13 dicembre 2013 Informativa urgente del Governo sul tragico incendio verificatosi in una fabbrica di Prato, che ha causato la morte di sette lavoratori di nazionalità cinese
Signor Presidente, sette nuove vittime del lavoro, vittime cinesi del lavoro in Italia. Sono i nuovi proletari che ricordano, per condizioni di lavoro, i nostri migranti in Svizzera, ma forse anche i primissimi meridionali che andavano o che venivano al nord. Andiamo indietro agli anni Cinquanta e forse, addirittura, alla fine dell’Ottocento, ai tempi dei «padroni dalle braghe bianche». Invece, siamo nel 2013. Quando ci occupiamo dei cinesi in Italia, lo facciamo per dire che occupano le nostre strade con i loro negozi, che fanno concorrenza sleale, che comprano tutto, che pare non muoiano mai.
Quante volte ci siamo sentiti dire «Mai visto un funerale cinese !», dando per scontato che si passino i documenti l’un con l’altro, tanto si somigliano tutti. Forse è vero, forse non tutto, ma c’è tanta verità in questo.
Il problema è che solo di fronte ad una tragedia come quella di Prato ci rendiamo conto che tanti di loro, la maggior parte di loro, vivono in condizioni di sfruttamento e vivono in condizioni di vita subumane. Ma non è difficile capire la dimensione del lavoro nero di questa realtà e dello sfruttamento. Diceva ieri la Vicepresidente del Senato che basterebbe guardare i consumi elettrici per rendersi conto di cosa succeda in quei capannoni, che sono, sì certo, luoghi di lavoro, ma anche cucine, dormitori ed ora anche tombe.
Ma erano condizioni conosciute. Io ricordo un servizio del programma Report, di sei anni fa, intitolato «Schiavi del lusso», dove si parlava delle aziende di Prato. Non è successo niente di veramente efficace, se no non sarebbe accaduta la tragedia. Il problema è trovare le soluzioni, ed è veramente difficile, ma in aggiunta alle difficoltà oggettive, a partire dalla impermeabilità della comunità cinese, dobbiamo riconoscere che abbiamo abbassato la guardia. La crisi e la disoccupazione fanno digerire tante cose ai lavoratori e alle lavoratrici italiane, figuriamoci a quelli cinesi.
Ma siamo nel 2013, a quasi cinquant’anni di distanza dallo Statuto dei lavoratori che noi Socialisti abbiamo voluto fortemente, che noi abbiamo scritto, perché Brodolini era uno di noi, e a qualche cosa saranno ben servite queste lotte sindacali. Ma il sindacato non basta, stretto tra lavoro italiano e lavoro cinese. Serve la collaborazione tra sindacato – concludo – enti locali, Forze dell’ordine, ma anche di associazioni imprenditoriali e aziende che non devono comprare questo lavoro sotto costo, e anche la collaborazione con gli imprenditori e comunità cinesi stesse. Forse lavorando insieme si può arrivare ad un livello di dignità di vita e di lavoro per tutti. L’ILO parla da anni di «decent work», cioè lavoro degno per tutti, cinesi compresi. Proviamo, lavorando tutti quanti insieme, a tentare di far valere questo diritto fondamentale, per tutti, cinesi compresi.