PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
MARCON, BOCCIA, CARIELLO, PALESE, DELLAI, GIANCARLO GIORGETTI, TANCREDI, SERENI, LIBRANDI, PANNARALE, FASSINA, AIRAUDO, REALACCI, DE MITA, ZACCAGNINI, DAGA, PELLEGRINO, SALTAMARTINI, ZARATTI, ALBINI, AMODDIO, ANTEZZA, ARLOTTI, CARLONI, CARRA, CASTRICONE, CENNI, CIRACÌ, COSTANTINO, D’OTTAVIO, FAUTTILLI, FITZGERALD NISSOLI, GINOBLE, GRECO, GRIBAUDO, KRONBICHLER, LAFORGIA, LOCATELLI, LODOLINI, MAESTRI, MAZZOLI, MIOTTO, OCCHIUTO, PAGLIA, PASTORELLI, RIBAUDO, ROMANINI, SBERNA, TERROSI, ZANIN, QUARTAPELLE PROCOPIO, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, BENI, PINNA
Disposizioni per l’utilizzazione degli indicatori di benessere nelle politiche pubbliche
Presentata il 19 febbraio 2015
Onorevoli Colleghi! Obiettivo della presente proposta di legge è di introdurre gli indicatori di benessere, di sostenibilità ambientale, di qualità sociale e di parità tra i sessi quali strumenti previsti dalla normativa nazionale nell’elaborazione, nell’adozione e nella valutazione delle politiche pubbliche, affinché esse possano essere efficaci nel migliorare le condizioni di benessere per il Paese nel suo complesso.
Ormai da oltre cinquant’anni il tema dell’utilizzo degli indicatori di benessere è oggetto di dibattito e di sperimentazione nelle politiche pubbliche. Da tempo decisori politici, economisti e ricercatori sono consapevoli del fatto che il prodotto interno lordo (PIL) e gli altri indicatori di natura macroeconomica non sono più sufficienti a misurare il grado di benessere di una comunità e a orientare, perciò, le politiche pubbliche verso la realizzazione di questo obiettivo.
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, crescita economica e intervento pubblico nell’economia hanno garantito un forte miglioramento del benessere economico e più in generale delle condizioni di vita in tutti i Paesi a capitalismo avanzato. Questa concomitanza di eventi ha ingenerato la falsa credenza che la crescita economica (e quindi la crescita del PIL) fosse condizione necessaria e sufficiente al miglioramento della qualità sociale e delle condizioni di vita della popolazione, rendendo di fatto il PIL l’indicatore guida di gran parte delle politiche pubbliche. Ma gli stessi inventori del PIL, tra cui l’economista bielorusso emigrato negli Stati Uniti Simon Kuznets, negli anni trenta ammonirono a non considerare la nuova creatura come un indicatore di benessere. Calcolare il reddito nazionale non equivale a misurare il benessere di una nazione. Anche le critiche al PIL – e la nuova ricerca di nuovi indicatori o sistemi di indicatori – sono ormai da decenni oggetto di dibattiti e convegni pubblici, promossi non solo da organizzazioni della società civile e dal mondo universitario, ma anche dalle istituzioni pubbliche, e ne ha condiviso i risultati a livello mediterraneo con il progetto sostenuto dalla UE, Wealth (Promoting Local Sustainable Economic Development).
