22 aprile 2015 Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi
Finalmente ci siamo: dopo molti anni – siamo alla terza legislatura – che la legge sulla riduzione dei tempi per il divorzio vaga senza esito in Parlamento, ora sembra che sia la volta buona. Oggi, dopo le modifiche apportate dal Senato, sulle quali i socialisti hanno sollevato critiche, andiamo a modificare una legge di quarantacinque anni fa, promossa dal socialista Loris Fortuna e dal liberale Antonio Baslini e approvata nel dicembre del 1970, quarantacinque anni fa. Una legge sofferta, osteggiata a lungo dall’allora DC ma non dall’elettorato cattolico, che infatti bocciò il referendum abrogativo del 1974, dimostrando che il Paese reale è spesso diverso, più avanti di quanto la politica immagini. Le legge in vigore, quasi identica a quella di allora se non per gli anni di attesa tra separazione e divorzio, inizialmente cinque poi ridotti a tre, prevede due fasi, prima di arrivare allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nella prima, quella della separazione, la coppia deve rivolgersi al tribunale e, trascorsi tre anni dalla sentenza di separazione, deve essere promosso un secondo giudizio per il divorzio. Solo quando la sentenza di divorzio è passata in giudicato – alle volte avviene dopo molti anni – il matrimonio è sciolto. Questa complessa procedura comporta due giudizi, due sentenze, due difensori più due da pagare (due per ciascun coniuge) e, per i casi in cui la separazione sia consensuale, una media di almeno cinque anni di attesa. Considerato che in genere difficilmente si registra il consenso da parte di ambedue gli ex coniugi, per la sentenza occorrono a volte anche 10-12 anni. Obiettivamente, la legge in vigore appare disconnessa, lontana dalle esigenze delle coppie che decidono di non continuare un percorso di vita insieme e vogliono garantirsi la possibilità di costruire nuovi percorsi affettivi. Il Parlamento non può che prenderne atto e trovare nuove soluzioni sul piano legislativo. Il doppio percorso e i tempi lunghi voluti nel 1970 dal legislatore come deterrente allo scioglimento del vincolo oggi appaiono un anacronistico ostacolo alla formalizzazione delle scelte di vita che nel frattempo sono maturate, e per questo i socialisti al Senato si sono opposti con fermezza allo stralcio dell’emendamento che avrebbe consentito, in assenza di figlie e figli minori o non indipendenti, la dissoluzione rapida del matrimonio. Si è voluto, invece, come spesso accade nel nostro Paese, ascoltare chi si oppone ai cambiamenti, a partire dalla Chiesa. Ci si è appellati alla dissoluzione delle famiglie dimostrando di essere ancora una volta distanti dalla vita reale del Paese e si è ascoltato il presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, che ha definito utile e necessario questo doppio iter procedurale sostenendo che serve a far decantare l’emotività e le situazioni di conflitto. Io non sono un’anticlericale, sono una laica attenta ai fatti per quelli che sono. Voglio dire al cardinale che la sua è un’affermazione ideologica smentita dai numeri, visto che solo il 2 per cento delle coppie che si separa poi si riconcilia e torna a vivere insieme. Chi si rivolge ad un tribunale ha già maturato una scelta con convinzione, quindi non possiamo che prenderne atto. Gli ultimi dati dell’Istituto nazionale di statistica, relativi al 2011, ci dicono che, a fronte di 88.191 separazioni, i divorzi assommano a 54.160: numeri in costante crescita che contribuiscono ad appesantire i tempi della giustizia proprio in ragione di iter procedurali troppo lunghi.
La cancellazione della separazione, del passaggio della separazione, aveva, avrebbe, ha l’obiettivo di snellire le procedure burocratiche, ridurre l’ingolfamento degli uffici giudiziari e incentivare le separazioni consensuali e ridurre i litigi in tribunale garantendo anche il benessere dei figli e delle figlie, e si proponeva nel nostro Paese quello che è già una realtà in altri Paesi europei ed extraeuropei.
Evidenziate queste criticità il gruppo socialista però non può che valutare favorevolmente il provvedimento, in particolare la riduzione dei tempi di attesa da 12 a 6 mesi in caso di separazione consensuale, d’altronde l’avevamo presentato noi questo emendamento nel primo passaggio in Commissione proprio qui in questa Camera: era quello il nostro testo, ma il Senato ne ha prolungato l’iter. Certo, si poteva fare di meglio, si poteva fare di più, ma come ho detto altre volte, il meglio spesso è nemico del bene, pertanto il gruppo socialista ha rinunciato a presentare emendamenti per evitare un ulteriore passaggio in Senato che avrebbe allungato i tempi, e quindi il gruppo socialista voterà questo provvedimento augurandosi che faccia da apri pista per le altre leggi sui diritti civili, dalla legge sulle coppie di fatto – omo ed etero – a quella per il fine vita sulle quali siamo ancora in spaventoso ritardo.