26 maggio 2014 Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi
Discussione sulle linee generali
Signor Presidente, come è già stato detto, abbiamo celebrato da pochi giorni i quarant’anni della legge sul divorzio, una legge promossa dal socialista Fortuna e dal liberale Baslini, una legge sofferta, osteggiata a lungo dall’allora DC, ma non dall’elettorato cattolico che, infatti, bocciò il referendum abrogativo del 1974, dimostrando che il Paese reale, come del resto abbiamo già visto ieri, abbiamo ancora una volta visto ieri, è spesso diverso, più avanti di quanto la politica immagini.
La legge di quarant’anni fa, quasi identica a quella di oggi, se non per la riduzione dei tempi per il divorzio, prevede due fasi prima di arrivare allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio ed una procedura lunga e complessa. Una procedura che comporta due giudizi, due sentenze, due difensori da pagare e, per i casi in cui la separazione sia consensuale, una media di almeno cinque anni di attesa. Considerato che, in genere, difficilmente si registra il consenso da parte di ambedue gli ex coniugi, per la sentenza occorrono, a volte, anche dieci o dodici anni. Obiettivamente la legge in vigore appare disconnessa e lontana dalle esigenze delle coppie che decidono di non continuare un percorso di vita insieme e vogliono garantirsi la possibilità di ricostruire nuovi percorsi affettivi. Il Parlamento non può che prenderne atto e trovare nuove soluzioni sul piano legislativo. Quello che, allora, fu voluto dal legislatore, il doppio percorso e i tempi lunghi come deterrente allo scioglimento del vincolo, oggi, appare un anacronistico ostacolo anche alla formalizzazione delle scelte di vita che nel frattempo sono maturate.
Il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, ha definito utile e necessario questo doppio iter procedurale, sostiene che serve a far decantare l’emotività e le situazioni di conflitto, ma questa sua affermazione è smentita dai numeri, visto che solo il 2 per cento delle coppie che si separa poi si riconcilia e torna a vivere insieme. Chi si rivolge al tribunale ha già maturato una scelta con convinzione, quindi, non possiamo che prenderne atto. È un esame di realtà che ci impone di cambiare questa legge, riducendone i termini e non è, – come qualcuno ha sostenuto, e mi rivolgo alla collega Roccella che non è in Aula, a lei ed altri – la banalizzazione del matrimonio: è un esame di realtà e una battaglia di civiltà giuridica e sociale insieme.
Ho accennato prima alla bassa percentuale, cioè il 2 per cento delle coppie che si riconcilia dopo aver avviato un percorso di separazione; gli ultimi dati ISTAT relativi al 2012, anche questo è già stato detto, ci dicono che, a fronte di circa 88 mila separazioni, i divorzi assommano a 54 mila, numeri in costante crescita che contribuiscono ad appesantire i tempi ed i costi della giustizia, proprio in ragione di iter procedurali troppo lunghi. È una preoccupazione che abbiamo e che ci risulta abbia anche il Ministro della giustizia; una giustizia, per essere giusta, deve prevedere anche tempi giusti e, per questa ragione, abbiamo presentato, prima in Commissione e lo ripresenteremo in Aula, un emendamento che prevede che, nel caso in cui non vi siano figli minori, i coniugi possano domandare congiuntamente lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se non sia stata proposta domanda di separazione. Proponiamo nel nostro Paese quello che è già una realtà in altri Paesi europei ed extraeuropei.
Qual è l’obiettivo complessivo che ci proponiamo ? È quello di snellire le procedure burocratiche, incentivare le separazioni consensuali e ridurre i litigi in tribunale, garantendo in questo modo anche il benessere dei figli. In Italia abbiamo, quindi, un problema di tempi, di costi e di ingolfamento degli uffici giudiziari. Dei tempi abbiamo già detto, quanto ai costi in Italia sono assai più gravosi di quelli sostenuti in quasi tutti gli altri Paesi europei tanto che, da qualche anno, si è andato affermando il turismo da divorzio. Alle coppie che oltrepassano il confine per sfilarsi la fede dal dito basta affittare un appartamento per avere una residenza temporanea, ad esempio in Olanda, Belgio, Gran Bretagna e Germania, ed ottenere così il divorzio in pochi mesi o come in Romania, Spagna, Bulgaria dove a volte sono sufficienti anche 48 ore. Una volta divorziato in quei Paesi, allo Stato italiano non resta che prenderne atto perché la fine del matrimonio, così ottenuta, sarà legale anche in Italia in base al regolamento della Commissione europea (CE) n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
Nella sostanza, una sentenza esecutiva in un Paese dell’Unione europea lo diventa automaticamente in Italia, il tutto ad un costo medio, là, di circa 3 mila euro. Ecco, sta accadendo quello che è avvenuto ed ancora avviene con la legge n. 40 del 2004 sulla fecondazione assistita: si sta creando una nuova forma di turismo per aggirare una legge italiana. A queste nostre preoccupazioni si aggiungono quelle certamente più pesanti del Ministro della giustizia, che, in Commissione giustizia del Senato, ha parlato di quattro emergenze da affrontare subito: l’arretrato civile, il sovraffollamento carcerario, la mancanza di personale e la lotta alla criminalità organizzata. Per quanto riguarda l’arretrato civile, abbiamo ben presente che ci sono oltre 5 milioni di processi pendenti. A quanto abbiamo letto, le intenzioni del Ministro per le cause pendenti che ingolfano i tribunali prevedono procedure alternative o che esse siano trasferite in una sede arbitrale; rientrano tra queste le separazioni e i divorzi, e noi ce lo auguriamo. La previsione è che l’accordo dei coniugi, assistiti dagli avvocati, superi la necessità dell’intervento giurisdizionale, tranne nei casi di presenza di figli minori o portatori di gravi handicap. A noi sembra una giusta direzione e ci auguriamo che il Ministro assuma al più presto un’iniziativa in questa direzione: al più presto per il lavoro del Ministro della giustizia, al più presto per il lavoro del Parlamento. Da molti anni (siamo alla terza legislatura) la legge sulla riduzione dei tempi per il divorzio vaga senza esito in Parlamento, ma ora sembra che sia la volta buona. Ci auguriamo, pertanto, che il provvedimento che ci accingiamo ad approvare alla Camera non venga affossato al Senato, così come è accaduto per la legge contro l’omofobia, e che faccia da ariete per riportare all’attenzione del dibattito parlamentare i temi dei diritti civili ed eticamente sensibili, che da troppo tempo attendono risposte.