui non riescano a pagare il proseguimento del viaggio, sono talvolta oggetto di atti violenti quali, a quanto risulta, anche l’espianto di organi. O ancora coloro che vengono costretti con l’uso della forza a salire sulle imbarcazioni talvolta evidentemente insicure e che dunque vengono esposti, contro la loro volontà, ad un grave pericolo per la vita stessa.
Pare dunque opportuno che, a fronte di tale mutamento fenomenologico, sia introdotta una norma che, in attuazione della direttiva 2004/81/CE disponga il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in favore di cittadini di Paesi terzi che siano stati vittime del reato di cui all’articolo 12, comma 3, con riguardo alla circostanza aggravante prevista nel comma 3-ter, lettera a).
Tali modifiche sono introdotte dall’articolo 58 della proposta di legge che prevede il rilascio di permessi di soggiorno per assistenza e integrazione sociale agli stranieri vittime di violenza nei reati aggravati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.
VIII. CAPO VIII – UNIFICAZIONE DELLA GIURISDIZIONE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE ED EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE.
Un processo equo e unitario per tutti gli ambiti in cui si articola la tutela giurisdizionale degli stranieri costituisce un obiettivo prioritario.
Il raggiungimento di questo scopo si attua tramite quattro passaggi fondamentali: la previsione di una giurisdizione unica in capo all’autorità giudiziaria ordinaria, individuata nel tribunale ordinario, la sospensione dell’efficacia esecutiva dei provvedimenti della pubblica amministrazione, in caso d’impugnazione tempestiva, l’effettivo accesso al gratuito patrocinio, e la previsione generalizzata dell’instaurazione del contraddittorio obbligatorio con la persona interessata prima dell’adozione di provvedimenti negativi in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia.
1. Necessità di una giurisdizione unica ed esclusiva.
Le forme di tutela avverso i provvedimenti della pubblica amministrazione riguardanti la condizione giuridica dello straniero, sono attualmente attribuite a due diverse giurisdizioni: quella amministrativa e quella ordinaria, a loro volta articolate su tre giudici differenti: il tribunale amministrativo regionale (TAR), il Tribunale ordinario, e il giudice di pace, dotati di poteri, competenze, procedure e preparazioni differenti, con la conseguenza di rendere assai difficoltosa e inefficace la difesa.
Un esempio chiarirà molto bene la rilevanza del tema. In caso di rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno, lo straniero è di norma invitato al volontario esodo nei successivi quindici dalla comunicazione del provvedimento reiettivo. Il termine per ricorrere al TAR è di sessanta giorni; tuttavia, nelle more del ricorso, se resta in Italia è passibile di espulsione – provvedimento amministrativo di espulsione adottato dal prefetto e a sua volta ricorribile presso il giudice di pace – ma quest’ultimo giudice non può né valutare la legittimità dell’atto che sta a monte – il
rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno – perché esula dalla sua giurisdizione (essendo il TAR competente), né sospendere l’espulsione in attesa che si definisca la causa contro il rifiuto del permesso di soggiorno. Perciò l’espulsione vanifica la tutela contro il rifiuto di rinnovo del permesso. Questo riparto di giurisdizione, che determina un doppio binario rigidamente separato, se storicamente è giustificato dalla distinzione tra diritti soggettivi (la cui tutela è attribuita al giudice ordinario) e interessi legittimi (devoluti alla cognizione del giudice amministrativo), pare oggi superato se solo si considera che tutta la materia del diritto degli stranieri riguarda diritti soggettivi o diritti fondamentali della persona, al pari del diritto all’unità familiare, alla protezione internazionale e alla tutela dei cittadini dell’UE: materie già attribuite alla giurisdizione del tribunale ordinario. Pare davvero anacronistico che sia il TAR a giudicare della legittimità del rifiuto del permesso di soggiorno per lavoro e, invece, il tribunale ordinario a tutelare il diritto all’unità familiare, come se diritto al lavoro e diritto al mantenimento (o alla creazione) dei legami familiari fossero ambiti sideralmente distanti nella vita delle persone, anche perché ora la direttiva dell’UE prevede per determinati stranieri il diritto di ricevere un permesso unico per soggiorno e lavoro, al quale conseguono diritti in materia sociale, previdenziale e assistenziale.
La tutela giudiziaria contro i provvedimenti amministrativi che riguardano la condizione giuridica degli stranieri attiene all’effettiva possibilità di far valere i diritti della persona e, per questo, dovrebbe essere attribuita al giudice dei diritti: il tribunale ordinario.
D’altra parte, i provvedimenti relativi all’unita’ familiare, alla protezione internazionale e al soggiorno o allontanamento dei cittadini dell’UE sono già di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria e, dunque, la previsione di un’unica giurisdizione risulta non solo necessaria da un punto di vista di efficacia e speditezza, ma anche e soprattutto di equità e di uguaglianza sostanziale.
Occorre, inoltre, superare le attribuzioni dell’ufficio del giudice di pace in materia di ricorsi avverso le espulsioni amministrative del prefetto, le convalide e le proroghe dei trattenimenti nei centri di permanenza temporanea per i rimpatri. Infatti, ordinariamente il giudice di pace (che è un giudice onorario, che non esercita per legge le funzioni giurisdizionali in via esclusiva e che è pagato a cottimo e, pertanto, non offre le stesse garanzie di autonomia e indipendenza che offre il magistrato togato) non ha alcuna competenza in materie che prevedano la compressione della libertà personale: l’unica eccezione riguarda proprio la materia delle espulsioni amministrative, il che connota in termini di specialità uno degli aspetti nevralgici del diritto degli stranieri, ulteriormente aggravato dalla mancata previsione di un secondo grado di giudizio di merito. A ciò si aggiunga l’irragionevolezza della previsione – di derivazione giurisprudenziale – per cui la competenza a conoscere della legittimità dei decreti di respingimento (immediato o differito) che integrano, insieme alle espulsioni, l’armamentario degli strumenti ablativi, è attribuita al tribunale ordinario, quando spesso il confine tra situazioni legittimanti il respingimento, ovvero l’espulsione, è assai sottile.
In tale contesto l’istituzione da parte del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46, nell’ambito del tribunale ordinario, delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE appare disciplinata in modo gravemente contraddittorio.
Infatti l’intento di assicurare una giurisdizione unica e specializzata in capo alla magistratura ordinaria può ritenersi apprezzabile, trattandosi di materie in cui i provvedimenti sono spesso collegati l’uno all’altro ed è difficile la distinzione tra le situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi o interessi legittimi), ma è contraddetto in modo irrazionale dalla mancata concentrazione nel nuovo giudice di altre competenze concernenti tali materie che invece oggi restano disperse tra altri giudici:
il giudice di pace (nelle materie previste dagli articoli 13 e 14 del testo unico relative alla convalida e alla proroga dei trattenimenti degli stranieri espulsi e respinti nei centri di permanenza, ai ricorsi contro i provvedimenti amministrativi di espulsione disposti dal prefetto, alla convalida degli allontanamenti e alla convalida delle misure accessorie personali all’espulsione con partenza volontaria);
il giudice amministrativo (nelle materie previste dall’articolo 6 del testo unico relative ai provvedimenti in materia di ingresso e soggiorno, nelle materie previste dall’articolo 13, comma 11, dello stesso testo unico relative ai ricorsi contro le espulsioni ministeriali per motivi di ordine pubblico e sicurezza e dall’articolo 20 decreto legislativo n. 30 del 2007 relative agli allontanamenti per tali motivi dei cittadini dell’UE, nonché nelle materie relative ai ricorsi contro la cessazione o la limitazione delle misure di accoglienza dei richiedenti asilo previste dal decreto legislativo n. 142 del 2015);
il giudice ordinario (in materia di ricorsi contro i respingimenti).
L’accentramento della competenza per territorio in soli ventisei tribunali, operato dal citato decreto-legge n. 13 del 2017, riduce il diritto degli stranieri alla prossimità del giudice e ostacola l’attività dei difensori provenienti da sedi diverse. Inoltre l’accentramento dei procedimenti in pochi tribunali rischia di accentuare le attuali difficoltà degli uffici giudiziari coinvolti, che vedranno ulteriormente aumentare il carico di lavoro, anche perché le piante organiche degli uffici dove si radica il nuovo giudice specializzato (e della stessa Cassazione che non potrà più giovarsi del filtro dell’appello) non vengono aumentate, mentre il sistema delle applicazioni straordinarie (articolo 11 del decreto-legge) riguarderà i soli incrementi straordinari dei procedimenti.
Per tali motivi occorre prevedere:
1) il trasferimento alle nuove sezioni specializzate di tutte le funzioni giudiziarie in materia di immigrazione che sono inestricabilmente legate a quelle già conferite alle stesse sezioni, ma anche di tutti i giudizi in materia di riconoscimento e concessione della cittadinanza italiana (avendo il decreto-legge previsto in capo ad esse l’accertamento dell’apolidia e avendo la legge di conversione limitato a estendere tali funzioni alle sole controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana), applicando il rito camerale a ognuna delle nuove funzioni trasferite alle sezioni territoriali (con conseguente abrogazione delle norme originarie): a ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 67 della proposta di legge. In ogni caso, nell’attuale spezzettamento della giurisdizione sui giudizi in materia di immigrazione tra giurisdizione ordinaria, giurisdizione affidata al giudice di pace e giurisdizione amministrativa si ritiene comunque un miglioramento, ai fini di dare effettiva tutela giurisdizionale agli stranieri, concentrare tutta la giurisdizione nelle nuove sezioni specializzate del tribunale ordinario in materia di immigrazione (composte da magistrati ordinari vincolati a forme di costante collegamento, formazione e aggiornamento), anche se si spera che maturino presto le condizioni finanziarie e organizzative per consentire in futuro che tali sezioni siano istituite non soltanto in tutti i ventisei tribunali sedi di distretto di corte d’appello, ma anche in tutti gli altri tribunali ordinari;
2) il coinvolgimento di altri soggetti competenti nella formazione e nell’aggiornamento dei magistrati delle sezioni specializzate (Agenzia europea dei diritti fondamentali, Organizzazione internazionale per le migrazioni, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, qualificati esperti in diritto degli stranieri): a ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 65, comma 1, lettera a), della proposta di legge;
3) l’ampliamento degli argomenti oggetto della formazione dei magistrati delle sezioni specializzate alla raccolta di informazioni sulla situazione dei Paesi di origine degli stranieri, nonché specifiche sessioni dedicate al diritto di asilo, al diritto
all’unità familiare, alla condizione delle persone più vulnerabili, alla tratta delle persone, alla libertà personale, alla disciplina dell’ingresso, del soggiorno e degli allontanamenti degli stranieri e all’accertamento dell’apolidia e alla disciplina della cittadinanza italiana: a ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 65, comma 1, lettera b), della proposta di legge.
2. Necessità della sospensione dell’efficacia esecutiva di tutti i provvedimenti amministrativi concernenti la condizione giuridica dello straniero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso giurisdizionale.
Una tutela giurisdizionale, per essere effettiva, deve prevedere l’efficacia sospensiva del provvedimento impugnato in via automatica o ad istanza di parte, almeno fino alla definizione del giudizio di primo grado. Tale previsione oggi vale, in via automatica, solo per le impugnazioni delle decisioni delle commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato da parte del richiedente, mentre differenti prassi applicative sono invalse negli altri settori del diritto degli stranieri. In particolare, si segnala come proprio in materia di espulsioni e di respingimenti non vi sia una disciplina chiara e univoca, sicché il provvedimento ablativo può essere eseguito in pendenza di ricorso, con la conseguenza che l’eventuale dichiarazione di illegittimità del provvedimento avviene ad allontanamento eseguito, ed è, quindi, del tutto inutile, vanificando così le legittime aspettative del ricorrente. Occorre pertanto abrogare la disposizione dell’articolo 13 del testo unico secondo la quale tutti i provvedimenti espulsivi sono immediatamente esecutivi, anche se sottoposti ad impugnazione.
A tutto ciò provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 68 della proposta di legge in materia di esecutività, sospensione e tutela giurisdizionale concernente i provvedimenti di diniego di rinnovo o di conversione o di revoca dei titoli di soggiorno e i provvedimenti amministrativi di espulsione.
3. Necessità di norme chiare atte a garantire l’effettivo accesso al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti.
Benché la legge preveda la possibilità di accedere all’istituto del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, tanto per i cittadini che per gli stranieri, si ravvisano molteplici criticità applicative. In particolare, esse riguardano la necessità di esibire documenti identificativi (passaporto o documenti equipollenti) e le attestazioni consolari dei redditi prodotti all’estero.
Quanto all’esibizione di documenti d’identità in corso di validità, occorre prevedere deroghe per i richiedenti protezione internazionale e per i cittadini di Paesi teatro di conflitti o di altri eventi catastrofici: in questi casi è ovvio che lo straniero può non disporre del documento d’identità, anche solo per l’impossibilità oggettiva di accedere alla rappresentanza diplomatica o consolare del suo Paese di origine (è evidente che un richiedente asilo è impossibilitato a rivolgersi al consolato di un Paese dal quale è fuggito per ragioni di persecuzione).
Quanto alle attestazioni dei redditi prodotti in Patria, ormai molte rappresentanze consolari rifiutano il rilascio di tali certificazioni motivando il diniego con l’impossibilità di verifica e invitando l’istante a rivolgersi direttamente agli uffici fiscali competenti del Paese di origine. Ma è evidente che chi deve instaurare una controversia con l’amministrazione italiana avente ad oggetto proprio la sua permanenza in Italia non può lasciare il territorio italiano per ottenere la certificazione in questione, pena l’impossibilità di farvi rientro successivamente e, quindi, vanificare l’esercizio effettivo del suo diritto di difesa. In tali ipotesi deve essere consentita l’autocertificazione, previa prova dell’inutile esperimento della richiesta alla sede consolare del Paese di origine in Italia.
Nessun timore di abuso del diritto ha ragion d’essere, sia perché l’attestazione mendace è sanzionata penalmente, sia perché è sempre data facoltà al giudice di revocare l’ammissione al patrocino gratuito tanto nel caso di falsa attestazione, quanto in quello di instaurazione di lite temeraria.
A tali scopi provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 69 della proposta di legge in materia di accesso effettivo alla difesa gratuita da parte dello straniero.
4. Necessità di previsione generalizzata dell’instaurazione del contraddittorio obbligatorio con la persona interessata prima dell’adozione di provvedimenti negativi in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri in Italia.
L’instaurazione del contraddittorio con la pubblica amministrazione fin dalla fase procedimentale prodromica all’adozione di provvedimenti negativi in ordine all’ingresso e al soggiorno degli stranieri è utile per razionalizzare l’eventuale successiva fase giurisdizionale.
Prima che l’amministrazione adotti provvedimenti di revoca, di annullamento o di rifiuto di rinnovo dei titoli di soggiorno, per motivi diversi dall’ordine pubblico o dalla sicurezza dello Stato, deve essere data informazione allo straniero dell’avvio del procedimento e del termine per presentare le sue eventuali ragioni all’amministrazione stessa, ai sensi della legge, n. 241 del 1990 e come prevede l’articolo 1 del protocollo n. 7 della CEDU, ratificato e reso esecutivo dall’Italia con la legge n. 98 del 1990, prevedendo che i successivi provvedimenti diano motivazioni che tengano conto delle eventuali controdeduzioni e siano effettivi soltanto dopo che siano invano trascorsi i termini per la presentazione di eventuali ricorsi giurisdizionali.
Benché la citata normativa già preveda queste forme di garanzia, si registra un’applicazione disomogenea sul territorio nazionale che, invece, deve essere resa uguale per tutti.
A tali esigenze provvedono le modifiche introdotte dall’articolo 66 della proposta di legge.
IX. CAPO IX – ELETTORATO AMMINISTRATIVO DEGLI STRANIERI LUNGO SOGGIORNANTI.
L’integrazione politica dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti è già oggi possibile con i diritti di riunione, di associazione, di espressione e con le forme di partecipazione che ogni Statuto comunale può prevedere, ma deve essere completata e rafforzata con l’elettorato attivo e passivo nelle elezioni dei comuni.
L’elettorato alle elezioni comunali è già previsto dal decreto legislativo 12 aprile 1996, n. 197, in attuazione delle norme dell’UE che lo prevedono per i cittadini degli altri Paesi membri dell’UE che risiedono nel territorio della Repubblica e richiedano di iscriversi in un’apposita lista elettorale aggiunta nel comune di residenza. Occorre prevedere che il medesimo elettorato sia attribuito anche agli apolidi e ai cittadini di Stati non appartenenti all’UE regolarmente soggiornanti in Italia da almeno cinque anni, secondo le medesime norme e condizioni previste per i cittadini degli Stati membri dell’UE, ma prevedendo la richiesta di esibire certificati del godimento dei diritti politici negli Stati di origine soltanto per i cittadini di Stati non appartenenti al Consiglio d’Europa (che sono impegnati al rispetto dei diritti civili e politici in regime di pluralismo) che non siano titolari del diritto d’asilo.
Senza alcuna revisione costituzionale ciò può avvenire con norme legislative ordinarie che tolgano la riserva italiana alla ratifica del capitolo C della parte I della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, ratificata e resa esecutiva, limitatamente ai capitoli A e B, con la legge 8 marzo 1994, n. 203, che prevede il voto amministrativo attivo e passivo agli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno cinque anni.
