“L’idea che si possa risolvere il problema migratorio solo dal punto di vista militare, che pure è un passaggio cruciale, è un inganno di corto respiro che tutt’al più può ridurre o fermare i flussi nel breve periodo, ma che rischia di allontanare una soluzione strutturale”. Lo ha detto Pia Locatelli aprendo i lavori del convegno organizzato dall’ISMAA “Sviluppo dei Paesi africani, governance dei flussi migratori, politiche di cooperazione: il ruolo dell’Italia”, che si è svolto presso la Sala del Refettorio della Camera dei deputati.
Il testo dell’intervento
Parlare di politiche per l’Africa oggi significa parlare soprattutto di gestione dei flussi migratori, ma dovremmo essere capaci di sottrarci a questa sorta di imposizione che la campagna elettorale ha accentuato, ed allargare il tema inserendolo in un contesto più largo, quello del ruolo dell’Italia in Africa. Certo i flussi migratori richiedono gestione immediata, ma è altrettanto importante che si decida quale vuole essere il ruolo che vogliamo svolgere in questo grande continente, ricco di problemi ma forse l’unico dove le potenzialità sono altrettanto ricche.
Dobbiamo chiarire le “nostre” intenzioni, è se parliamo di nostre, è difficile pensare a chi fa parte di questo “noi”. Nonostante, ad esempio, la equilibrata conduzione del presidente Cicchitto della Commissione esteri, che ha sempre registrato un clima sereno durante i lavori negli ultimi cinque anni, quando abbiamo parlato di missioni internazionali, o di altre iniziative del governo in politica estera, il noi era limitato alla maggioranza. Questo è un primo problema perché ci vuole un mandato chiaro per una chiara, incisiva politica estera. Un secondo problema: credo di poter dire che un ruolo, nel significato pieno del temine, in Africa non sia stato proprio esercitato, quantomeno con continuità. Ci sono stati alla Farnesina, degli “appassionati di Africa (anche qui presenti) ma la discontinuità ha segnato le nostre politiche nel continente africano.
Eppure l’Italia, rispetto a tanti Paesi europei, aveva ed ha delle ragioni per esercitare pienamente questo ruolo: la posizione geografica, certamente, i legami storici, mantenutisi quasi sempre buoni derivanti dal passato coloniale, la presenza di lunga data e robusta consistenza dell’Eni e quella più recente ma crescente dell’Enel, le tante piccole e medie presenza imprenditoriali, i missionari del presente e del passato e le ong del presente.
Forse solo negli anni ’70 abbiamo incominciato a considerare l’Africa nel suo insieme, anche grazie al lavoro per l’approvazione della prima legge sulla cooperazione che stabiliva che la cooperazione era parte integrante delle politica estera. E stabilimmo accordi di cooperazione che riguardavano, ad esempio, anche tutti o quasi i Paesi dell’Africa australe, andando oltre l’approccio che ci fa ancor oggi considerare l’Africa come una sorta di appendice del Mediterraneo, ma non ci fu azione continuativa.
Non volendo fare la storia della nostra presenza in Africa, aggiungo che solo in questa legislatura si è ripreso a parlare di Africa e abbiamo visto il moltiplicarsi delle missioni, ma dobbiamo recuperare molto in termini di risorse e del loro utilizzo e anche di rete diplomatica e dobbiamo recuperare, se vogliamo parlare di gestione dei flussi migratori, capacità di convincimento nei confronti della Unione europea per politiche migratorie condivise.
Su quest’ultimo tema, credo dobbiamo trarre forza e autorevolezza dai nostri seri comportamenti e dalla nostra generosità di questi ultimi anni. E dalla nostra esperienza, che è secolare. Non parliamo di cifre, le conosciamo tutti; voglio solo ricordare che abbiamo da sempre dovuto fare i conti con gli arrivi dal mare.
L’Italia è divenuta, soprattutto assieme alla Grecia, il punto di transito principale di flussi di migranti generalmente diretti verso il nord Europa aprendo una crisi nella crisi, ovvero trasformando il dramma umano dei singoli migranti in un problema più generale di grande rilievo politico che sta mettendo a dura prova la stessa costruzione dell’Unione Europea.
Le migrazioni e il come gestirle ha diviso l’Europa, ne ha evidenziato la debolezza.
Il problema della gestione dei flussi e dell’accoglimento dei migranti che dovrebbe essere collettivo, spesso si scarica quasi integralmente, come ben sappiamo, sul Paese di primo approdo eppure, ciononostante, il tema è divenuto dirompente nelle opinioni pubbliche di quasi tutti gli Stati dell’Unione, anche di quelli dove le presenze di migranti sono davvero irrisorie, con pesanti riflessi sulle consultazioni elettorali. E’ sotto gli occhi di tutti la drammatizzazione strumentale del tema di questi giorni.