La necessità di misurare lo sviluppo in maniera multidimensionale condusse già nel 1990 alla creazione da parte dell’UNDP (il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) dell’Indice di sviluppo umano (HDI – Human Development Index) che misura e confronta il grado di sviluppo di 186 Stati del pianeta sulla base di pochi indicatori significativi (aspettativa di vita, accesso all’istruzione, reddito). Più di recente, la Commissione europea promosse nel 2007 un convegno pubblico dal significativo titolo «Oltre il PIL» (Beyond GDP), da cui prese avvio un lavoro di ricerca e di proposta che ancora continua (una nuova edizione della conferenza si è tenuta a Bruxelles nell’ottobre 2014 nell’ambito delle attività del semestre di Presidenza italiano) e l’OCSE da tempo ha avviato un percorso volto al superamento del PIL come unico indicatore di misurazione del benessere, che ha portato nel 2011 alla creazione del Better Life Index. Anche nel documento finale della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, svoltasi a Rio de Janeiro nel 2012 (Rio 20) intitolato «The future we want» è richiamata al paragrafo 38 la necessità di un complesso ampio di indicatori di progresso a complemento del PIL per meglio informare le politiche pubbliche. L’insufficienza del PIL è quindi ormai un dato acquisito nel mondo dei decisori politici, degli economisti, dei ricercatori e della società civile.
Società civile (associazioni, movimenti, campagne e mondo universitario) che negli ultimi trent’anni ha proposto e creato indicatori alternativi (o integrativi) rispetto al PIL, per evidenziare proprio la necessità di catturare il carattere multidimensionale del benessere, la qualità sociale, la sostenibilità ambientale, la parità tra i sessi. Esistono numerose rassegne delle proposte sviluppate in questi, anni tra le quali segnaliamo il sito internet www.beyondgdy.eu promosso dal Parlamento europeo o il sito www.misuredelbenessere.it promosso in Italia dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) e dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Per limitarci a quelli più conosciuti vale la pena citare a livello internazionale l’Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW), il Canadian Index of Well-being o l’Happy Planet Index. In Italia hanno avuto rilevanza il PIQ (prodotto interno di qualità) promosso dalla Fondazione Symbola l’indice di qualità della vita del Sole-24 ore o il QUARS (qualità regionale dello sviluppo) promosso dalla campagna Sbilanciamoci (che raccoglie oltre cinquanta organizzazioni della società civile). Proprio dalla campagna Sbilanciamoci partì nel 2010 un’iniziativa dal titolo «Benessere e sostenibilità» (che raccoglieva decine di associazioni, università e ricercatori e accademici) che riassumeva gli auspici e le richieste nella direzione dell’introduzione di indicatori di benessere nelle politiche pubbliche.
Punto fondamentale della riflessione – ancora attuale – è proprio questo: gli indicatori di benessere non sono semplicemente un’esigenza tecnica e scientifica (misurare meglio il benessere e avere così un quadro più chiaro delle condizioni materiali e sociali della popolazione di una comunità). Gli indicatori di benessere hanno un senso se sono uno strumento teorico e operativo per le politiche pubbliche, se servono ad orientarle alle finalità del benessere di una società.
Dalla società civile, l’interesse e la sperimentazione degli indicatori di benessere si sono diffusi anche tra le istituzioni pubbliche di Stati esteri (come l’Australia, la Gran Bretagna e la Germania) e in Italia tra molti enti locali, come nel caso delle regioni Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, della provincia autonoma di Trento, delle province di Roma e di Ascoli Piceno, dei comuni di Arezzo e di Forlì. In Europa, è da ricordare l’importanza della commissione istituita dal Governo francese, presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz, con la partecipazione di Amartya Sen, Jean Paul Fitoussi, Enrico Giovannini, che nel 2009 diffuse un documento in cui suggeriva di integrare il PIL con la misurazione del benessere, della sostenibilità ambientale e della distribuzione del reddito.
In Italia una significativa esperienza è quella degli indicatori, per il solo Mezzogiorno, degli obiettivi di servizio. Si tratta di undici indicatori, individuati attraverso un processo decisionale condiviso, scelti per incentivare le amministrazioni regionali a migliorare i servizi essenziali in quattro ambiti strategici per le politiche di sviluppo regionale: istruzione, servizi di cura per l’infanzia e gli anziani, gestione dei rifiuti urbani e servizio idrico integrato. È interessante mettere in luce come i criteri stabiliti per la scelta degli indicatori nel quadro delle prestazioni degli obiettivi di servizio siano: misurabilità (cioè gli indicatori devono fornire informazioni statistiche adeguate, affidabili e tempestive), responsabilità (ad esempio, deve essere possibile identificare chiaramente l’organo responsabile dell’attuazione della politica, a diversi livelli di governo), comprensione del pubblico e condivisione (i cittadini devono essere in grado di comprendere la rilevanza degli obiettivi e, quindi, contribuire alla loro realizzazione). Tale processo partecipativo è essenziale per aumentare la responsabilità degli attori direttamente o indirettamente responsabili della fornitura di servizi (e quindi del raggiungimento degli obiettivi).