A tali modifiche normative provvedono nella proposta di legge:
l’articolo 70 (che estende l’elettorato alle elezioni comunali agli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e di carta di soggiorno permanente per familiari non dell’UE di cittadini dell’UE);
l’articolo 71 (che delega il Governo a ratificare e dare esecuzione al capitolo C della citata Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale).
PROPOSTA DI LEGGE
a) al comma 1, i periodi primo e secondo sono sostituiti dai seguenti: «L’ingresso nel territorio dello Stato per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, di lavoro autonomo e di ricerca di occupazione avviene nell’ambito delle quote di ingresso stabilite nei decreti che devono essere emanati almeno ogni anno ai sensi
dell’articolo 3, comma 4. Nello stabilire le quote i decreti possono tenere conto di eventuali accordi con determinati Stati e danno preferenza al rilascio di visti in favore di persone che abbiano qualifiche professionali e che abbiano titoli di studio corrispondenti a quelli più richiesti nei settori, per le qualifiche e per le mansioni più richieste dal mercato del lavoro italiano, esclusi i titoli di studio, le qualifiche e i settori per i quali è già consentito il rilascio della carta blu UE, o in favore di persone che dimostrino un’adeguata conoscenza della lingua italiana e che documentino eventuali precedenti esperienze formative o lavorative in Italia, o i cui familiari o conoscenti regolarmente residenti in Italia possano offrire sostentamento od ospitalità, nonché in favore di coloro che abbiano già soggiornato regolarmente in Italia lasciando poi volontariamente il territorio dello Stato, anche al termine di un periodo infruttuoso di soggiorno in Italia per ricerca di lavoro o per effetto di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di espulsione per ingresso o soggiorno irregolari o del diniego della domanda di protezione internazionale»;
b) il comma 4-ter è sostituito dal seguente:
«4–ter. Ogni regione e provincia autonoma e l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) devono trasmettere ogni anno entro il 30 ottobre alla Presidenza del Consiglio dei ministri un rapporto sulla presenza e sulla condizione dei lavoratori stranieri presenti rispettivamente nel territorio della propria regione o provincia autonoma e nel territorio nazionale, contenente anche le indicazioni previsionali relative ai fabbisogni di ulteriori lavoratori stranieri dall’estero e al loro prevedibile inserimento socio-economico. Ogni rapporto deve essere tradotto in inglese, francese, spagnolo e arabo a cura della regione o provincia autonoma o dell’ANPAL e deve essere reso pubblico, insieme con le traduzioni, a cura dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali contestualmente alla pubblicazione del decreto sulle quote in
modo che sia consultabile telematicamente da chiunque, con particolare riguardo per i potenziali lavoratori stranieri all’estero, anche nell’ambito della Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro istituita dall’articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150».
di un lavoratore presente sul territorio nazionale, idoneamente documentata,» sono soppresse.
«13. Salvo quanto previsto per il lavoratore stagionale dall’articolo 25, comma 5, in caso di rimpatrio il lavoratore straniero conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale e può goderne indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità al verificarsi della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, anche in deroga al requisito contributivo minimo. In mancanza di un accordo internazionale in vigore con lo Stato di cui è cittadino che preveda la parità di trattamento, il mantenimento dei diritti e dei vantaggi acquisiti, la possibilità di ottenere il pagamento delle prestazioni nel Paese di residenza anche se a carico di un altro
Stato e la totalizzazione dei periodi di assicurazione e contribuzione, l’INPS, su richiesta presentata una sola volta nella vita dallo straniero che sia definitivamente rientrato in patria e abbia restituito il suo titolo di soggiorno alle autorità consolari italiane all’estero, gli corrisponde in un’unica soluzione l’importo pari alla somma di tutti i contributi previdenziali versati in suo favore, rivalutati sulla base dei tassi di svalutazione. Il presente comma si applica a tutti i lavoratori stranieri indipendentemente dall’anno di iscrizione all’ente di previdenza sociale. Lo straniero che sia stato ammesso a un regolare programma di rimpatrio volontario e assistito istituito ai sensi dell’articolo 14-ter ed effettivamente operante nel proprio Paese di origine ha la facoltà di consentire, salvo che ciò contrasti con eventuali norme internazionali in vigore con quello Stato, che un importo non superiore al 20 per cento dei contributi previdenziali complessivamente versati in Italia in suo favore sia versato dall’INPS al soggetto gestore del programma di rimpatrio per concorrere a finanziare eventuali costi aggiuntivi effettivamente sostenuti e documentati nell’ambito del medesimo programma per effettuare il viaggio di rientro definitivo in Patria dello stesso straniero e dei suoi familiari a carico conviventi e per provvedere al loro effettivo e stabile reinserimento alloggiativo, sociale e lavorativo nel proprio Paese.
13–bis. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentiti gli enti previdenziali, promuove la negoziazione di accordi bilaterali in materia di sicurezza sociale tra l’Italia e gli Stati non appartenenti all’Unione europea, che prevedano la totalizzazione dei contributi previdenziali versati nei rispettivi Stati in favore dei cittadini italiani e degli stranieri».
«Art. 27-quinquies. – (Ingressi e soggiorni per ricerca di lavoro). – 1. Nell’ambito della programmazione delle quote di ingressi stabilita ai sensi dell’articolo 21 deve essere sempre prevista ogni anno anche una quota di visti di ingresso per ricerca di lavoro da rilasciare agli stranieri che desiderino cercarsi direttamente un’occupazione in Italia.
2. Al fine di poter ottenere il rilascio del visto di ingresso per ricerca di lavoro lo straniero deve in ogni caso dimostrare di disporre dei mezzi economici per il viaggio di andata e di ritorno e di risorse economiche stabili e derivanti da fonti lecite per un anno dal suo ingresso in Italia di importo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e di disporre legalmente in Italia di un alloggio ad uso di abitazione e di un’assicurazione per le spese sanitarie o dei mezzi economici necessari per l’iscrizione volontaria al Servizio sanitario nazionale.
3. La disponibilità legale da parte dello straniero dei mezzi economici e dell’alloggio ad uso di abitazione, verificato dalle competenti autorità comunali, anche nell’ambito di alloggi di proprietà di altre persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere regolarmente soggiornanti in Italia o di alloggi che siano legalmente in locazione o in uso o in usufrutto allo straniero stesso o ad altre persone fisiche o giuridiche, italiane o straniere regolarmente soggiornanti in Italia, e da essi resi effettivamente disponibili legalmente a costui, può essere fornita sulla base di garanzie, anche bancarie o assicurative, anche mediante deposito presso l’INPS di una somma forfetaria, messe a disposizione dallo stesso straniero ovvero messe a disposizione gratuitamente in favore dello straniero da suoi familiari o da altre persone fisiche o giuridiche italiane o straniere, legalmente residenti in Italia che non abbiano subìto condanne per delitti, fatti salvi gli effetti della riabilitazione. Il garante deve essere legalmente residente in uno dei comuni della provincia o della città metropolitana in cui soggiornerà lo straniero garantito e se non è italiano deve essere titolare in Italia, ai sensi del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, del diritto di soggiorno permanente come cittadino europeo o della carta di soggiorno permanente per i familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea ovvero essere titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato in Italia ai sensi dell’articolo 9.
4. Il regolamento di attuazione disciplina le garanzie economiche, alloggiative e sanitarie.
5. In ogni caso ogni persona fisica o giuridica e i componenti del medesimo nucleo familiare possono presentare ogni anno una sola dichiarazione di garanzia in favore di una sola persona e ogni garante può ripresentarne un’altra in favore di un altro straniero soltanto dopo che sia stato rilasciato un permesso di soggiorno per lavoro subordinato a un altro straniero soggiornante per ricerca di lavoro, al quale il visto di ingresso per ricerca di lavoro era stato
rilasciato sulla base di una garanzia presentata dal medesimo garante.
6. Al fine di favorire un effettivo incontro tra la propria domanda e l’offerta di lavoro il decreto può prevedere che i cittadini di determinati Stati, in cui siano effettivamente e legalmente operanti e dispongano di idonee sedi operative enti intermediari pubblici o privati legalmente accreditati in Italia in materia di lavoro, abbiano la facoltà di allegare alla domanda di visto di ingresso per ricerca di lavoro il tipo di contatti presi direttamente o telematicamente o mediante la rappresentanza diplomatica italiana con almeno uno dei seguenti soggetti italiani o stranieri regolarmente abilitati a operare in Italia e nel Paese in cui si trova lo straniero al fine di consentire il più celere svolgimento di colloqui volti al collocamento con datori di lavoro residenti in Italia: soggetti autorizzati allo svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale, di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, altri soggetti autorizzati all’attività di intermediazione ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, il sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, incluse le aziende speciali e le camere di commercio all’estero, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e le associazioni e gli enti che svolgono attività a favore degli immigrati iscritte nel registro di cui all’articolo 42 del presente testo unico che rispondano a requisiti minimi di solidità economica e organizzativa, nonché di esperienza professionale degli operatori nelle attività d’intermediazione all’estero. Gli standard di servizio in relazione alle attività dei soggetti indicate nel presente comma, esclusi quelli autorizzati ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono stabiliti dall’ANPAL, che provvede altresì a monitorare e a vigilare su tali attività, con diritto di accesso a tutti i documenti
e gli atti detenuti da pubbliche amministrazioni e da enti pubblici e privati, e ne riferiscono costantemente ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dell’interno e degli affari esteri e della cooperazione internazionale. In ogni caso l’intermediario pubblico o privato opera gratuitamente in favore del lavoratore straniero, ha l’obbligo di raccogliere le esperienze del lavoratore straniero e di diffonderle tra i datori di lavoro in Italia fin dal primo contatto all’estero con il lavoratore favorendo contatti diretti tra loro e ha l’obbligo di garantire al lavoratore straniero la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e anche per il ritorno nel Paese di provenienza, salvo che se ne faccia carico personalmente il lavoratore stesso. Tali soggetti presentano allo sportello unico per l’immigrazione della provincia in cui sono ubicati un’apposita richiesta nominativa per l’autorizzazione al rilascio del visto di cui al comma 1 in favore di stranieri da essi selezionati, al fine di consentire lo svolgimento di colloqui volti al collocamento con datori di lavoro residenti in Italia, allegando un’idonea documentazione da cui risulti la disponibilità da parte del lavoratore straniero o di altri garanti dei mezzi economici e di sussistenza idonei per la durata del soggiorno e per l’eventuale ritorno nel Paese di provenienza, ai sensi dei commi 2, 3, 4 e 5, salvo che di tali mezzi possa effettivamente farsi carico, in tutto o in parte, lo stesso soggetto richiedente, la dichiarazione autografa dello straniero da cui risulti l’impegno a rimpatriare in caso di mancata stipulazione di un contratto di lavoro entro il termine di durata del permesso di soggiorno e la dichiarazione del livello di conoscenza della lingua italiana da parte dello straniero.
7. Il decreto di programmazione può prevedere che i visti per richiesta di lavoro siano rilasciati con preferenza a stranieri destinati a svolgere il lavoro in determinati settori, qualifiche o mansioni nei quali la manodopera italiana o straniera è scarsa ovvero con preferenza a stranieri che dimostrino un’adeguata conoscenza della lingua italiana o a stranieri che siano in possesso di determinati titoli di studio e
qualifiche professionali documentate, esclusi i titoli di studio, le qualifiche e i settori per i quali è già consentito il rilascio della carta blu UE, ovvero a stranieri che, direttamente o mediante l’intermediario pubblico o privato di cui al comma 6, abbiano reperito disponibilità documentate di datori di lavoro all’assunzione regolare e immediata ovvero con preferenza a stranieri destinati a svolgere il rapporto di lavoro in determinate zone del territorio italiano in cui il tasso di disoccupazione sia inferiore alla metà della media nazionale.
8. Ai fini del rilascio del visto di ingresso per ricerca di lavoro lo straniero, anche per il tramite del garante residente in Italia indicato al comma 3, ovvero il soggetto intermediario indicato nel comma 6 presentano domanda di nulla osta all’ingresso per ricerca di lavoro allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura – ufficio territoriale del Governo della provincia in cui lo straniero alloggerà, allegando alla domanda la documentazione concernente i requisiti indicati nei commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e nel presente comma e lo sportello unico si pronuncia sulla domanda, sentita la questura, entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda e, verificata la sussistenza dei presupposti previsti dal presente articolo, rilascia il nulla osta all’ingresso per ricerca di lavoro, in cui sono indicati le garanzie, l’eventuale garante, il luogo dell’alloggio in Italia e l’eventuale ente intermediario, nonché le eventuali zone del territorio italiano e gli eventuali settori, qualifiche e mansioni per i quali è consentita la ricerca di un lavoro subordinato. Lo sportello unico trasmette immediatamente il nulla osta, anche telematicamente, alla competente rappresentanza diplomatico-consolare italiana all’estero, insieme con il numero di codice fiscale, all’eventuale garante o all’eventuale intermediario, nonché allo straniero, che entro i successivi sessanta giorni può presentare alla stessa rappresentanza la domanda di visto di ingresso per ricerca di lavoro, che gli è rilasciato entro i successivi trenta giorni e che deve essere utilizzato per l’ingresso in Italia entro sessanta giorni dal rilascio. Lo straniero che sia regolarmente
entrato sul territorio dello Stato in possesso del visto di ingresso per ricerca di lavoro ottiene dallo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura – ufficio territoriale del Governo competente un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro della durata di un anno, insieme con il rilascio del codice fiscale e l’iscrizione al centro per l’impiego, con le eventuali limitazioni territoriali o di settori, qualifiche o mansioni indicati nel visto, al quale deve recarsi prima dell’effettivo rilascio del permesso per dichiarare la propria immediata disponibilità allo svolgimento dell’attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego e per prendere contatto con un rappresentante del soggetto intermediario che ha ottenuto il nulla osta all’ingresso ai sensi del comma 6 ai fini dell’immediato svolgimento di colloqui volti al collocamento con datori di lavoro ovvero, in mancanza, per prendere contatto con un rappresentante di uno dei soggetti indicati nel comma 6 legalmente autorizzati a operare in Italia per lo svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, di supporto alla ricollocazione professionale o di attività di intermediazione al fine di consentire lo svolgimento di colloqui volti al collocamento con datori di lavoro, fatti salvi gli eventuali limiti indicati nel visto afferenti ai settori, alle qualifiche, alle mansioni e alla zona in cui si può svolgere il lavoro. Le domande di rilascio o di rinnovo del permesso, di rilascio del codice fiscale e di iscrizione al centro per l’impiego sono presentate al comune di residenza o di domicilio per il luogo in cui si trova l’alloggio garantito ai fini del rilascio del visto e del permesso di soggiorno.
9. Il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro consente la partecipazione a corsi di formazione professionale e a corsi di lingua italiana e l’instaurazione di tutti i tipi di rapporti di lavoro subordinato nel settore privato, salve le eventuali limitazioni indicate nel visto per l’impiego in determinati territori, settori, qualifiche o mansioni. Lo straniero che non ha conoscenza della lingua italiana ha altresì l’obbligo
di partecipare a un corso di lingua italiana concordato con il comune, d’intesa con lo sportello unico per l’immigrazione, al momento della presentazione della domanda di rilascio del permesso e la frequenza e il superamento del corso sono condizioni per il successivo rinnovo o conversione del permesso di soggiorno. In deroga agli articoli 40 e 41, il permesso consente di fruire soltanto dell’alloggio indicato ai fini del rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno e consente di accedere soltanto alle misure assistenziali funzionali alla ricerca di un’occupazione lavorativa e all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ferma restando la copertura sanitaria predisposta ai fini dell’ingresso e del soggiorno per ricerca di occupazione.