Dunque, questa premessa serve per ricordare che tutto il fenomeno migratorio è affare collettivo, a cominciare dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e contemporaneamente di quelli di tutta l’Unione mentre richiede di essere affrontato comunque anche a livello globale non solo perché non esiste solo nel bacino del Mediterraneo, ma anche perché necessita di strategie globali per essere affrontato in maniera efficace.
Un primo passo per gestire la pressione immigratoria dall’Africa passa inevitabilmente attraverso la collaborazione fra i diretti interessati, europei e africani, cioè nell’unico modo possibile, assicurandoci la collaborazione di chi controlla il territori: Niger, Ciad, le municipalità libiche i porti e la guardia costiera libica.
Certamente la soluzione nel lungo periodo sta nello sviluppo dell’Africa; ma la gestione di oggi sta nella collaborazione con i Paesi di origine e di transito e nel sostegno alle capacità libiche.
E non è proprio il caso di immaginare che non ci saranno più arrivi. Questo dobbiamo dirlo con chiarezza e dare attuazione al piano nazionale di integrazione dei titolari di protezione internazionale che il Ministero dell’interno (il Dipartimento delle libertà civili e l’Immigrazione) ha presentato il settembre scorso. Certo non risolve tutti i problemi ma una prima via di uscita dall’approccio emergenziale.
E’ evidente che questa è la via ma, purtroppo, e mi riferisco in particolare ad alcune forze politiche in Italia e in altri Paesi europei, c’è la tendenza a ridurre il problema a un fatto di ordine pubblico e di sicurezza delle frontiere, pensando così di cavalcare e sfruttare le paure, spesso indotte, dell’opinione pubblica. Ma i problemi non si risolvono in questo modo, anche se di questo fattore, la paura, più o meno fomentata, bisogna tener conto.
Un altro momento significativo per superare l’approccio emergenziale è stato il vertice UA-UE ha riunito leader dell’UE e africani allo scopo di definire la futura direzione della cooperazione tra i due continenti che si è concluso una dichiarazione congiunta che illustra le priorità comuni del partenariato UE-Africa in quattro settori strategici:
Una visione di respiro che supera l’emergenza senza trascurarla. Per questo è stata varata ad esempio una task force congiunta che andrà a cercare e aiutare quei profughi sul suolo libico che vogliono essere rimpatriati.
Questa task force potrebbe essere impiegata anche sul terreno per combattere i trafficanti di esseri umani e per smantellare i campi illegali anche se non ci sono dichiarazioni ufficiali in questo senso.
Comunque l’idea che si possa risolvere il problema solo dal punto di vista militare, che pure è un passaggio cruciale, è un inganno di corto respiro che tutt’al più può ridurre o fermare i flussi dei migranti nel breve periodo, ma che rischia di allontanare una soluzione strutturale.
Inoltre credo che qualunque iniziativa sul piano economico, politico e militare per governare i flussi migratori vada quantomeno accompagnata da efficaci iniziative sul piano della comunicazione perché i cittadini europei devono essere informati della reale entità del fenomeno, sulle sue cause e sui possibili rimedi altrimenti qualunque governo si troverà prima o poi con le mani legate, incapace di agire nel modo più efficace e corretto, su tutti i piani compreso, o meglio, a partire da quello etico. Il rispetto dei diritti umani non è un optional.
Non si può pensare insomma di agire solo sul piano emergenziale senza una strategia comunicativa, senza indicare con chiarezza limiti e possibilità di assorbimento da parte dei Paesi europei, senza avvertire delle tensioni che si creano nelle opinioni pubbliche e delle conseguenze che queste possono avere sulla vita degli stessi migranti.
È interesse dell’Italia, come credo di tutta l’Europa, gestire nel modo migliore il flusso dei migranti.
Non dobbiamo però neppure nasconderci il problema dell’uso delle risorse che viene fatto e che in passato ha dato spesso motivo per critiche giustificate sulla qualità della gestione pubblica nei Paesi dell’Africa beneficiari dei fondi della cooperazione come ha fondamento il timore che ha volte gli aiuti vengano utilizzati per sostenere o consolidare regimi antipopolari.
L’Italia per storia e cultura ha in questi anni dato più di una prova di avere piena coscienza delle dimensioni del problema, sia agendo sul piano umanitario e dei soccorsi, sia adoperandosi per trasferire risorse nei Paesi in via di sviluppo, sia agendo a livello europeo per aprire occhi e sturare orecchie.
Il nuovo piano per gli investimenti esterni dell’UE uscito dal vertice di Abidjan punta a mobilitare 44 miliardi di euro entro il 2020, creando in tal modo nuove opportunità di lavoro per i e le giovani in tutto il continente africano.
L’Italia è attualmente con 92 milioni il primo contributore del già esistente Trust Fund Africa che ha una dotazione di 2,9 mld.
Certamente si poteva fare di più e, io spero, che il prossimo Governo faccia di più.