Sempre a livello nazionale, nel dicembre del 2010 si è aperto un importante processo di collaborazione interistituzionale tra l’ISTAT e il CNEL (anche con l’apporto di università, enti locali, organizzazioni della società civile, parti sociali, eccetera) che ha portato al varo del BES (Benessere equo e sostenibile): un complesso di indicatori composto da dodici dimensioni del benessere (salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi) che non danno vita ad un indicatore sintetico, ma rappresentano in ogni caso la condizione del Paese in modo dettagliato e organico. Il BES – il cui primo rapporto, dopo un lavoro di due anni, è stato pubblicato nel 2013 e il cui lavoro si può rilevare nel sito internet www.misuredelbenessere.it – può essere considerato lo strumento più prezioso che i decisori politici hanno nel nostro Paese per orientare le politiche pubbliche nel segno del benessere. Il CNEL e l’ISTAT hanno dato vita al «BES delle province» per la costruzione di indicatori territoriali per la governance di area vasta e il progetto «UrBES», promosso dalla rete delle città metropolitane dell’Associazione nazionale dei comuni italiani insieme con l’ISTAT, propone un sistema di indicatori del benessere per le città metropolitane e per alcuni comuni capoluogo. Attualmente il BES viene citato in un breve riquadro nell’ambito della sezione del Documento di economia e finanza (DEF) dedicata al Programma nazionale di riforma (PNR). Si tratta di poco più di una lunga citazione, che però non lega i risultati e le indicazioni del BES alle politiche necessarie da realizzare, né tanto meno alle misure concrete di riforma che pure, su altri versanti, sono contenute nel DEF.
Invece, l’utilizzo degli indicatori del BES può essere fondamentale per fare un’efficace programmazione economica e un buon uso della spesa pubblica. La prassi adottata in Italia per la programmazione economica tende a privilegiare l’uso di indicatori che forniscono una rappresentazione del Paese essenzialmente economica, trascurando indicatori e misure che riguardino anche aspetti di natura sociale e ambientale più legati alla qualità della vita, al contesto socio-economico di riferimento e alle opportunità offerte all’individuo. In Europa sono moltissimi gli esempi di impostazione dell’attività di governo che partono da un’osservazione più attenta e complessa dei fenomeni. Tra gli esempi più significativi si trovano gli apparati di indicatori inclusi nei Piani nazionali d’azione (NAP) dell’Unione europea, oppure il DEF francese (Rapport sur l’évolution de l’économie nationale et sur les orientations des finances publiques) che definisce, per ogni area d’intervento dello Stato, missioni, programmi e obiettivi, e per ognuno di questi uno o più indicatori per monitorare il fenomeno. Questa maggiore completezza di informazione, a volte, si riflette in una considerevole mole di indicatori specifici.
Anche l’Italia da alcuni anni ha intrapreso un percorso che va in questa direzione nell’ambito del processo di riforma della contabilità pubblica il cui ultimo atto è rappresentato dalla legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica). Il bilancio dello Stato da alcuni anni già si articola secondo missioni e programmi di spesa che individuano le finalità cui sono destinate le risorse pubbliche; alle missioni e ai programmi di spesa, nell’ambito delle note preliminari che accompagnano il bilancio dello Stato, sono associati obiettivi da raggiungere e uno o più indicatori finalizzati a verificare il conseguimento degli obiettivi. La legge n. 196 del 2009 tende a rafforzare questo sistema, anche nell’ottica di estenderlo in modo armonizzato a tutte le amministrazioni pubbliche. Occorre assicurarsi che la nuova norma venga attuata pienamente e che si superino le criticità riscontrate nelle prassi applicative correnti, in modo che il sistema di obiettivi e indicatori associati ai programmi di spesa costituisca un efficace strumento di accompagnamento del bilancio utile alla programmazione e alla verifica dell’impiego delle risorse pubbliche.