10. Alla scadenza del permesso per ricerca di lavoro, previa domanda presentata dallo straniero presso il comune in cui dimora, che provvede all’inoltro allo sportello unico per l’immigrazione della prefettura – ufficio territoriale del Governo e alla consegna allo straniero dei provvedimenti concernenti una delle seguenti situazioni:
a) lo sportello unico per l’immigrazione converte il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro in un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, con la dicitura “permesso unico di lavoro”, nei casi in cui lo straniero abbia regolarmente frequentato e concluso il corso di lingua italiana e abbia regolarmente frequentato altri corsi di formazione o abbia regolarmente svolto rapporti di lavoro e sia regolarmente impiegato con un regolare contratto di lavoro subordinato di tipo non stagionale e di durata non inferiore a sei mesi, anche non consecutivi, in conformità con gli eventuali limiti indicati nel visto;
b) lo sportello unico per l’immigrazione rinnova il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro per la durata di un anno nei casi in cui lo straniero sia disoccupato, ma abbia concluso il corso di lingua italiana e abbia svolto regolari rapporti di lavoro ovvero il rapporto di lavoro instaurato sia di tipo stagionale o abbia la durata inferiore a sei mesi, anche non consecutivi,
ovvero qualora lo straniero dimostri di aver reso la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego, di cui all’articolo 18 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, di aver sottoscritto il patto di servizio personalizzato e le conseguenti obbligazioni relative alle attività da svolgere, tra le quali i laboratori di orientamento e i corsi di formazione o riqualificazione professionale, di cui all’articolo 20 dello stesso decreto legislativo, e di non essersi sottratto, in assenza di giustificato motivo, alle convocazioni ovvero agli appuntamenti dei centri per l’impiego e di non avere rifiutato le congrue offerte di lavoro, di cui all’articolo 25 dello stesso decreto legislativo, a condizione che lo straniero disponga tuttora delle garanzie economiche, alloggiative e sanitarie; alla scadenza di tale permesso è rilasciato un permesso di soggiorno subordinato con la dicitura «permesso unico di lavoro», della durata di almeno un anno se lo straniero svolge un regolare rapporto di lavoro;
c) in ogni altro caso diverso da quelli indicati nelle lettere a) e b) e salvo che possa essere rilasciato altro tipo di permesso di soggiorno lo straniero ha l’obbligo di lasciare il territorio dello Stato e al fine di assicurare l’effettivo rientro in patria lo sportello unico per l’immigrazione o l’INPS rendono disponibili i mezzi economici e le garanzie messe a disposizione per il viaggio di rientro al momento del rilascio del visto. In caso di rientro in patria entro trenta giorni dalla scadenza del permesso di soggiorno lo straniero ha diritto di priorità nel rilascio di ulteriori visti di ingresso per ricerca di lavoro
11. Il visto di ingresso e il permesso di soggiorno di cui al presente articolo non possono in nessuno caso essere rilasciati e, se rilasciati, sono immediatamente revocati, e comunque il permesso non è rinnovato, nel caso in cui si accerti che ricorra una delle situazioni di cui all’articolo 22, commi 5-bis e 5-ter, ovvero nel caso in cui lo straniero sia considerato una minaccia
per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
12. Le questure forniscono all’INPS, tramite collegamenti telematici, le informazioni anagrafiche relative ai lavoratori ai quali è rilasciato o rinnovato il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, che provvede a inserirle nell’Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari, di cui all’articolo 22, comma 9».
a) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Prima della consegna del primo permesso di soggiorno che abbia la durata di
almeno un anno lo straniero maggiorenne contestualmente alla consegna della domanda di permesso di soggiorno è iscritto dal comune a un corso di lingua italiana e di educazione civica presso un’istituzione scolastica, formativa o universitaria, promosso dal comune, d’intesa con lo sportello unico per l’immigrazione della prefettura – ufficio territoriale del Governo e con l’ufficio scolastico provinciale ed eventualmente anche in consorzio con altri comuni o con università, anche con materiali e sussidi tradotti nella lingua comprensibile allo straniero, in cui è informato dei princìpi fondamentali della Costituzione della Repubblica e dell’organizzazione e del funzionamento delle istituzioni pubbliche in Italia e della vita civile in Italia, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali e del lavoro e agli obblighi fiscali e dell’eguaglianza senza distinzioni di sesso o di religione, nonché dei diritti e dei doveri degli stranieri in Italia, delle facoltà e degli obblighi inerenti il soggiorno, dei diritti e doveri reciproci dei coniugi e dei doveri dei genitori verso i figli secondo l’ordinamento giuridico italiano, anche con riferimento all’obbligo di istruzione, ed è altresì informato delle principali iniziative a sostegno del processo di integrazione degli stranieri a cui egli può accedere nel territorio della provincia di residenza e sulla normativa di riferimento in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Lo straniero è altresì informato che la durata del permesso di soggiorno al momento del rinnovo avrà una durata doppia rispetto a quella del rilascio qualora al momento della presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno lo straniero documenti la conoscenza della lingua italiana a un livello almeno A-2 comprovato al termine di corso di lingua italiana o l’avvenuta acquisizione di un titolo di studio italiano e l’adempimento dell’obbligo scolastico dei figli, nonché la perdurante iscrizione al Servizio sanitario nazionale»;
b) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Misure per favorire l’integrazione».
«2–ter. La richiesta di rilascio, di rinnovo o di conversione del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo pari all’importo per il rilascio della carta di identità elettronica, oltre ai costi per il rilascio del documento in formato elettronico e al pagamento della marca da bollo. Non è richiesto il versamento di tali importi per il rilascio o il rinnovo o la conversione dei permessi di soggiorno per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per status di rifugiato, per motivi umanitari, per cure mediche o per motivi familiari».
«2–quater. Il regolamento di attuazione stabilisce la documentazione tassativa che deve essere richiesta su tutto il territorio nazionale al fine del rilascio, del rinnovo e della conversione di ogni tipo di titolo di soggiorno.
2–quinquies. Le domande di rilascio, di rinnovo e di conversione del permesso di soggiorno per qualsiasi motivo e le domande di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo sono presentate, insieme con tutta la documentazione richiesta, presso un apposito ufficio del comune di residenza o di
domicilio dello straniero. L’ufficio provvede a fare una prima verifica immediata sulla completezza della documentazione presentata, a inviarla anche telematicamente allo sportello unico per l’immigrazione e alla questura competenti e a consegnare all’interessato la ricevuta che attesta la presentazione della domanda e la documentazione ad essa allegata e successivamente il provvedimento del questore sulla domanda presentata e, previo pagamento del contributo previsto al comma 2-ter, il permesso di soggiorno elettronico rilasciato. Contestualmente alla consegna del titolo di soggiorno rilasciato o rinnovato il comune provvede all’iscrizione anagrafica dello straniero o al rinnovo della stessa e al rilascio o rinnovo della sua carta di identità».
«3. La durata del permesso di soggiorno è quella prevista dal visto di ingresso, nei limiti del presente testo unico e del regolamento di attuazione. I permessi di soggiorno rinnovabili rilasciati sulla base di un visto nazionale per un soggiorno di non breve periodo hanno una durata biennale.
3–bis. In ogni caso il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in relazione a uno o più contratti di lavoro stagionale ha la durata massima di nove mesi, salvo che sia diversamente disposto dal presente testo unico. Il permesso di soggiorno per lavoro subordinato in presenza di un contratto di lavoro a tempo determinato ha la durata di un anno e in presenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato ha la durata iniziale di due anni».
in fine, il seguente periodo: «Il permesso di soggiorno ha una durata doppia rispetto a quella del permesso di cui si è chiesto il rinnovo qualora lo straniero al momento della presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno abbia documentato la conoscenza della lingua italiana a un livello almeno A-2 comprovato al termine di corso di lingua italiana o l’avvenuta acquisizione di un titolo di studio italiano e l’adempimento dell’obbligo scolastico dei figli, nonché la perdurante iscrizione al Servizio sanitario nazionale».
«5–quater. In ogni caso ogni provvedimento di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno deve essere adottato caso per caso nel rispetto del principio di proporzionalità e non può essere motivato da ragioni di ordine economico, né da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell’interessato che rappresentino una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza. L’esistenza di condanne penali non giustifica di per sé l’adozione di tali provvedimenti, che possono essere disposti soltanto quando si tratta di sentenza definitiva a pena detentiva, già scontata, per un delitto doloso indicato nell’articolo 380 del codice di procedura penale e sia stata disposta l’espulsione da parte dell’autorità giudiziaria. Nell’adottare il provvedimento si tiene conto della durata del soggiorno in Italia dell’interessato, della sua età, della sua situazione familiare ed economica, del suo stato di salute, della sua integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e dell’importanza dei suoi legami con il Paese di origine».
«6–bis. Il questore, d’ufficio o su richiesta motivata del prefetto o dei servizi sociali del comune in cui lo straniero dimora o dell’interessato o di enti o associazioni operanti in favore dello straniero aventi sede nel territorio di sua competenza e iscritti nel registro previsto nell’articolo 42, con proprio provvedimento motivato, adottato caso per caso in conformità ai princìpi e ai criteri predeterminati in generale dal consiglio territoriale per l’immigrazione e approvati dal Ministro dell’interno o, in mancanza, previo parere favorevole della maggioranza dei componenti dello stesso consiglio, rilascia un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di due anni, rinnovabile e convertibile in un altro tipo di permesso di soggiorno, allo straniero che sia identificato e titolare di un valido documento di identificazione e nei cui confronti non sussistano elementi concreti ed attuali che lo rendano pericoloso per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato e che, anche se sprovvisto di un valido titolo di soggiorno e non avendo i
requisiti per ottenere il rilascio o il rinnovo di alcun altro tipo di titolo di soggiorno, anche a seguito del rigetto definitivo di una domanda di protezione internazionale, dimostri il suo radicamento nel territorio italiano e la sua integrazione nella società civile e nell’ordinamento giuridico italiano, desumibili dall’assenza di condanne o procedimenti penali a suo carico, dall’immediata disponibilità al lavoro, dal grado di conoscenza della lingua italiana, dalla frequentazione di corsi di formazione professionale, da legami familiari o da altre circostanze di fatto o comportamenti idonei e che in particolare si trovi in una delle seguenti situazioni:
a) straniero che non risulti segnalato ai fini della non ammissione in altri Stati dell’Unione europea, il quale attesti di aver concluso positivamente un percorso di formazione professionale o scolastica e di inclusione sociale in Italia e che sia in grado di dimostrare una conoscenza della lingua italiana di livello A2 o lo svolgimento in Italia un’attività lavorativa trasformabile in attività regolare o denunciabile in caso di sfruttamento lavorativo ovvero la disponibilità all’assunzione con un regolare contratto di lavoro subordinato e la concreta idoneità a continuare la sua permanenza in Italia; tali disponibilità e idoneità possono essere dimostrate con ogni mezzo, anche mediante la disponibilità per sé per il successivo anno di un alloggio idoneo ad uso di abitazione immediatamente e legalmente occupabile e di documentati mezzi di sostentamento in Italia, commisurati a un importo annuo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, ricavati anche dallo svolgimento di fatto di un’attività lavorativa irregolare di cui all’articolo 22, comma 12, o denunciata ai sensi dell’articolo 22, comma 12-quater. Tale disponibilità legale e immediata può derivare anche da persone legalmente residenti in Italia e non condannate per alcun delitto, fatti salvi gli effetti della riabilitazione, diverse dai familiari aventi i requisiti per attuare l’unità familiare nei casi indicati negli articoli 28, 29, 30 e 31, le quali si impegnino al sostentamento dello straniero volontariamente e con idonee garanzie alloggiative e
finanziarie disciplinate dal regolamento di attuazione. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari rilasciato ai sensi della presente lettera è rinnovabile ed è convertibile alla scadenza in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, recante la dicitura “permesso unico di lavoro”, nei casi in cui lo straniero abbia stipulato contratti di lavoro subordinato della durata complessiva di almeno un anno nel corso dei due anni precedenti la richiesta di rinnovo, ovvero dimostri di aver reso la dichiarazione di immediata disponibilità allo svolgimento di un’attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego, di cui all’articolo 18 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, di aver sottoscritto il patto di servizio personalizzato e le conseguenti obbligazioni relative alle attività da svolgere, tra le quali i laboratori di orientamento e i corsi di formazione o riqualificazione professionale, di cui all’articolo 20 dello stesso decreto legislativo, e di non essersi sottratto, in assenza di giustificato motivo, alle convocazioni ovvero agli appuntamenti dei centri per l’impiego e di non avere rifiutato le congrue offerte di lavoro, di cui all’articolo 25 dello stesso decreto legislativo;
b) straniero, i cui legami personali e familiari in Italia, valutati soprattutto con riguardo alla loro intensità, alla loro durata e alla loro stabilità, alle condizioni di vita e di salute dell’interessato, alla sua età, al suo positivo inserimento nella società italiana, nel rispetto delle norme della Costituzione e delle leggi penali, e alla natura dei suoi legami con gli eventuali familiari nel Paese di origine, sono tali che il rifiuto di autorizzare il suo soggiorno nel territorio dello Stato arrecherebbe al suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, garantito dall’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, una lesione sproporzionata rispetto ai motivi del rifiuto. Ai fini del rilascio del permesso è in ogni caso tenuta in particolare considerazione la condizione dei minori stranieri
nati in Italia, degli stranieri che vivono in Italia da almeno cinque anni, degli stranieri che abbiano compiuto 65 anni di età e degli stranieri che abbiano denunciato casi di violenza o sfruttamento. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari rilasciato ai sensi della presente lettera è rinnovabile ed è convertibile alla scadenza in un permesso per motivi familiari o di studio o di lavoro o per residenza elettiva.
6–ter. Il permesso di soggiorno di cui al comma 6-bis del presente articolo non può in nessun caso essere rilasciato e, se rilasciato, è immediatamente revocato e comunque non è rinnovato, nel caso in cui si accerti che ricorra una delle situazioni di cui all’articolo 22, commi 5-bis e 5-ter, ovvero nel caso in cui lo straniero sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato».
«2–bis. Al fine di promuovere, collegare e coordinare le iniziative e le attività svolte a livello locale da enti pubblici e privati e finalizzate all’inclusione sociale degli stranieri residenti, ogni comune, nel rispetto delle norme regionali e anche consorziandosi allo scopo con altri comuni, istituisce, anche in collaborazione con associazioni ed enti iscritti nel registro indicato nel comma 2 e con i contributi dell’Unione europea, del Ministero dell’interno e del Fondo nazionale per le politiche sociali, un servizio per gli stranieri presenti sul territorio, preposto a promuovere la realizzazione sul territorio delle attività indicate nel comma 1 e ad offrire a persone, associazioni, enti, aziende e servizi presenti sul medesimo territorio:
a) informazioni e orientamento sui servizi pubblici o di interesse pubblico operanti nel territorio del comune;
b) informazioni e orientamento in merito ai diritti e ai doveri degli stranieri, all’accesso agli interventi e servizi sociali, all’accesso ai servizi sanitari, all’accesso ai servizi scolastici, all’università, ai percorsi di istruzione e di formazione professionale, al riconoscimento dei titoli di studio e ai corsi di lingua italiana;
c) informazioni e consulenze, anche in collaborazione con il centro per l’impiego, per la ricerca di un’attività lavorativa e per l’avvio di un’attività di lavoro autonomo;
d) supporto, accompagnamento e orientamento legale, anche in collegamento con la prefettura – ufficio territoriale del Governo e con la questura, in merito alle pratiche amministrative, con particolare riguardo per la richiesta, rinnovo o conversione dei permessi di soggiorno, per il ricongiungimento familiare, per l’acquisto della cittadinanza italiana e per la protezione internazionale;
e) accompagnamento e supporto agli stranieri che si sono appena ricongiunti e ai loro familiari residenti nel comune;
f) mediazione linguistico-culturale e servizi di interpretariato per gli stranieri;
g) mediazione di quartiere per l’ascolto, l’orientamento e la consulenza legale degli stranieri, in modo da prevenire o risolvere eventuali controversie e da favorire il dialogo tra la popolazione;
h) accompagnamento e supporto per l’orientamento, la progettazione e la realizzazione di eventuali progetti di rimpatrio volontario assistito;
i) supporto ad associazioni ed enti, italiani e stranieri, per la realizzazione sul territorio del comune di eventi, laboratori, riunioni, seminari e incontri con le comunità straniere;
l) promozione, coordinamento e collegamento delle iniziative e delle strutture di accoglienza per gli stranieri presenti sul territorio, anche in collegamento con la prefettura – ufficio territoriale del Governo;
m) promozione e collegamento, anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche, di tutti i corsi pubblici e privati operanti sul territorio e finalizzati all’apprendimento della lingua italiana;
n) promozione e collegamento, in collaborazione con la regione, delle iniziative di formazione o riqualificazione professionale degli stranieri».
«2–ter. Il permesso di soggiorno per i minori indicati nella lettera a) del comma 2 può essere chiesto o ritirato da chiunque, su delega scritta del genitore o del console dello Stato di appartenenza o del curatore speciale nominato dal giudice tutelare».
«d) genitori del richiedente o del coniuge quando tali genitori non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese d’origine ovvero quando dichiarino di essere disponibili ad assicurare l’assistenza indispensabile al richiedente o al coniuge nelle loro necessità personali o familiari o nella cura dei loro figli minorenni a causa di concomitanti esigenze di salute o di lavoro o di studio».
«2–bis. Ai fini di cui al presente testo unico è equiparato al coniuge la persona che con il richiedente ha legalmente costituito un’unione civile non sciolta o un altro tipo di unione legalmente riconosciuta nello Stato di origine con un’altra persona dello stesso sesso e il partner non coniugato che abbia una relazione stabile e duratura debitamente comprovata con il soggiornante in Italia o lo straniero non coniugato legato al soggiornante in Italia da una relazione formalmente registrata».
risorse stabili e legittime da parte del richiedente o dei suoi familiari residenti in Italia, le quali siano sufficienti per mantenere se stesso e i propri familiari senza ricorrere al sistema italiano di assistenza sociale, valutate sulla base della loro natura e sulla base della loro non occasionalità, in modo che ogni familiare possa liberamente disporre in qualsiasi momento di un importo annuo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, aumentato della metà dell’importo dell’assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere».
permesso di soggiorno da parte del familiare qualora detto cittadino sia un rifugiato o un titolare di protezione sussidiaria o un titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari ovvero qualora il familiare si trovi nella condizione prevista nella lettera b) del comma 5-quater dell’articolo 5».
«1–bis. Ai minori stranieri presenti sul territorio nazionale, indipendentemente dal possesso di un permesso di soggiorno da parte loro o dei loro genitori, sono riconosciuti in via generale pari diritti rispetto ai minori italiani, inclusi i diritti inerenti gli atti di stato civile, il diritto all’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, l’accesso agli interventi di sostegno al nucleo familiare finalizzati a consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia, nonché il diritto all’istruzione e alla formazione fino al conseguimento del titolo finale del corso iniziato durante la minore età».
a) al comma 1 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Le disposizioni del presente comma si applicano anche agli stranieri che compiono la maggiore età allorché si trovano in Italia nella condizione di minori stranieri non accompagnati. Il permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato al minore è rinnovato per la medesima durata di quello del genitore al compimento della maggiore età e in seguito a condizione che il figlio maggiore di età
risulti a carico del genitore. Analogamente è rilasciato il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo al figlio maggiorenne a carico di un genitore titolare del medesimo permesso che abbia gli altri requisiti per ottenerlo»;
b) i commi 1-bis e 1-ter sono abrogati.
a) al comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il provvedimento di respingimento alla frontiera è adottato con atto scritto e motivato, anche con la modulistica prevista dalle norme dell’Unione europea, tradotto in lingua comprensibile allo straniero ed è comunicato allo stesso, unitamente all’indicazione delle modalità d’impugnazione»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Agli stranieri che hanno eluso i controlli di frontiera o che sono comunque fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare delle frontiere via terra, via mare o via aria o che, nelle circostanze di cui al comma 1 del presente articolo, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso, si applicano le disposizioni degli articoli 10-bis e 10-ter».
«Art. 10-bis. – (Stranieri in situazione di soggiorno irregolare: rilascio di titoli di soggiorno e decisione di rimpatrio). – 1. Si considera in situazione di soggiorno irregolare nel territorio dello Stato lo straniero che si trova sul territorio dello Stato e che si trova in una delle seguenti condizioni:
a) non soddisfa o non soddisfa più le condizioni d’ingresso previste nell’articolo 6 del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, e non è titolare in Italia di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o rilasciato ad altro titolo ovvero non ha o non ha più le condizioni per chiedere od ottenere un altro titolo di soggiorno;
b) è sprovvisto di un titolo di soggiorno valido o in corso di rilascio o di rinnovo, esclusi i casi di identificazione durante le verifiche di frontiera svolte all’attraversamento delle frontiere esterne in uscita dal territorio dello Stato;
c) è entrato nel territorio dello Stato eludendo i controlli di frontiera o essendo comunque sprovvisto di documenti di viaggio o di identificazione validi e di un visto di ingresso, ove prescritto;
d) è fermato o è scoperto dalle competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare via terra, via mare o via aria delle frontiere o del territorio dello Stato;
e) si presenta ai valichi di frontiera sprovvisto dei requisiti previsti per l’ingresso o il soggiorno nel territorio dello Stato ed è comunque ammesso nel territorio dello Stato per necessità di pubblico soccorso;
g) è comunque trovato nel mare territoriale o a bordo di un aeromobile che giunge a un aeroporto italiano o a bordo di un natante che è in navigazione nel mare territoriale ovvero in zona contigua al mare
territoriale e in tali casi è sprovvisto di documenti di viaggio o di identificazione o di un valido titolo di soggiorno o si hanno elementi per dubitare della sua identità o nazionalità o comunque deve essere soccorso trovandosi in situazione di bisogno o di pericolo per la sua salute o incolumità personale;
h) al momento della dimissione da un istituto penitenziario per qualsiasi motivo, anche a seguito di cessazione di una misura cautelare detentiva, non sono ancora identificate la sua identità o nazionalità o è sprovvisto di documenti di identificazione o di un valido titolo di soggiorno.
2. Dopo che siano stati svolti ai sensi dell’articolo 10-ter i colloqui e i rilievi fotodattiloscopici, sulla base degli elementi raccolti dal questore d’ufficio o nel colloquio e degli elementi forniti da altre autorità o dallo stesso straniero o dal suo difensore o da un ente che opera in favore degli stranieri:
a) qualora lo straniero manifesti in qualsiasi modo la volontà di presentare domanda di protezione internazionale, il questore procede alla verbalizzazione della domanda, gli rilascia il permesso di soggiorno per richiesta di asilo e dispone in suo favore l’immediato accesso alle misure di accoglienza e di assistenza nei casi e nei modi previsti dalle norme in vigore in materia di protezione internazionale;
b) qualora lo straniero si trovi in una delle condizioni indicate negli articoli 18, 18-bis e 22, comma 12-quater, il questore ne informa immediatamente il competente procuratore della Repubblica e previo suo parere favorevole gli rilascia il permesso di soggiorno per motivi umanitari e, nei casi indicati nell’articolo 18, lo avvia a un programma di assistenza e integrazione sociale, fatta salva l’effettività del periodo di riflessione previsto nei predetti articoli;
c) qualora lo straniero sia un minore straniero non accompagnato, il questore osserva le norme che lo riguardano e qualora si trovi nelle condizioni indicate nell’articolo 31, comma 3, ne informa i servizi sociali territoriali e il competente tribunale
per i minorenni e, su autorizzazione del tribunale stesso, gli rilascia il permesso di soggiorno per minore età o per assistenza di minore;
d) qualora lo straniero si trovi in una delle situazioni indicate negli articoli 5, 17, 19, 20, 29, 29-bis 30, 31, 32 o 33 o nel regolamento di attuazione che comunque consentono il rilascio di un permesso di soggiorno, il questore rilascia, anche d’ufficio, uno dei titoli di soggiorno previsti da tali disposizioni, inclusi i casi in cui sussistano motivi umanitari o esigenze attinenti al diritto alla difesa o al diritto all’unità familiare o ad altri obblighi costituzionali, internazionali o dell’Unione europea o inderogabili esigenze di giustizia e provvede altresì a segnalare immediatamente ai servizi sociali territoriali e al tribunale per i minorenni il minore non accompagnato;
e) qualora lo straniero debba ricevere le cure mediche indicate nell’articolo 35, il questore gli rilascia un permesso di soggiorno per motivi di cure mediche valido per tutta la durata delle cure e della necessaria convalescenza e comprovate dalla certificazione delle strutture sanitarie indicate nel medesimo articolo;
f) qualora si tratti di familiari stranieri di cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea legalmente presenti in Italia, il questore raccoglie la domanda di rilascio della carta di soggiorno o dei permessi di soggiorno previsti dal decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30;
g) lo straniero è immediatamente sottoposto ad arresto o a fermo nelle ipotesi previste dalla legge ovvero nei suoi confronti è ripristinata l’esecuzione della pena detentiva qualora si trovi nei casi indicati dall’articolo 16;
h) qualora lo straniero sia destinatario di un provvedimento di espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o per motivi di prevenzione del terrorismo o per motivi di sicurezza pubblica, previsti dall’articolo 13, comma 1, e comma 2, lettera c), ovvero abbia violato il divieto di rientro nel territorio dello Stato disposto a seguito di espulsione adottata a
titolo di misura di sicurezza, egli è sottoposto a trattenimento provvisorio per un massimo di 96 ore presso un centro di permanenza temporanea disposto ai sensi dell’articolo 14, comma 1, dal questore con provvedimento scritto e motivato;
i) qualora lo straniero sia sottoposto a trattenimento e si sia illegittimamente allontanato da un centro di permanenza temporanea è riportato nel centro a cura delle Forze di polizia e ricominciano a decorrere i termini del trattenimento interrotti dall’indebito allontanamento, salvo che il questore disponga il rinvio dell’allontanamento ai sensi dell’articolo 14-quater;
l) lo straniero è nuovamente soggetto alle misure restrittive diverse dal trattenimento indicate nell’articolo 14, comma 1-bis, se era espulso ed era stato a esse sottoposto e se ne era sottratto, salva la possibilità di applicare allo straniero diverse misure in base alle disposizioni degli articoli 13 e 14 o di disporre il rinvio dell’allontanamento ai sensi dell’articolo 14-quater;
m) qualora, anche a seguito dei rilievi fotodattiloscopici, si accerti l’identità o la nazionalità dello straniero e la sua titolarità di un titolo di soggiorno in corso di validità o in corso di rilascio o in corso di rinnovo lo straniero, egli deve essere subito rimesso in libertà.
3. Lo straniero si trova altresì in situazione di soggiorno irregolare nel territorio dello Stato se si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’articolo 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il suo permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo ovvero se si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68. Tuttavia in tali casi qualora lo straniero abbia iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno o di un’altra autorizzazione che conferisce il diritto a soggiornare ovvero abbia ricevuto
un provvedimento di rifiuto di rinnovo o di annullamento o di revoca del suo titolo di soggiorno, che sia stato disposto non per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, né per la condanna per reati, né per l’uso di documenti falsi o contraffatti, si considera in situazione di soggiorno irregolare soltanto dopo che sia trascorso il termine per l’impugnazione dei provvedimenti di rifiuto o di rifiuto di rinnovo o di revoca del titolo di soggiorno senza che il provvedimento sia stato impugnato o se, dopo l’impugnazione, il giudice non ne abbia ordinato la sospensione o il ricorso giurisdizionale sia stato rigettato.
4. Il questore, svolti i colloqui e gli accertamenti previsti dall’articolo 10-ter, adotta una decisione di rimpatrio nei confronti dello straniero che si trova in una delle situazioni indicate nei commi 1 e 3 del presente articolo, ma che non abbia i requisiti per ottenere il rilascio di un altro titolo di soggiorno ai sensi del comma 2, lettere a), b), c), d), e) e f), e che non sia sottoposto alle misure indicate nelle lettere g), h), i) e l) del medesimo comma. Il questore adotta la decisione di rimpatrio, in una delle tre seguenti forme, da valutare caso per caso:
a) nei confronti dello straniero identificato che richieda di essere assistito nell’immediato rientro nel Paese di origine e abbia i requisiti indicati nell’articolo 14-ter adotta la decisione di rimpatrio, senza alcun provvedimento espulsivo, e contestualmente lo segnala alla prefettura – ufficio territoriale del Governo per l’immediata ammissione a un programma di rimpatrio volontario e assistito ai fini del viaggio di rientro volontario nel Paese di origine e del suo reinserimento sociale; in tale ipotesi la decisione di rimpatrio concede allo straniero un termine, non inferiore a sette giorni, per la partenza volontaria dal territorio dello Stato, conforme ai modi e ai tempi del programma di rimpatrio volontario assistito, nonché, anche sulla base di elementi e riscontri forniti dall’interessato, alla conclusione dell’anno scolastico dei suoi figli che prima del provvedimento di rimpatrio erano già regolarmente iscritti a
istituti scolastici italiani nell’ambito dell’obbligo formativo;
b) nei confronti dello straniero identificato che si trovi in situazione diversa da quelle indicate nella lettera a) e nella lettera c), adotta la decisione di rimpatrio e gli concede un termine non inferiore a sette giorni per la partenza volontaria dal territorio dello Stato, che deve essere commisurato, anche sulla base di elementi e riscontri forniti dall’interessato, alla conclusione dell’anno scolastico dei suoi figli che prima del provvedimento di rimpatrio erano già regolarmente iscritti a istituti scolastici italiani nell’ambito dell’obbligo formativo e a eventuali esigenze inderogabili connesse con altri legami familiari e sociali. In tale ipotesi il questore invia il provvedimento di rimpatrio al prefetto ai fini dell’immediata presentazione della richiesta al tribunale di autorizzare l’adozione del provvedimento espulsivo nei casi e nei modi indicati nell’articolo 13, comma 2-quater;
c) nei confronti dello straniero, il quale non sia identificato ovvero non abbia effettivamente osservato il termine per la partenza volontaria fissato nel precedente provvedimento di rimpatrio adottato ai sensi della lettera a) del presente comma ovvero si trovi in una delle ipotesi indicate nell’articolo 13, comma 4, ovvero per il quale il rischio della fuga in una delle ipotesi indicate nell’articolo 13, comma 4-bis, adotta la decisione di rimpatrio e contestualmente gli comunica il provvedimento amministrativo di espulsione adottato dal prefetto e l’eventuale misura adottata dal questore ai sensi dell’articolo 14, che contestualmente invia per la convalida al tribunale ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 13, comma 5-bis, e dell’articolo 14.
5. La decisione di rimpatrio è adottata dal questore con atto scritto e motivato in fatto e in diritto, contenente l’indicazione dei motivi che impediscono il rilascio di un titolo di soggiorno in una delle ipotesi indicate nel comma 2 e dei mezzi di ricorso giurisdizionale e deve essere tradotta in lingua comprensibile all’interessato. A essa deve essere allegata, a pena di nullità, anche copia del verbale del colloquio redatta
ai sensi dell’articolo 10-ter. La decisione di rimpatrio è revocata di diritto qualora successivamente allo straniero sia rilasciato un titolo di soggiorno e in tal caso è altresì revocato di diritto il provvedimento di espulsione che sia stato eventualmente disposto per effetto della decisione di rimpatrio revocata.
6. Lo straniero, entro il quinto giorno precedente il termine ultimo per la partenza volontaria, può sempre presentare al questore una domanda scritta e motivata di revisione o di revoca della decisione di rimpatrio, indicando gli elementi, anche nuovi o sopravvenuti, che gli consentirebbero il rilascio di un titolo di soggiorno e su tale domanda il questore si pronuncia entro i due giorni successivi.
7. La decisione di rimpatrio deve essere notificata o comunicata anche per le vie brevi allo straniero, che può impugnarla entro cinque giorni dalla consegna, con ricorso dinanzi al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui il ricorrente ha la dimora; il ricorso può essere presentato anche per le vie brevi e contestualmente al giudizio sulla richiesta di autorizzazione all’espulsione prevista nell’articolo 13, comma 2-quater, o al giudizio sulla convalida del provvedimento espulsivo previsto nei casi indicati dall’articolo 13, comma 5-bis, o al giudizio sul reclamo presentato ai sensi dell’articolo 13, comma 8; il giudice si pronuncia sul ricorso non oltre il termine eventualmente concesso per la partenza volontaria e qualora il termine per la partenza volontaria sia fissato in sette giorni l’esecuzione è sospesa fino alla decisione del tribunale sul ricorso, che deve essere adottata non oltre i sette giorni dalla presentazione del ricorso stesso».
a) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
«1–bis. Le operazioni di primo soccorso, che si svolgono nei centri di primo soccorso e accoglienza o nelle unità navali che prendono a bordo persone alla deriva o in difficoltà in mare, comprendono l’assistenza medica che si rende necessaria, l’accertamento di situazioni di bisogni particolari, la fornitura di vitto e alloggio e di vestiti e gli accertamenti sanitari generali, nonché l’assistenza di un mediatore linguistico-culturale per i primi contatti e per l’illustrazione delle operazioni di soccorso. Ogni straniero soccorso in mare o nelle vicinanze dei valichi di frontiera è ospitato insieme con i suoi familiari nell’ambito di un centro di accoglienza durante tutte le operazioni di soccorso, di identificazione e di svolgimento del colloquio, fatte salve le norme a tutela dei minori non accompagnati, delle persone più vulnerabili e delle vittime di violenza o di tratta delle persone. Lo straniero che si trova nel centro ha altresì diritto di prendere contatto con i propri familiari, con un difensore e con associazioni ed enti operanti in materia di immigrazione. Lo straniero soccorso e bisognoso di cure mediche deve essere prioritariamente avviato alle strutture sanitarie pubbliche o convenzionate e riceve da esse le cure necessarie ai sensi dell’articolo 35 fino all’esito dell’evento morboso prima di svolgere le operazioni di identificazione e il colloquio previsto dal presente articolo.
1–ter. Lo straniero che ha manifestato in Italia la volontà di presentare domanda di protezione internazionale e che in base alle norme dell’Unione europea può fruire della ricollocazione in un altro Stato membro dell’Unione deve essere identificato e deve essere tempestivamente informato delle procedure di ricollocazione, ha il diritto di esprimere le sue preferenze e deve fornire ogni elemento utile circa l’eventuale presenza
di familiari in altri Stati membri dell’Unione, fermi restando il superiore interesse del minore e l’esigenza di mantenere unite le famiglie, nonché ogni elemento concernente i suoi titoli di studio, le qualifiche professionali, le conoscenze linguistiche e le capacità professionali e di lavoro che possono favorire una più rapida ricollocazione in uno Stato di gradimento per l’interessato, ed è ospitato in Italia nel sistema di accoglienza fino al momento dell’effettivo trasferimento nel territorio dell’altro Stato membro dell’Unione europea»;
b) al comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In tali ipotesi sono fornite allo straniero le informazioni indicate nei commi 1 e 1-ter e si svolgono i colloqui previsti dal presente articolo; per tali scopi il colloquio e le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico sono effettuati presso i locali della locale questura allorché nel territorio della provincia non siano effettivamente disponibili con immediatezza posti nell’ambito dei centri indicati nel comma 1»;
c) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Lo straniero che senza giustificato motivo dopo l’effettuazione del colloquio previsto dal presente articolo si rifiuti reiteratamente di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo è considerato a rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all’articolo 14, comma 1. Il trattenimento è disposto caso per caso in via provvisoria per 96 ore dal questore con provvedimento scritto e motivato, tradotto in una lingua comprensibile allo straniero, recante in allegato il verbale del colloquio svolto ai sensi dell’articolo 10-bis. Il trattenimento deve essere comunicato per la convalida entro 48 ore al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, nel cui territorio si trova il centro; il giudice si pronuncia sulla convalida del trattenimento provvisorio entro le successive 48 ore e in caso di convalida, su richiesta motivata del questore, può disporre il trattenimento per i medesimi
motivi per un ulteriore periodo fino a una durata massima complessiva di trenta giorni, salvo che prima di tale termine lo straniero si sia sottoposto volontariamente ai rilievi e sempreché il trattenimento non sia disposto o prorogato per altri motivi. Si osservano le disposizioni dell’articolo 14, commi 2, 3 e 4, in quanto applicabili»;
d) dopo il comma 4 sono aggiunti i seguenti:
«4–bis. L’informazione indicata nei commi 1, 1-ter, 2 e 4 è assicurata mediante un colloquio che deve prendere in effettiva considerazione la situazione complessiva della persona e che mira a definire la situazione personale, familiare, sociale e sanitaria in cui si trova lo straniero in Italia, inclusi gli eventuali atti di violenza o di sfruttamento subiti, a raccogliere tutti gli elementi utili ad accertarne l’identità e la nazionalità, a reperire i suoi documenti di viaggio e i suoi effettivi mezzi di sostentamento, gli eventuali rapporti di lavoro svolti in Italia, anche in modo irregolare, e i suoi legami familiari e sociali nel Paese di origine. Durante il colloquio deve essere fornita allo straniero una completa informazione, in una lingua a lui comprensibile, della sua condizione giuridica, delle misure previste dal presente testo unico a tutela delle vittime di reato, di violenze e di sfruttamento, anche lavorativo e sessuale, della facoltà di presentare domanda di protezione internazionale e della successiva procedura, dei suoi diritti e dei suoi doveri in caso di presentazione della domanda, degli effetti della mancata presentazione della domanda di protezione internazionale e della sua facoltà di presentare la domanda in qualsiasi momento successivo e l’illustrazione delle successive procedure concernenti i rilievi fotodattiloscopici e l’identificazione che si svolgeranno nel centro o in questura, nonché della successiva verbalizzazione della domanda di protezione internazionale da parte della questura stessa e delle possibilità di ottenere il rilascio di un titolo di soggiorno in una delle situazioni indicate negli articoli 5, 18, 18-bis, 19, 20, 22, 29, 29-bis, 30, 31, 32 o 33 del presente testo unico ovvero domanda di rilascio di carta di soggiorno per familiari
italiani o di altri Stati membri dell’Unione europea nei casi previsti dal decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, e, in mancanza, delle possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari in caso sia identificato ovvero di usufruire di forme di rimpatrio volontario assistito.
4–ter. Il colloquio è svolto da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza ovvero da personale qualificato appartenenti ad altri enti di comprovata competenza nel settore della protezione internazionale in convenzione con il Ministero dell’interno e che non svolgono attività di monitoraggio o di garanzia nell’ambito del medesimo centro o struttura o in altri centri di eguale natura. In ogni caso il colloquio si svolge con l’ausilio di un mediatore linguistico-culturale qualora lo straniero non comprenda la lingua italiana e ad esso può presenziare, se lo straniero ne dispone, un difensore o un rappresentante di un ente o un’associazione operante in favore degli stranieri.
4–quater. Del colloquio è redatto un verbale contenente le informazioni raccolte, che deve essere immediatamente riletto, integrato e sottoscritto anche dallo straniero e deve essere rilasciato in copia anche allo straniero a conclusione del colloquio stesso. Le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico si svolgono dopo lo svolgimento del colloquio e la firma sul relativo verbale.
4–quinquies. Per lo svolgimento delle operazioni di identificazione e del colloquio con la firma del relativo verbale che si svolgono sulla terraferma nei locali della questura o di un determinato centro, comunque denominato, lo straniero ha l’obbligo di rimanere in tali locali per non più di 12 ore, trascorse le quali può allontanarsene, fatte salve le successive necessità di accesso immediato a misure di accoglienza o di presentazione e verbalizzazione della domanda di protezione internazionale o di rilascio dei titoli di soggiorno e purché nei suoi confronti non sia stato disposto, nei casi e nei modi previsti dalla legge, il trattenimento o un altro tipo di misura restrittiva della libertà personale o una misura restrittiva della libertà di circolazione e soggiorno.
4–sexies. Nei confronti dello straniero che non manifesti la volontà di presentare domanda di protezione internazionale e che non abbia i requisiti per ottenere il rilascio di un altro tipo di titolo di soggiorno ai sensi dell’articolo 10-bis possono essere disposti o eseguiti eventuali provvedimenti di rimpatrio, di respingimento, di espulsione, di allontanamento o di trattenimento soltanto dopo il completamento delle operazioni di soccorso e di identificazione e dopo la firma della verbale del colloquio effettivamente svolto.
4-septies. Al fine di verificare l’effettivo rispetto del diritto all’informazione e delle altre garanzie previste dal presente articolo, l’accesso libero e senza preavviso ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne, ai punti di crisi, ai centri di cui al presente articolo, ai locali delle questure e dei posti di polizia di frontiera e a tutti i locali in cui lo straniero si trova sotto il controllo delle Forze di polizia è sempre consentito ai rappresentanti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e ai rappresentanti di associazioni o enti, diversi da quelli dell’ente gestore del centro, che non svolgono in convenzione a titolo oneroso con la pubblica amministrazione, sul territorio italiano, le attività presso i centri di servizio alle frontiere o presso i centri di accoglienza comunque denominati o presso i centri di permanenza temporanea e che siano iscritti nel registro delle associazioni e degli enti che operano in favore degli immigrati previsto dall’articolo 42».
«2–quater. Lo straniero che si trova nelle situazioni indicate nel comma 2, lettere a) e b), è espulso quando nei suoi confronti il questore abbia adottato una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 4, lettera b) o c), e il prefetto abbia ottenuto dal tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui lo straniero si trova, rispettivamente l’autorizzazione espressa ai sensi del comma 2-decies del presente articolo ad adottare il provvedimento espulsivo, recante anche le modalità di esecuzione, ovvero la convalida del provvedimento amministrativo di espulsione ai sensi del comma 5-bis del medesimo articolo.
2–quinquies. Nelle more della decisione del tribunale sulla richiesta di autorizzazione all’espulsione presentata dal prefetto ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 4, lettera b), il questore può disporre in via provvisoria una delle misure indicate nel comma 1 o nel comma 1-bis dell’articolo 14 nei confronti dello straniero per il quale abbia chiesto anche l’esecuzione dell’espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera.
2–sexies. La richiesta di autorizzazione ad adottare il provvedimento espulsivo è effettuata con atto scritto e motivato al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui si trova lo straniero e reca anche le valutazioni sulle circostanze indicate nel comma 2-bis e la modalità di esecuzione prescelta per l’espulsione, e ad essa devono essere allegate, a pena di inammissibilità, anche la decisione di rimpatrio adottata dal questore ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 4, lettera b), la copia del verbale del colloquio con lo straniero svoltosi ai sensi dell’articolo 10-ter e l’eventuale provvedimento
provvisorio del questore disposto ai sensi dell’articolo 14, nonché la copia degli eventuali provvedimenti di revoca o di rifiuto di rinnovo o di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno, sulla base dei quali sia stato successivamente adottato il provvedimento di rimpatrio.
2–septies. La richiesta e i suoi allegati devono pervenire al tribunale entro 48 ore dall’adozione delle misure provvisorie da parte del questore e devono essere contestualmente consegnati allo straniero o notificati al domicilio eletto dallo straniero nel colloquio svolto in questura ai sensi dell’articolo 10-ter e al suo difensore e devono essere tradotti in una lingua comprensibile allo straniero.
2–octies. L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato, se è reperibile, è tempestivamente informato e se è sottoposto a una delle misure indicate nell’articolo 14 è condotto nel luogo in cui il tribunale tiene l’udienza. Nei casi in cui lo straniero non sia reperibile la data dell’udienza e l’invito a comparire sono notificati al domicilio eletto. Lo straniero è ammesso all’assistenza legale da parte di un difensore di fiducia nominato anche durante l’udienza. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal tribunale nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete. Il prefetto può stare in giudizio personalmente anche avvalendosi di funzionari appositamente delegati, anche in accordo con il questore.
2–novies. Il tribunale, sentito lo straniero, se presente, e il suo difensore, acquisita anche d’ufficio ogni altra informazione utile, incluse quelle inviate dalle autorità di pubblica sicurezza e da enti operanti in favore degli stranieri, si pronuncia entro 48 ore dal ricevimento della richiesta del questore con proprio decreto scritto e
motivato, che deve essere tradotto in una lingua comprensibile allo straniero.
2–decies. Il tribunale, se verifica che nella situazione concreta dello straniero sussistono i presupposti per l’adozione del provvedimento di rimpatrio, che lo straniero non ha manifestato la volontà di presentare domanda di protezione internazionale, che è impossibile rilasciare allo straniero qualsiasi tipo di permesso di soggiorno, che sussistono i presupposti dei provvedimenti di revoca o di rifiuto di rinnovo o di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno, sulla base dei quali sia stato successivamente adottato il provvedimento di rimpatrio, che sussistono i presupposti per adottare ed eseguire il provvedimento di espulsione e che non sussiste alcuna delle situazioni indicate nell’articolo 19, né alcun altro pericolo concreto e attuale per lo straniero di subire nel Paese di invio rischi per la propria vita o per la propria incolumità personale anche derivanti da torture, condanne a morte o trattamenti inumani o degradanti, autorizza l’adozione dell’espulsione, indica il tipo di esecuzione del provvedimento espulsivo sulla base della situazione concreta dello straniero, convalida la misura adottata ai sensi dell’articolo 14 se ne sussistono i presupposti e se autorizza l’accompagnamento alla frontiera dispone altresì una delle misure indicate nell’articolo 14 qualora sia necessario il nulla osta dell’autorità giudiziaria procedente o non sia possibile eseguire con immediatezza l’accompagnamento.
2–undecies. Il decreto del tribunale di autorizzazione è allegato al provvedimento espulsivo disposto dal prefetto, che deve essere ad esso conforme a pena di nullità.
2–duodecies. Qualora il tribunale rigetti la richiesta del prefetto di autorizzare l’espulsione e affermi la sussistenza dei presupposti per il mantenimento o il rilascio di un titolo di soggiorno, dispone l’annullamento del provvedimento di revoca o di rifiuto di rinnovo o di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno, sulla base dei quali era stato adottato il provvedimento di rimpatrio, e in ogni caso dispone la revoca o l’annullamento della decisione di rimpatrio, non convalida la misura provvisoria
eventualmente adottata ai sensi dell’articolo 14 e il questore provvede all’immediato rilascio allo straniero del titolo di soggiorno indicato nel decreto del tribunale.
2–terdecies. Il termine di 48 ore entro il quale il tribunale deve provvedere agli altri adempimenti previsti dal presente articolo decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria».
a) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità o scaduto, salvo che la persona sia stata precedentemente identificata con certezza tramite rilievi fotodattiloscopici»;
b) alla lettera b) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «la disponibilità dell’alloggio sussiste allorché, con qualsiasi mezzo, chiunque dimostri al questore che lo straniero stesso dalla data di consegna del decreto espulsivo alla data dell’effettivo allontanamento dal territorio dello Stato sarà effettivamente ospitato in un centro di accoglienza legalmente operativo ovvero in un alloggio ad uso di abitazione, di cui abbia legale disponibilità lo straniero stesso o un suo familiare regolarmente soggiornante o un’altra persona legalmente residente in Italia che in qualsiasi modo abbia dichiarato o dichiari la disponibilità ad alloggiarlo;»;
c) alla lettera c) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, purché tali falsi siano espressamente motivati sulla base di specifiche informazioni o segnalazioni di altri Stati regolarmente inserite nel sistema EURODAC, nel sistema Sistema informativo Schengen o nel Sistema d’informazione visti o in altre banche dati istituite dalle norme dell’Unione europea ovvero sulla base di sentenze definitive di condanna e le false generalità non siano state successivamente sanate dal rilascio di documenti di identificazione o di titoli di soggiorno riportanti le esatte generalità dello straniero;».
a) al comma 5, i periodi quarto e quinto sono sostituiti dai seguenti: «La partenza volontaria è sempre prevista nei casi in cui il provvedimento di espulsione sia disposto nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo e nei casi in cui il titolo di soggiorno dello straniero sia stato revocato o annullato o ne sia stato rifiutato il rinnovo, salvo che sussista una delle ipotesi indicate nei commi 4 e 4-bise salvo che i provvedimenti di revoca, di annullamento o di rifiuto siano stati disposti per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale o a seguito di sentenze penali di condanna. Negli altri casi in cui non ricorrono le condizioni per disporre l’accompagnamento alla frontiera, lo straniero può presentare al tribunale che giudica la richiesta di autorizzare o di convalidare l’espulsione la richiesta di concessione della partenza volontaria o della proroga dei termini della partenza volontaria, anche mediante istanza redatta in forma semplice e in calce al modello che lo informa della facoltà di chiedere ed ottenere la concessione o la proroga e l’accesso a programmi di rimpatrio assistito. L’istanza si intende comunque presentata anche da parte dello straniero a cui siano state illustrate le possibilità di avvalersi della partenza volontaria e che non vi abbia espressamente rinunciato in forma scritta. L’istanza è comunque accolta se lo straniero manifesta l’intenzione di fruire di un programma di rimpatrio assistito e ne abbia i requisiti, nonché in tutti i casi in cui nei confronti dello straniero si possa disporre in modo efficace una delle misure previste nel comma 5.2. Il periodo per la partenza volontaria può essere successivamente prorogato dal questore con atto scritto e motivato, anche su richiesta dell’interessato,
per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l’esistenza di figli minori che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali. L’eventuale provvedimento di diniego della concessione o della proroga della partenza volontaria deve essere scritto e motivato e tradotto in una lingua comprensibile allo straniero e deve indicare anche i mezzi di impugnazione. Tale provvedimento è impugnabile dinanzi al tribunale in composizione collegiale competente in materia di reclamo contro l’espulsione, anche con ricorso presentato per le vie brevi, in esenzione di ogni tassa, onere o spesa; il ricorso può essere presentato anche contestualmente alla presentazione del ricorso contro il provvedimento di espulsione e in tal caso il giudice decide sul ricorso nell’ambito del giudizio sul ricorso contro il provvedimento di espulsione»;
b) il comma 5.2 è sostituito dal seguente:
«5.2. Nei casi in cui sia concesso un termine per la partenza volontaria, se sussiste il rischio concreto di fuga dello straniero il questore può disporre nei confronti dello straniero e per una durata massima di sei mesi una o più delle seguenti misure:
a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza;
b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato;
c) obbligo di presentazione, in giorni e orari stabiliti, presso un ufficio delle Forze di polizia territorialmente competente;
d) dimostrazione della disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilità dell’assegno sociale annuo, nei casi in cui lo straniero prima dell’adozione del provvedimento espulsivo era regolarmente soggiornante. Le misure sono adottate, anche contestualmente alla concessione
del termine per la partenza volontaria, con provvedimento motivato e hanno effetto dalla notifica all’interessato recante l’avviso che lo stesso ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui lo straniero si trova, competente per la convalida. Il provvedimento è comunicato al tribunale competente per territorio entro 48 ore dalla notifica. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, sentiti l’interessato e il suo difensore, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Le misure, su istanza dell’interessato, sentito il questore, possono essere modificate o revocate dal giudice. In caso di trasgressione il questore esegue l’espulsione con accompagnamento alla frontiera disposta ai sensi del comma 4 del presente articolo e dispone a titolo provvisorio il trattenimento ai sensi dell’articolo 14, comma 1».
«5–bis. In tutti i casi in cui il provvedimento amministrativo di espulsione debba essere eseguito con accompagnamento alla frontiera ai sensi del comma 4, escluse le ipotesi di espulsione disposta dall’autorità giudiziaria e quelle in cui il tribunale abbia già autorizzato ai sensi dei commi 2-quater e 2-decies del presente articolo l’espulsione da eseguire con accompagnamento alla frontiera, e nei casi in cui sia stata adottata una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 4, lettera c), il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al tribunale ordinario sede della sezione
specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui lo straniero si trova il provvedimento amministrativo di espulsione disposto dal prefetto o dal Ministro dell’interno con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera, chiedendo al tribunale la convalida del provvedimento espulsivo e della connessa esecuzione con accompagnamento alla frontiera e, in attesa della definizione del procedimento, dispone contestualmente, ai sensi dell’articolo 14, commi 1 e 1-bis, il provvedimento provvisorio di trattenimento o un altro provvedimento alternativo nei confronti dello straniero espulso e chiede allo stesso tribunale la convalida dello stesso provvedimento e l’adozione di eventuali altri provvedimenti ai sensi dei medesimi commi per il periodo successivo alla convalida, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento espulsivo anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili.
5–ter. Tutti i provvedimenti comunicati al tribunale devono essere contestualmente comunicati dal questore, con le necessarie traduzioni, anche allo straniero e al suo difensore. Alla richiesta di convalida dei provvedimenti amministrativi di espulsione disposti ai sensi delle lettere a) e b) del comma 2 del presente articolo devono essere allegate, a pena di nullità, anche la decisione di rimpatrio adottata dal questore ai sensi dell’articolo 10-bis e la copia del verbale del colloquio con lo straniero svolto ai sensi dell’articolo 10-ter, nonché la copia degli eventuali provvedimenti di revoca o di rifiuto di rinnovo o di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno, sulla base dei quali sia stato successivamente adottato il provvedimento di rimpatrio.
5–quater. Le richieste di convalida dell’espulsione disposta nelle ipotesi indicate nella lettera c) del comma 2 sono inviate anche al procuratore della Repubblica e al procuratore distrettuale antimafia che possono comparire nel giudizio.
5–quinquies. L’espulsione con allontanamento dal territorio nazionale non può
essere eseguita fino alla decisione di convalida del provvedimento.
5–sexies. L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza. Lo straniero è ammesso all’assistenza legale da parte di un difensore di fiducia munito di procura speciale. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete. L’autorità che ha adottato il provvedimento può stare in giudizio personalmente anche avvalendosi di funzionari appositamente delegati o delegati dal questore.
5–septies. Il tribunale, acquisita anche d’ufficio ogni altra informazione utile, incluse quelle inviate dalle autorità di pubblica sicurezza e da enti operanti in favore degli stranieri, e sentito l’interessato, se comparso, provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificati l’osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo, il verbale del colloquio svolto ai sensi dell’articolo 10-ter, la sussistenza dei requisiti dei provvedimenti di revoca o di rifiuto di rinnovo o di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno che siano il presupposto del provvedimento espulsivo e l’insussistenza di una delle situazioni in cui l’espulsione è vietata ai sensi dell’articolo 19 o del pericolo concreto e attuale per lo straniero di subire nel Paese di invio rischi per la propria vita o per la propria incolumità personale anche derivanti da torture, condanne a morte o trattamenti inumani o degradanti, nonché accertato che nella situazione concreta dello straniero sussistono i presupposti per l’adozione del provvedimento di rimpatrio, che lo straniero non ha manifestato la volontà
di presentare domanda di protezione internazionale e che è impossibile rilasciare allo straniero qualsiasi tipo di permesso di soggiorno.
5–octies. Nel medesimo decreto il tribunale, quando convalida l’espulsione, verifica la congruità del periodo di divieto di rientro dell’espulso nel caso concreto e se necessario, anche su richiesta dell’interessato, ne modifica la durata e, verificata la sussistenza dei presupposti previsti dall’articolo 14, si pronuncia sulla convalida del trattenimento provvisorio o di un altro provvedimento alternativo e sulla richiesta del questore di disporre i medesimi provvedimenti nel periodo successivo alla convalida necessario a dare attuazione all’accompagnamento alla frontiera e, se del caso, dispone un provvedimento modificato rispetto a quello richiesto.
5–novies. Quando la convalida è concessa, il questore dà esecuzione al provvedimento espulsivo con accompagnamento alla frontiera e al provvedimento disposto dal tribunale ai sensi dell’articolo 14.
5–decies. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento espulsivo e i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 14 sono annullati e perdono ogni effetto.
5–undecies. Qualora il tribunale rigetti la richiesta di convalida del provvedimento espulsivo e affermi la sussistenza dei presupposti per il mantenimento o per il rilascio del titolo di soggiorno di cui lo straniero era titolare o il rilascio di un titolo di soggiorno annulla il provvedimento espulsivo e gli eventuali provvedimenti di revoca o di rifiuto di rinnovo o di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno che siano il presupposto del provvedimento espulsivo, non convalida la misura provvisoria eventualmente adottata ai sensi dell’articolo 14 e allo straniero è restituito il titolo di soggiorno di cui era titolare o è rilasciato il titolo di soggiorno indicato nel decreto del tribunale.
5–duodecies. Il termine di 48 ore entro il quale il tribunale deve provvedere alla convalida e agli altri adempimenti previsti dai commi da 5-bis a 5-undecies decorre dal
momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria».
«8. Il decreto del tribunale in composizione monocratica che ha autorizzato l’espulsione richiesta ai sensi dei commi 2-quater e 2-decies o che ha convalidato l’espulsione ai sensi dei commi 5-bis, 5-secties e 5-octies, incluso il periodo di divieto di rientro e il tipo di esecuzione, è immediatamente esecutivo allorché l’espulsione sia stata disposta in una delle ipotesi indicate nei commi 1, 2, lettera c), 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater, 13 e 13-bis; in tutte le altre ipotesi di espulsione previste ai sensi del comma 2, lettere a) e b), il decreto è esecutivo dopo trenta giorni dalla comunicazione all’interessato del deposito del decreto.
8–bis. Contro il decreto del tribunale in composizione monocratica che autorizza o convalida l’espulsione è ammesso entro trenta giorni il reclamo al tribunale in composizione collegiale, composto da magistrati della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea competente per il luogo in cui lo straniero si trova. La presentazione del reclamo insieme con l’istanza incidentale di sospensione sospende l’esecuzione del decreto autorizzato ai sensi dei commi 2-quater e 2-decies fino alla decisione del presidente della medesima sezione specializzata sull’istanza di sospensione nelle more della decisione sul merito del reclamo.
8–ter. La presentazione del reclamo insieme con l’istanza incidentale di sospensione motivata dal pericolo concreto e attuale per lo straniero di subire nel Paese di invio rischi per la propria vita o per la propria incolumità personale anche derivanti
da torture, condanne a morte o trattamenti inumani o degradanti sospende l’esecuzione del decreto convalidato ai sensi dei commi 5-bis, 5-secties e 5-octies fino alla decisione del presidente della sezione specializzata di cui al comma 8-bis sull’istanza di sospensione. Nelle more della decisione sul merito del reclamo e nelle more della decisione del giudice sull’istanza, il questore può disporre il trattenimento ai sensi dell’articolo 14.
8–quater. Il reclamo è proposto, a pena di inammissibilità, al tribunale in composizione collegiale in cui ha sede la sezione specializzata di cui al comma 8-bis entro trenta giorni dalla decisione adottata dal tribunale in composizione monocratica comunicata o notificata allo straniero e al suo difensore, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana e in tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare. Lo straniero è ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete. Il reclamo, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato a cura della cancelleria al prefetto e al questore almeno cinque giorni prima della medesima udienza. L’autorità amministrativa che ha emesso il provvedimento espulsivo convalidato o autorizzato dal tribunale con il decreto impugnato può costituirsi fino alla prima udienza e può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati.
8–quinquies. Gli atti del procedimento e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta.
8–sexies. L’ordinanza che definisce il giudizio deve essere pronunciata entro il termine di venti giorni dalla presentazione del reclamo e può annullare la decisione di rimpatrio e il provvedimento espulsivo o può riformarli, anche modificando la durata del periodo di divieto di rientro e il tipo di esecuzione o può altresì sospenderne l’esecuzione per gravi motivi.
8-septies. L’ordinanza è ricorribile per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento espulsivo, né l’esecuzione del provvedimento disposto ai sensi dell’articolo 14».
a) il comma 13 è sostituito dal seguente:
«13. Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno, che non è richiesta per lo straniero già espulso ai sensi del comma 2, lettere a) e b), che sia spontaneamente rientrato in patria nel termine indicato per la partenza volontaria o che sia stato autorizzato al ricongiungimento familiare, ai sensi dell’articolo 29. Nel caso di espulsione disposta dall’autorità giudiziaria il Ministro decide sulla richiesta di autorizzazione al reingresso su conforme parere dell’autorità giudiziaria che aveva disposto l’espulsione. In caso di trasgressione al divieto di rientro lo straniero espulso ai sensi del comma 2, lettere a) e b), escluse le ipotesi previste al comma 3-quinquies, è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera ai sensi dei commi 4 e 5-bis e nei suoi
confronti il questore deve sempre disporre il trattenimento ai sensi dell’articolo 14 e la durata del divieto di rientro è di almeno cinque anni. In caso di trasgressione al divieto di rientro lo straniero che era stato espulso nelle altre ipotesi previste dal presente articolo è punito con la reclusione da uno a quattro anni e nei suoi confronti si applicano il comma 3-quinquies del presente articolo e l’articolo 16. Qualora non sia sottoposto a pena detentiva o a custodia cautelare in carcere, è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera ai sensi dei commi 4 e 5-bis e nei suoi confronti il questore deve sempre disporre il trattenimento ai sensi dell’articolo 14 e la durata del divieto di rientro è di almeno cinque anni»;
b) il comma 13-bis è sostituito dal seguente:
«13–bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice a titolo di misura di sicurezza o a titolo di misura alternativa alla detenzione o di sanzione sostitutiva della pena, il trasgressore del divieto di reingresso è altresì punito con la reclusione da uno a quattro anni. Allo straniero che, già denunciato per il reato previsto dal presente comma, successivamente sia stato effettivamente espulso e abbia trasgredito nuovamente il divieto di reingresso si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni»;
c) al comma 13-ter sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatta salva l’applicazione dell’articolo 16»;
d) al comma 14, il terzo periodo è sostituito dai seguenti: «Per i provvedimenti di espulsione per i quali sia stata concessa la partenza volontaria ai sensi del comma 5 e per gli stranieri che siano stati ammessi a un programma di rimpatrio assistito, il divieto previsto al comma 13 decorre dalla scadenza del termine assegnato per l’uscita dal territorio dello Stato. In ogni caso è esente da divieto di rientro lo straniero espulso ai sensi del comma 2, lettere a) e b), che abbia effettivamente lasciato il territorio dello Stato entro il termine fissato per la partenza volontaria o per il rimpatrio assistito».
«1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, inclusa la necessità di acquisire documenti per il viaggio o altra documentazione da Paesi non appartenenti all’Unione europea o riconducibili alla necessità di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero l’indisponibilità di un mezzo di trasporto idoneo, e nel caso concreto non possano essere efficacemente applicate le misure meno coercitive previste nel comma 1-bis del presente articolo o sussista un rischio di fuga, identificato ai sensi dell’articolo 13, comma 4-bis, oggettivamente non fronteggiabile con altre misure meno afflittive ovvero lo straniero eviti od ostacoli la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento, il questore può disporre che, in via provvisoria e per non più di 96 ore, lo straniero sia trattenuto presso il centro di permanenza temporanea più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, al fine di preparare il rimpatrio o di effettuare l’allontanamento. Il questore trasmette immediatamente e non oltre 48 ore al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui ha sede il centro, allo straniero e al suo difensore la copia del provvedimento provvisorio di trattenimento, la richiesta
di convalida e la richiesta di disporre il trattenimento per un periodo successivo di trenta giorni. Nei casi e nei modi previsti nel comma 2-quater dell’articolo 13 il tribunale ordinario competente ad autorizzare o a convalidare l’espulsione provvede alla convalida del trattenimento provvisorio e adotta il trattenimento per il successivo periodo di trenta giorni. Qualora il trattenimento debba essere convalidato o adottato dopo che l’espulsione sia stata autorizzata o convalidata si applicano i commi 3 e 4.
1–bis. In tutti i casi in cui non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, a causa delle medesime situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento indicate nel comma 1 e non è stato disposto il trattenimento o comunque non è possibile l’effettivo trattenimento in un centro di permanenza temporanea, il questore dispone che in via provvisoria e per non più di 96 ore lo straniero, fino all’effettivo accompagnamento alla frontiera, sia sottoposto ad una o più delle seguenti misure: a) consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; b) obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; c) obbligo di presentazione, in giorni e orari stabiliti, presso un ufficio delle Forze di polizia territorialmente competente. Quando l’espulsione è stata disposta ai sensi dell’articolo 13, comma 1, o comma 2, lettera c), del presente testo unico o ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, il questore può disporre anche la misura della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza. Le misure previste nel presente comma sono adottate con provvedimento motivato, che ha effetto dalla notifica all’interessato, disposta ai sensi dell’articolo 3, commi 3 e 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, recante l’avviso che lo stesso ha facoltà di presentare personalmente o a
e delle esigenze particolari delle persone vulnerabili.
2. In ogni centro di permanenza temporanea deve essere assicurato allo straniero trattenuto un trattamento che abbia modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità.
2–bis. Oltre a quanto previsto dall’articolo 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno. Lo straniero ha comunque la possibilità di ottenere di entrare in contatto con rappresentanti legali, con i propri familiari e con le autorità consolari competenti del Paese di origine.
2–ter. Le prestazioni sanitarie sono prestate al di fuori del centro nei casi e nei modi previsti dall’articolo 35, anche sulla base di accordi con le aziende sanitarie locali e ospedaliere che possono prevedere che alcune forme di assistenza infermieristica siano svolte direttamente all’interno del centro.
2–quater. In ogni centro si applicano le disposizioni dell’articolo 67 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale esercita tutti i poteri di verifica e di accesso di cui all’articolo 7, comma 5, lettera e), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10. Hanno altresì accesso a ogni centro, senza alcuna autorizzazione o preavviso, anche il garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, i difensori delle persone trattenute, i rappresentanti dell’Alto commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni e degli organismi del Consiglio d’Europa, nonché, previa autorizzazione del giudice del tribunale che ha disposto o prorogato il trattenimento, organismi e organizzazioni nazionali e internazionali che operano in favore degli stranieri.
2–quinquies. In ogni centro devono essere sempre assicurati a ogni straniero trattenuto locali riscaldati e areati, in cui vi siano locali di soggiorno distinti da quelli di pernottamento, un’alimentazione sana e sufficiente,
adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, alla stagione, al clima e ai precetti religiosi, fornita in locali destinati ai pasti, l’acqua potabile, la disponibilità di biancheria pulita e abiti civili in buono stato di conservazione e di pulizia ovvero la pulizia degli abiti posseduti dagli stranieri, l’uso di servizi igienici adeguati ad assicurare l’igiene personale, incluso il taglio di capelli, aree all’aperto, l’accesso a servizi appositi e professionali di servizio sociale, di orientamento legale in materia di immigrazione e asilo, di tutela e assistenza delle persone che si trovano in condizioni più vulnerabili, di mediazione linguistico-culturale, di assistenza socio-psicologica e di organizzazione del tempo libero. Ogni straniero ha il diritto di svolgere nei locali del centro anche con i propri ministri di culto le attività di culto della sua confessione religiosa. I membri adulti trattenuti appartenenti alla medesima famiglia nonché le vittime di tratta o di violenza usufruiscono di una sistemazione separata che assicuri loro un adeguato rispetto della vita privata.
2–sexies. Ogni straniero trattenuto deve essere informato in una lingua a lui comprensibile delle norme vigenti nel centro e dei suoi diritti e obblighi, incluso il diritto di presentare domanda di asilo e di mettersi in contatto con i familiari, con i ministri di culto, con un difensore, con il consolato del proprio Paese, nonché con gli organismi internazionali e le organizzazioni che operano in favore degli stranieri.
2–septies. Ogni centro di permanenza temporanea può essere istituito e mantenuto soltanto se assicura effettivamente a ogni straniero ivi trattenuto tutti i diritti e le condizioni previste dal presente articolo. Qualora tali diritti e condizioni non siano più effettivamente assicurati il Ministro dell’interno o il prefetto competente, anche su richiesta dell’autorità giudiziaria o di organismi internazionali o di enti che operano in favore degli stranieri, devono disporre ogni misura necessaria per l’immediata fruizione dei diritti o per l’immediato ripristino delle condizioni e, qualora non sia possibile, l’immediata chiusura, anche temporanea, del centro. In ogni caso il tribunale dispone che lo straniero espulso non
possa essere trattenuto in un centro di permanenza temporanea ove risulti che tali diritti e condizioni non siano a lui effettivamente assicurati in relazione alle sue condizioni personali e, se già trattenuto, dispone che sia trasferito in un altro centro che assicuri tali diritti e condizioni o, in mancanza, che il trattenimento cessi o non sia prorogato e che il questore esegua l’espulsione applicando le misure indicate nel comma 1-bis.
3. Il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui è trattenuto lo straniero, per la convalida, senza ritardo e comunque entro 48 ore dall’adozione del provvedimento di trattenimento provvisorio.
4. L’udienza per la convalida del trattenimento provvisorio o per l’adozione o la proroga del trattenimento si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza. Lo straniero è ammesso all’assistenza legale da parte di un difensore di fiducia munito di procura speciale. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete. L’autorità che ha adottato il provvedimento può stare in giudizio personalmente anche avvalendosi di funzionari appositamente delegati. Il tribunale provvede alla convalida del trattenimento provvisorio o all’adozione o proroga del trattenimento, con decreto motivato, entro le 48 ore successive, verificate l’osservanza dei termini e la sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 13 e dal presente articolo, escluso il requisito della vicinanza del centro
di identificazione e di espulsione di cui al comma 1 del presente articolo, e sentito l’interessato, se comparso. Il provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione e nei casi in cui il tribunale non convalidi o non proroghi il trattenimento.
4–bis. Quando risulta che nel caso concreto non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato per motivi di ordine giuridico o per altri motivi, inclusa l’effettiva probabilità che lo straniero sia accolto nel territorio di un altro Stato, ovvero quando risulta che nel caso concreto non sussistono più le condizioni previste nel comma 1 il trattenimento non è più giustificato e lo straniero è immediatamente rimesso in libertà dal questore, che lo comunica al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui il ricorrente era trattenuto, ovvero, sentito il questore, con decreto del medesimo tribunale, anche su richiesta presentata per le vie brevi allo stesso tribunale dallo straniero o dal suo difensore.
4–ter. In ogni caso non è consentito il trattenimento dei minori e qualora durante il trattenimento si accerti la minore età della persona trattenuta il trattenimento cessa immediatamente o non può essere convalidato, disposto o prorogato e il minore all’uscita del centro deve essere preso in carico dai servizi sociali territoriali che ne informano il tribunale dei minori per i provvedimenti di sua competenza.
4–quater. Qualora il questore o il tribunale, anche su segnalazione degli enti locali o degli organismi che operano all’interno del centro, ritengano che lo straniero trattenuto sia vittima di violenza o di grave sfruttamento o di tratta delle persone e ricorrano i presupposti indicati nell’articolo 18, 18-bis o 22, ne informano tempestivamente il procuratore della Repubblica ai fini dell’espressione dei pareri per il rilascio dei permessi indicati in tali articoli o dell’ammissione a un periodo di riflessione e in caso di parere favorevole il
questore dispone l’immediata cessazione del trattenimento e dei provvedimenti conseguenti e ne dà immediata notizia al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui lo straniero era trattenuto.
4–quinquies. In ogni caso il questore, nello scegliere le misure da disporre in via provvisoria o da richiedere al tribunale, e il tribunale, nel disporre, convalidare o prorogare il trattenimento, si conformano al principio secondo cui gli adulti che convivono in Italia con i propri figli minori devono essere sottoposti a trattenimento soltanto in mancanza di un’altra soluzione e per un periodo adeguato il più breve possibile.
4–sexies. Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni previste dai commi 1, 2, 4-bis, 4-ter, 4-quater e 4-quinquies per il periodo indicato nel comma 5 necessario ad assicurare che l’allontanamento sia eseguito. Qualora tali presupposti non vi siano al momento della convalida del trattenimento provvisorio o della richiesta di trattenimento o al momento della proroga del trattenimento, il tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui è trattenuto lo straniero rispettivamente rigetta la richiesta di convalida del trattenimento provvisorio, rigetta la richiesta di trattenimento o la richiesta di proroga del trattenimento e contestualmente può chiedere al questore il riesame della decisione di rimpatrio o il rinvio dell’allontanamento ai sensi dell’articolo 14-quater ovvero, su richiesta del questore, sentito lo straniero e il suo difensore, può disporre che nei confronti dello straniero siano disposte le misure meno coercitive previste nel comma 1-bis al fine di assicurare l’esecuzione dell’espulsione.
4–septies. Quando risulta che nel caso concreto non vi sia più alcuna ragionevole prospettiva di allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato per motivi di ordine giuridico o pratico, il tribunale nel
rigettare la richiesta di disporre o di prorogare il trattenimento può disporre altresì l’annullamento della decisione del rimpatrio e invitare il questore a rilasciare un permesso di soggiorno ovvero, nei casi in cui non ci sia una ragionevole prospettiva di allontanamento perché nessuno Stato riconosce la persona espulsa come proprio cittadino, a fornire alla persona tutte le informazioni utili per accedere alla procedura per il riconoscimento dello status di apolide.
5. Dopo la convalida del trattenimento provvisorio il trattenimento disposto dal tribunale comporta la permanenza nel centro per un periodo di tempo definito dal tribunale in relazione alle oggettive necessità indicate e motivate nella richiesta del questore e comunque non superiore a complessivi trenta giorni. Anche prima di tale termine e dopo che il tribunale abbia disposto il trattenimento, il questore esegue l’espulsione con accompagnamento alla frontiera, dandone comunicazione senza ritardo al tribunale ordinario e al difensore dello straniero. Alla scadenza di tale termine, qualora sussistano le condizioni del trattenimento previste nel comma 1, non sussistano le condizioni indicate nei commi 4-bis, 4-ter, 4-quater, 4-quinquies, 4-sexies e 4-septies e l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui lo straniero è trattenuto può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni, su richiesta scritta e motivata del questore presentata non più di sette giorni prima e non meno di 48 ore alla scadenza del termine del trattenimento, sentiti lo straniero e il suo difensore, ai quali la richiesta di proroga deve essere comunicata dal questore almeno 48 ore prima. Qualora manchino non più di sette giorni e non meno di 48 ore alla scadenza di tale termine e permangano le condizioni del trattenimento indicate nel comma 1, non sussistano le condizioni indicate nei commi 4-bis, 4-ter, 4-quater, 4-quinquies, 4-sexies e 4-septies e siano emersi elementi concreti che
consentano di ritenere probabile l’identificazione ovvero sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio, il tribunale, sentiti il difensore e l’interessato, può disporre una o più proroghe al questore, che deve comunicarla almeno 48 ore prima anche allo straniero e al suo difensore. In ogni caso il periodo massimo di trattenimento dello straniero all’interno del centro non può essere superiore a novanta giorni. Lo straniero che sia già stato detenuto in un istituto penitenziario per un periodo pari a quello di novanta giorni indicato al periodo precedente, può essere trattenuto presso il centro per un periodo massimo di trenta giorni. Tale termine è prorogabile di ulteriori quindici giorni, previa convalida da parte del giudice, nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio. Nei confronti dello straniero a qualsiasi titolo detenuto la direzione dell’istituto penitenziario richiede al questore del luogo le informazioni sull’identità e sulla nazionalità dello stesso. Nei medesimi casi il questore avvia la procedura di identificazione interessando le competenti autorità diplomatiche. Ai soli fini dell’identificazione, l’autorità giudiziaria, su richiesta del questore, dispone la traduzione del detenuto presso il più vicino posto di polizia per il tempo strettamente necessario al compimento di tali operazioni. A tal fine il Ministro dell’interno e il Ministro della giustizia adottano i necessari strumenti di coordinamento.
5–bis. Qualora non sia stato possibile trattenere lo straniero espulso in un centro di permanenza temporanea e non sia comunque possibile l’adozione delle misure alternative indicate al comma 1-bis ovvero la permanenza in tali centri o l’adozione di tali misure non ne abbia comunque consentito l’effettivo allontanamento, il questore provvede al rinvio dell’allontanamento ai sensi dell’articolo 14-quater ovvero ammette lo straniero a un programma di rimpatrio volontario assistito previsto dall’articolo 14-ter. Il questore in ogni caso revoca la decisione di rimpatrio qualora nel caso concreto sussistano i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno
a qualsiasi titolo o non sussistano o non sussistano più le condizioni previste nel comma 4-bis ovvero rilascia un permesso di soggiorno a qualsiasi titolo qualora dalle circostanze concrete non emerga più alcuna prospettiva ragionevole che l’allontanamento possa essere eseguito e che lo straniero possa essere riaccolto dallo Stato di origine o di provenienza».
a) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Nel caso in cui lo straniero irregolarmente presente nel territorio è ammesso ai programmi di rimpatrio di cui al comma 1, la prefettura – ufficio territoriale del Governo del luogo ove egli si trova ne dà comunicazione, senza ritardo, alla competente questura, anche in via telematica. Fatto salvo quanto previsto dal comma 6 del presente articolo, è sospesa l’esecuzione dei provvedimenti emessi ai sensi dell’articolo 13, comma 2. È sospesa l’efficacia delle misure eventualmente adottate dal questore ai sensi dell’articolo 13, comma 5. È fatta salva la facoltà di disporre il rinvio dell’allontanamento ai sensi dell’articolo 14-quater»;
b) il comma 6 è sostituito dal seguente:
«6. Lo straniero ammesso a un programma di rimpatrio di cui al comma 1, allorché sia già trattenuto in un centro di permanenza temporanea, rimane nel centro fino alla partenza, nei limiti della durata massima del trattenimento prevista dall’articolo 14, comma 5».
«Art. 14-quater. – (Rinvio dell’allontanamento dello straniero espulso per ingresso o soggiorno irregolare). – 1. Il questore della provincia in cui lo straniero si trova dispone, d’ufficio o su richiesta dell’autorità giudiziaria o dell’interessato, il rinvio dell’allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero che sia destinatario di un provvedimento di espulsione adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e b), già autorizzato o convalidato dal tribunale, qualora nelle circostanze specifiche in cui si trova lo straniero che deve essere espulso si verifichi una delle seguenti situazioni:
a) l’allontanamento dello straniero può in concreto violare il divieto di espulsione o di respingimento previsto dall’articolo 19, comma 1, ovvero sussiste il pericolo concreto e attuale per lo straniero di subire nel Paese di invio rischi per la propria vita o per la propria incolumità personale anche derivanti da torture, condanne a morte o trattamenti inumani o degradanti;
b) è stata presentata al questore domanda di revisione contro la decisione di rimpatrio e per tutta la durata del relativo procedimento;
c) l’esecuzione dell’espulsione è stata sospesa dal giudice competente a giudicare il ricorso giurisdizionale contro l’espulsione o la decisione di rimpatrio;
d) le condizioni di salute fisica o mentale dello straniero ne impediscono l’allontanamento finché esse perdurino; in particolare, lo straniero affetto da una grave malattia fisica o psichica deve ricevere un permesso di soggiorno per cure mediche che gli dà diritto all’iscrizione al Servizio sanitario nazionale e gli permette di ricevere le cure opportune e non può in ogni caso essere allontanato verso uno Stato in
cui non possa effettivamente ricevere terapie adeguate;
e) sussistono ragioni tecniche che impediscono l’allontanamento, come la mancanza di mezzi di trasporto o la mancanza di identificazione dello straniero.
2. Il questore comunica allo straniero il provvedimento scritto e motivato di rinvio dell’allontanamento, recante anche la durata del rinvio compresa tra gli otto giorni e i diciotto mesi nelle ipotesi indicate nelle lettere d) ed e) del comma 1 del presente articolo e nei confronti dello straniero può disporre provvisoriamente, ai sensi dell’articolo 14, comma 1-bis, anche contestualmente una delle misure ivi previste qualora vi sia pericolo di fuga, chiedendone la convalida e l’applicazione per un successivo periodo al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui lo straniero ha la dimora. Contestualmente alla comunicazione del rinvio dell’allontanamento il questore rilascia allo straniero un titolo di soggiorno valido per tutto il periodo di sospensione, fino al momento in cui cessi il motivo di rinvio dell’allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato ovvero il provvedimento di espulsione o la decisione di rimpatrio siano annullati o revocati.
3. Qualora l’allontanamento sia stato rinviato da più di diciotto mesi il prefetto e il questore sottopongono d’ufficio a revisione rispettivamente il provvedimento amministrativo di espulsione e la decisione di rimpatrio e li revocano se persistono le situazioni indicate nel comma 1 del presente articolo e lo straniero non abbia violato le misure previste nell’articolo 14, comma 1-bis, eventualmente impostegli e non vi ostano motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. In tal caso lo straniero mantiene il permesso di soggiorno che aveva ricevuto ovvero lo converte o ne ottiene uno ad altro titolo e il questore dà comunicazione al giudice dell’eventuale ricorso pendente sul provvedimento revocato».
«1–ter. In ogni caso in cui deve essere eseguita l’espulsione disposta a titolo di misura di sicurezza e non sia stata revocata, il magistrato di sorveglianza o il direttore dell’istituto penitenziario ne danno immediata notizia al questore del luogo in cui lo straniero è detenuto ai fini dell’immediato svolgimento delle procedure di identificazione e di acquisizione dei documenti di viaggio e degli altri documenti necessari per assicurare l’immediato accompagnamento alla frontiera al momento dell’uscita dall’istituto penitenziario da parte delle Forze di polizia.
1–quater. Qualora almeno sessanta giorni prima dell’uscita dall’istituto penitenziario il magistrato di sorveglianza, anche su istanza dell’interessato o del questore, verifichi che, pur essendo tuttora socialmente pericoloso lo straniero a cui deve applicarsi la misura di sicurezza dell’espulsione, non è possibile l’accompagnamento alla frontiera al momento delle dimissioni dall’istituto penitenziario a causa di uno dei motivi in presenza dei quali l’articolo 19, comma 1, vieta l’espulsione ovvero a causa di impedimenti materiali connessi con la difficoltà di identificare l’identità o la nazionalità dello straniero o con l’indisponibilità di documenti di viaggio o di vettori, dispone con proprio decreto motivato la sospensione dell’esecuzione della misura di sicurezza dell’espulsione e la converte in una misura di sicurezza detentiva ai sensi dell’articolo 216 del codice penale. Tale misura è rinnovata almeno ogni anno per un periodo di almeno cinque anni, ma in ogni momento il magistrato di sorveglianza, anche su richiesta del questore o dell’interessato, dispone l’esecuzione della misura di sicurezza dell’espulsione e l’immediato accompagnamento alla frontiera al momento dell’uscita dall’istituto penitenziario in cui è internato quando siano cessati gli impedimenti
all’espulsione ovvero dispone la remissione in libertà per la cessazione della misura di sicurezza in caso di cessazione della pericolosità sociale. Entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza lo straniero può proporre opposizione al tribunale di sorveglianza che decide che nel termine di venti giorni. Salvo che il tribunale di sorveglianza abbia disposto misure alternative alla detenzione, lo straniero espulso a titolo di misura di sicurezza resta trattenuto nell’istituto penitenziario in cui è detenuto o internato fino all’effettiva esecuzione della misura di sicurezza disposta in sentenza o convertita ai sensi del presente comma e in ogni caso non può mai essere trattenuto in un centro di permanenza temporanea».
a) al comma 1, le parole: «ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 10-bis» e il secondo periodo sono soppressi;
b) il comma 1-bis è sostituito dal seguente:
«1–bis. Nei casi di cui al comma 1, il giudice dispone l’espulsione con un divieto di rientro per un periodo non inferiore a cinque anni».
all’allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, sono abrogati.
3. L’articolo 18 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, è abrogato.
«3–septies. Alla persona che si trova sul territorio dello Stato che abbia presentato al Ministero dell’interno o al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea una regolare domanda per il riconoscimento dello status di apolide e allo straniero sprovvisto di un altro valido titolo di soggiorno che abbia presentato domanda di acquisto o concessione della cittadinanza italiana sono rilasciati, rispettivamente, un permesso di soggiorno in attesa di riconoscimento di apolidia o un permesso di soggiorno in attesa di cittadinanza italiana, validi fino alla definitiva decisione concernente il procedimento amministrativo o giudiziario avviato; tali permessi consentono l’accesso al lavoro. Alla persona a cui il Ministero dell’interno o il tribunale ordinario italiano ha riconosciuto lo status di apolide è rilasciato un permesso di soggiorno della durata quinquennale, rinnovabile finché perdura lo stato di apolide, ed è riconosciuto il trattamento previsto dal presente testo unico agli stranieri regolarmente soggiornanti, fatti salvi le garanzie e il migliore trattamento previsti per gli apolidi dalle norme internazionali in vigore, incluso il rilascio del documento di viaggio per apolidi».
«12–bis. Con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, l’Ufficio nazionale antidiscriminazione (UNAR) istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è trasformato in Autorità nazionale Antidiscriminazioni, quale autorità amministrativa indipendente, composta da qualificati esperti in materia di diritto degli stranieri e di diritto antidiscriminatorio, sulla base di una procedura pubblica di segnalazione dei nominativi dei possibili candidati da parte degli enti o associazioni iscritti nel registro nazionale previsto dall’articolo 42 o iscritti nel registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, e nominati per sei anni, dei quali metà eletti a scrutinio segreto e con voto limitato a maggioranza assoluta dalle due Camere, rispettivamente un quarto dalla Camera dei deputati e un quarto dal Senato della Repubblica, e metà eletti a scrutinio segreto e con voto limitato a maggioranza assoluta dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. All’Autorità, oltre alle funzioni già esercitate dall’UNAR, sono assegnate funzioni di coordinamento delle informazioni e delle azioni per prevenire le discriminazioni previste nell’articolo 43, inclusi la possibilità di azione diretta in giudizio nelle azioni previste dal presente articolo, il rafforzamento e la precisazione dei poteri di indagine, la possibilità di effettuare indagini e di acquisire dati o documenti, la possibilità di irrogare sanzioni amministrative in caso di inadempimento o di omissione nel fornire le informazioni o i documenti richiesti ovvero nel caso di accertamento dell’effettiva presenza di una condotta discriminatoria».
«2. È competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente ha il domicilio, quello in cui ha domicilio il convenuto o quello del luogo in cui è stata posta in essere la dedotta discriminazione».
«2–bis. Nelle cause disciplinate dal presente articolo il giudizio di appello deve essere introdotto con ricorso, depositato nel termine di trenta giorni di cui all’articolo 702-quater del codice di procedura civile. Salva richiesta congiunta delle parti,
non trovano applicazione i termini per le memorie di cui all’articolo 352, primo comma, del citato codice di procedura civile e, all’udienza fissata, il collegio invita le parti alla discussione orale e deposita la sentenza nel termine di sessanta giorni dall’udienza».
«3–bis. L’articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, si interpreta nel senso che gli enti e le associazioni di cui all’elenco indicato al comma 1 del predetto articolo sono legittimati ad agire, nei limiti e alle condizioni ivi previsti, anche avverso le discriminazioni in ragione della cittadinanza e della nazionalità ai sensi degli articoli 43 e 44 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
3–ter. L’azione civile avverso la discriminazione disciplinata dal presente articolo è esente da ogni tassa o imposta e da ogni altro tipo di oneri fiscali».
«b-bis) dai genitori ultrasessantacinquenni che hanno ottenuto il ricongiungimento
familiare ai sensi dell’articolo 29, comma 1, lettera d), limitatamente al primo anno dall’ingresso in Italia, fermo restando per gli anni successivi il diritto di costoro di iscriversi gratuitamente al Servizio sanitario nazionale ai sensi del comma 2 del presente articolo».
«3–bis. I cittadini stranieri per tutta la minore età, anche se sprovvisti di un titolo di soggiorno o il cui genitore sia privo di titolo di soggiorno, accedono comunque al Servizio sanitario nazionale, al pediatra di libera scelta e al medico di medicina generale, alle medesime condizioni previste per i minori italiani.
3–ter. Gli stranieri indigenti non iscrivibili al Servizio sanitario nazionale hanno comunque diritto al rilascio di un codice straniero temporaneamente presente (STP), che permette di usufruire in modo paritario di tutte le prestazioni previste dai livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria a livello statale. Tali stranieri hanno altresì il diritto di essere assegnati a un medico di medicina generale al fine di dare continuità alle cure.
3–quater. Il presente articolo si applica tramite l’utilizzo del codice europeo non inscrivibile (ENI) anche ai cittadini indigenti dell’Unione europea che si trovino nel territorio italiano sprovvisti di documenti di identificazione o di tessera europea di assistenza medica o di altra copertura sanitaria, nonché ai loro familiari stranieri conviventi, salvo che possano fruire di un trattamento più favorevole.
3–quinquies. Le regioni e le province autonome adeguano le proprie norme al fine di dare attuazione immediata e completa a quanto previsto dal presente articolo».
«6. Gli stranieri titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, gli stranieri titolari di permesso unico per soggiorno e lavoro o di un permesso di soggiorno per status di rifugiato o per protezione sussidiaria, nonché gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno, inclusi i minori di età, hanno diritto di accedere in condizioni di parità con i cittadini italiani agli alloggi di edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione delle agenzie sociali eventualmente predisposte da ogni regione o dagli enti locali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative e al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione, incluso l’accesso al Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione istituito dall’articolo 11 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, comprese le norme sulla certificazione dei redditi».
«Art. 41. – (Assistenza sociale). – 1. Gli stranieri titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o di permesso unico per soggiorno e lavoro o di permesso di soggiorno per carta blu UE o per status di rifugiato o per protezione sussidiaria, nonché gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno, inclusi i minori di età, sono equiparati ai cittadini italiani, anche
per ciò che riguarda l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e l’autocertificazione dei redditi, ai fini della fruizione delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali, delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti dal morbo di Hansen, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti, per gli anziani, per la maternità o per le famiglie numerose, per la nascita o l’adozione di un figlio, per gli acquisti delle persone in condizione di bisogno economico e per tutte le prestazioni sociali individuate nel regolamento n. 883/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, inclusi l’indennità di accompagnamento, l’indennità di frequenza, l’assegno di invalidità, la pensione di invalidità, l’assegno sociale, l’assegno di maternità di base istituito dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, l’assegno di maternità per le lavoratrici atipiche previsto dall’articolo 75 del medesimo testo unico, l’assegno per il nucleo familiare numeroso previsto dall’articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e dall’articolo 1, comma 130, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, l’assegno di natalità istituito dall’articolo 1, comma 125, della citata legge n. 190 del 2014, la carta acquisti ordinaria istituita dall’articolo 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nonché l’assegno per il nucleo familiare corrisposto a lavoratori, disoccupati e pensionati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153, anche in presenza di familiari a carico residenti all’estero, e il Sostegno all’inclusione attiva».
a) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, emanato ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati e periodicamente rivisti i posti e le funzioni delle amministrazioni pubbliche che comportino in via continuativa l’esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri e attengano alla tutela dell’interesse nazionale, per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all’accesso dei cittadini di cui ai commi 1 e 3-bis»;
b) al comma 3-bis sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché agli stranieri titolari di un permesso unico per soggiorno e lavoro».
a) all’articolo 5, comma 8-bis, le parole: «un contratto di soggiorno», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «una proposta di contratto di lavoro o un contratto di lavoro»;
b) all’articolo 5, comma 9-bis, lettera a), all’articolo 22, comma 2, lettera c), all’articolo 24, commi 3 e 11, e all’articolo 27-quater, comma 9, le parole: «contratto di soggiorno», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «contratto di lavoro»;
c) all’articolo 6, comma 1, le parole: «contratto di soggiorno per lavoro» sono sostituite dalle seguenti: «contratto di lavoro»;
d) all’articolo 22, comma 6, le parole: «contratto di soggiorno» sono sostituite dalle seguenti: «contratto di lavoro»;
e) all’articolo 27, comma 1-ter, le parole: «proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, previsto dall’articolo 5-bis» sono sostituite dalle seguenti: «proposta di contratto di lavoro» e le parole: «del contratto di soggiorno» sono sostituite dalle seguenti: «del contratto di lavoro»;
f) all’articolo 27-quater, comma 11, le parole: «contratto di soggiorno per lavoro di cui all’articolo 5-bis» sono sostituite dalle seguenti: «contratto di lavoro».
2. Al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 5-bis è abrogato;
b) all’articolo 9, comma 12, lettera b), le parole: «. Per lo svolgimento di attività di lavoro subordinato non è richiesta la stipula del contratto di soggiorno di cui all’articolo 5-bis» sono soppresse.
«2–bis. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo è comunque rilasciato anche agli stranieri trasportati nel compimento
del reato di cui all’articolo 12, comma 3, allorché siano le persone nei cui confronti siano rivolte le finalità che costituiscono la circostanza aggravante del medesimo reato prevista dal citato articolo 12, comma 3-ter, lettera a)».
«3–ter. Il permesso di soggiorno di cui al presente articolo è rilasciato e rinnovato anche in mancanza di una collaborazione adeguata da parte dello straniero con l’autorità giudiziaria o con le Forze di polizia in ogni caso in cui vi siano indizi che facciano ritenere che l’interessato sia vittima di tratta delle persone.
3–quater. Quando le autorità hanno ragionevoli elementi per ritenere che lo straniero
si trovi in una delle situazioni previste nel presente articolo devono fornirgli in una lingua a lui comprensibile le informazioni concernenti le opportunità e i benefìci previsti dal presente articolo e il diritto di presentare domanda di protezione internazionale. In tale ipotesi lo straniero ha diritto di fruire di un periodo di riflessione di sessanta giorni per consentirgli di riprendersi e di sottrarsi all’influenza degli autori dei reati, affinché possa decidere consapevolmente se voglia cooperare con le autorità competenti. Durante il periodo di riflessione e nell’attesa della decisione delle autorità competenti lo straniero non può essere espulso per motivi connessi all’ingresso o al soggiorno irregolare. Il periodo di riflessione cessa allorché sia rilasciato il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, anche prima della conclusione del periodo stesso.
3–quinquies. Durante il periodo di riflessione e in ogni caso prima del rilascio del permesso previsto dal presente articolo allo straniero privo delle risorse sufficienti sono garantiti un livello di vita che gli consenta la sussistenza e l’accesso a cure mediche urgenti o essenziali, inclusa un’assistenza psicologica, anche tenendo conto delle esigenze particolari delle persone più vulnerabili, nonché l’assistenza linguistica, l’assistenza legale gratuita, l’assistenza dei patronati e di altri enti che operano in favore degli stranieri o delle vittime della tratta e la massima tutela della riservatezza.
3–sexies. Allorché lo straniero che si trovi nelle condizioni previste dal presente articolo abbia chiesto od ottenuto la protezione internazionale è collocato o resta comunque nelle strutture di accoglienza che ospitano i titolari del permesso previsto dal presente articolo fino a quando cessano le esigenze di protezione e fruisce comunque anche di tutte le altre misure di accoglienza e di assistenza previste per costoro e per la protezione internazionale.
3–septies. Forme periodiche di formazione e aggiornamento dei magistrati, degli appartenenti alle Forze di polizia e del personale degli enti locali, degli enti di vigilanza in materia di tutela e sicurezza
del lavoro e degli enti del privato sociale sono predisposte, anche con iniziative congiunte o finanziate con i programmi istituiti ai sensi del presente articolo, rispettivamente dalla Scuola superiore della magistratura, dalla Scuola di perfezionamento delle Forze di polizia e dal Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati».
«3–bis. Ogni vittima di violenza domestica ha il diritto di accedere ad appositi programmi di assistenza e integrazione sociale dedicati alle persone beneficiarie del permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica rilasciato ai sensi del presente articolo, al fine di consentire loro l’effettivo accesso ai centri antiviolenza e ai servizi degli enti attuatori dei programmi di reinserimento sociale. Si osservano, in quanto applicabili, le norme sui programmi di assistenza e integrazione sociale previsti dall’articolo 18».
a) al comma 12-bis:
1) la lettera a) è abrogata;
2) la lettera c) è sostituita dalla seguente:
«c) se i lavoratori occupati sono sottoposti a una delle condizioni di sfruttamento indicate nell’articolo 603-bis del codice penale»;
b) al comma 12-ter è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La sentenza dispone altresì l’esclusione del datore di lavoro individuale o dell’impresa da benefìci e da sovvenzioni pubblici, anche derivanti dall’Unione europea, ovvero impone l’obbligo di rimborso degli stessi e dispone la chiusura temporanea dell’azienda»;
c) al comma 12-quater, le parole: «abbia presentato denuncia e cooperi» sono sostituite dalle seguenti: «intenda cooperare»;
d) al comma 12-quinquies è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nei casi in cui l’emersione del lavoratore straniero illegalmente occupato comporti concreti pericoli per la sua incolumità, egli può partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale ai sensi dell’articolo 18, anche senza obbligo di collaborazione alle indagini»;
e) dopo il comma 12-quinquies sono inseriti i seguenti:
«12–sexies. Quando il questore, il procuratore della Repubblica, il comune, gli agenti o ufficiali di pubblica sicurezza, i
o di rifiuto di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno in allegato al relativo provvedimento, a pena di nullità dello stesso.
12–septies. Il questore, d’ufficio o su richiesta motivata del procuratore della Repubblica, del comune, degli agenti o ufficiali di pubblica sicurezza, di servizi ispettivi del lavoro, di un patronato sindacale o di un’organizzazione sindacale, deve sempre disporre in favore dello straniero che ha svolto lavoro in condizioni illegali un periodo di riflessione da quindici a sessanta giorni per consentirgli di riprendersi e di sottrarsi all’influenza degli autori dei reati, affinché possa decidere consapevolmente se voglia cooperare con le autorità competenti. Durante il periodo di riflessione e nell’attesa della decisione delle autorità competenti lo straniero che si trova in situazione di soggiorno irregolare non può essere espulso e riceve il trattamento previsto per lo straniero titolare del permesso previsto dal presente articolo, fermo restando che il periodo di riflessione non conferisce un diritto di soggiorno e che in qualsiasi momento può cessare se le autorità competenti hanno accertato che l’interessato si sia reso irreperibile o abbia attivamente, volontariamente e di propria iniziativa ristabilito un legame con gli autori dei reati oppure per motivi attinenti alla pubblica sicurezza e alla salvaguardia della sicurezza nazionale. Il periodo di riflessione cessa altresì allorché sia rilasciato il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, anche prima della conclusione del periodo stesso.
12–octies. Durante il periodo di riflessione e in ogni caso prima del rilascio del permesso previsto dal presente articolo allo straniero privo delle risorse sufficienti sono garantiti un livello di vita che gli consenta la sussistenza e l’accesso a cure mediche urgenti o essenziali, inclusa un’assistenza psicologica, anche tenendo conto delle esigenze particolari delle persone più vulnerabili, nonché l’assistenza linguistica, l’assistenza legale gratuita l’assistenza dei patronati e di altri enti che operano in favore degli stranieri o delle organizzazioni sindacali
e la massima tutela della riservatezza».
«Art. 604-bis. – (Irrilevanza del consenso della vittima e sua non punibilità). – 1. I delitti previsti nella presente sezione sono puniti anche se siano stati compiuti con il consenso della vittima dello sfruttamento o del prelievo di organi o di chi svolga attività lavorativa o sessuale o di accattonaggio. Il consenso prestato allo sfruttamento non osta all’accesso della vittima alle tutele previste dalla legge.
2. Non è punibile chi ha commesso reati per esservi stato costretto come conseguenza diretta di uno degli atti previsti nell’articolo 601».
a) le parole: «e con l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati» sono sostituite dalle seguenti: «, con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati, con l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, con Eurojust, con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, con il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e con qualificati esperti sulle materie del diritto degli stranieri»;
b) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, e alla raccolta di informazioni sulla situazione dei Paesi di origine degli stranieri, nonché specifiche sessioni dedicate al diritto di asilo, al diritto all’unità familiare, alla condizione delle persone più vulnerabili, alla tratta delle persone, alla libertà personale, alla disciplina dell’ingresso, del soggiorno e degli allontanamenti degli stranieri, all’accertamento dell’apolidia e alla disciplina della cittadinanza italiana».
«5–quinquies. In tutti i casi in cui la revoca o il rifiuto di rinnovo del titolo di soggiorno non siano disposti per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale, né a seguito di una misura di sicurezza dell’espulsione o di espulsione disposta dall’autorità giudiziaria, il questore invia al domicilio dell’interessato, qualora conosciuto, l’avviso scritto e motivato dell’inizio del procedimento di revoca o di rifiuto di rinnovo e dei motivi ostativi al mantenimento o al rinnovo del titolo di soggiorno tradotta anche in una lingua comprensibile dall’interessato, con l’indicazione della facoltà di fare pervenire per iscritto al questore stesso entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’avviso eventuali controdeduzioni o elementi a favore del mantenimento o del rinnovo del titolo di soggiorno in corso di validità o di rinnovo o
del rilascio di un permesso di soggiorno ad altro titolo; in tali casi il provvedimento di revoca o di rifiuto di rinnovo può essere adottato dal questore soltanto dopo il decorso di tale termine e deve essere motivato anche con riferimento agli eventuali elementi e controdeduzioni fatti pervenire».
«e-ter) per i giudizi sui ricorsi contro i provvedimenti di diniego e di revoca delle misure di accoglienza del richiedente la protezione internazionale ai sensi degli articoli 15 e 23 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142;
e-quater) per i giudizi sui ricorsi avverso il mancato rilascio ai titolari di protezione internazionale dei documenti e titoli di viaggio di cui all’articolo 24 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251;
e-quinquies) per i giudizi sui ricorsi avverso i provvedimenti di diniego o di revoca o di annullamento dei visti di ingresso degli stranieri, di diniego di rilascio o di annullamento o di revoca dei permessi di soggiorno o dei permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o di diniego di rinnovo o di conversione del permesso di soggiorno degli stranieri;
e-sexies) per i giudizi sui ricorsi contro i provvedimenti di respingimento disposti nei confronti degli stranieri ai sensi dell’articolo 10 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
e-septies) per i giudizi sui ricorsi contro i provvedimenti amministrativi di espulsione disposti dal Ministro dell’interno e
dai prefetti nei confronti degli stranieri ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155;
e-octies) per i giudizi di convalida dei provvedimenti di allontanamento del questore e di convalida delle misure alternative disposti in esecuzione dei provvedimenti amministrativi di espulsione, da effettuare rispettivamente ai sensi dell’articolo 13, commi 5.2 e 5-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
e-novies) per i giudizi di convalida e di proroga dei provvedimenti di trattenimento degli stranieri nei centri di permanenza e dei provvedimenti alternativi, disposti nei casi previsti dagli articoli 13 e 14 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
2. All’articolo 18 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, le parole: «giudice di pace» sono sostituite dalle seguenti: «sezione specializzata del tribunale ordinario in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea»;
b) al comma 3, le parole: «all’autorità giudiziaria italiana» sono sostituite dalle seguenti: «alla sezione specializzata del tribunale ordinario in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea».
3. Il comma 10 dell’articolo 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituito dal seguente:
«10. Contro i provvedimenti di respingimento ovvero di diniego o di revoca o di annullamento del visto di ingresso ovvero di diniego di rilascio o di annullamento o di revoca dei permessi di soggiorno o dei permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ovvero di diniego di rinnovo o di conversione del permesso di
soggiorno degli stranieri è ammesso ricorso al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. Si osserva il rito sommario di cognizione. Il ricorrente presente in Italia può comunque chiedere di essere ascoltato dal giudice. La decisione che si pronuncia sul ricorso riconosce altresì la sussistenza o no del diritto del ricorrente a ottenere rispettivamente il rilascio del visto di ingresso o il rilascio o il rinnovo o la conversione del titolo di soggiorno».
«10–bis. Tutti i provvedimenti di diniego di rinnovo o di conversione o di revoca o di annullamento dei permessi di soggiorno e del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, disposti per motivi diversi dall’ordine pubblico e dalla sicurezza e fuori dei casi disposti a seguito di pronunce dell’autorità giudiziaria penale, divengono efficaci soltanto dopo che siano trascorsi i termini per l’impugnazione senza che sia stato proposto ricorso al tribunale ordinario sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea del luogo in cui il ricorrente ha la dimora ovvero soltanto dopo che sia non più impugnabile la sentenza sul ricorso giurisdizionale presentato».
2. All’articolo 13, comma 3, primo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, le parole: «immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o a
impugnativa da parte dell’interessato» sono soppresse.
«1–bis. In ogni procedimento giurisdizionale e ai fini di garantire l’effettivo accesso alla difesa gratuita non sono richiesti documenti di identificazione o certificazioni dei redditi agli apolidi e agli stranieri che siano titolari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria o che abbiano presentato domanda di protezione internazionale o in pendenza di giudizio relativo al riconoscimento della protezione internazionale o della protezione umanitaria e fino alla definizione dell’intero giudizio o che siano titolari di un permesso per motivi umanitari o che si trovino nelle condizioni previste dagli articoli 18, 18-bis, 19, comma 1, 20 e 22, comma 12-quater, ovvero, in via provvisoria e salve le eventuali verifiche successive, a ogni altro straniero che presenti autocertificazione previa prova di avere presentato richiesta alla rappresentanza diplomatico-consolare del proprio Paese».
qualora siano titolari dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria o di apolide ovvero siano cittadini di Stati non appartenenti al Consiglio d’Europa; tale elettorato è altresì esercitato alle medesime condizioni dai titolari di carta di soggiorno permanente per familiari di cittadini dell’Unione europea».