È importante che i documenti di programmazione economica e di bilancio, così come riformati dalla recente legge n. 196 del 2009 (la Relazione sull’economia e la finanza pubblica, la Decisione di finanza pubblica, la legge di stabilità eccetera), si basino sulla considerazione di un più completo apparato di informazioni e indicatori, rappresentativi di tutti gli aspetti del benessere, per la formulazione delle politiche, per indirizzare gli interventi economico-finanziari e per determinare obiettivi di breve, medio e lungo termine.
È inoltre importante che venga data piena attuazione alla legge n. 196 del 2009 in materia di indicatori per la verifica dei programmi di spesa del bilancio dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche. Occorre compiere tutti i passi necessari affinché gli indicatori siano effettivamente rappresentativi, in modo trasparente, del raggiungimento delle finalità ultime delle politiche e vengano utilizzati correntemente nel dibattito pubblico. A tal fine è opportuno anche prevedere un sottoinsieme di indicatori meno vasto, ma egualmente rappresentativo e trasparente, in modo da facilitare la comunicazione e il confronto.
Infine si vuole ricordare ancora una volta l’importanza della pubblicizzazione e della conoscenza degli indicatori di benessere tra l’opinione pubblica e del coinvolgimento partecipato dei cittadini nell’elaborazione e individuazione degli indicatori che più appropriatamente rispondono all’idea e alle caratteristiche di benessere della nostra società.
Questo progetto di legge prevede sei articoli.
Nel primo articolo si prevede l’uso di indicatori di benessere, di sostenibilità ambientale, di qualità sociale e di parità tra i sessi non solo per misurare la situazione sociale, ambientale ed economica del Paese, ma per orientare le politiche pubbliche al perseguimento delle condizioni di benessere della comunità.
Nel secondo articolo si prevede che gli indicatori che compongono il BES (Benessere equo e sostenibile) vengano utilizzati nella produzione legislativa, a partire dalla legge di bilancio, e in tutti i documenti di programmazione economica (a partire dal DEF) e di organizzazione di spesa nei ministeri (missioni eccetera).
Nel terzo articolo si prevede in modo specifico che all’atto della presentazione dei progetti di legge, le relazioni tecniche utilizzino ex ante gli indicatori di benessere e poi – una volta approvati – che essi vengano usati in itinere ed ex post per misurare l’efficacia delle misure adottate e attuate al di là degli aspetti finanziari.
Nel quarto articolo si prevede l’introduzione della contabilità ambientale (oggetto di una legge di delega nella XV legislatura e mai arrivata a conclusione) con lo scopo di misurare l’impatto ambientale dei provvedimenti emanati: la conservazione del territorio, il consumo delle risorse naturali, la sostenibilità ambientale delle misure economiche.
Nel quinto articolo si prevede l’introduzione del gender auditing o del bilancio di genere, come forma di valutazione (e di orientamento delle politiche pubbliche) delle misure economiche e di spesa pubblica sulla condizione delle donne e sulle pari opportunità tra uomini e donne.
Nel sesto articolo si fa riferimento al programma europeo «Europa 2020», dei cui risultati (relativamente al raggiungimento da parte del nostro Paese degli obiettivi stabiliti nell’ambito dell’Unione europea) si dà conto ogni anno nel PNR incluso nel DEF. Si prevede in questo articolo di rendere più stringente il quadro del raggiungimento degli obiettivi, anche grazie ad appositi stanziamenti di spesa pubblica legati a quegli obiettivi.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Uso degli indicatori nelle politiche pubbliche).
Art. 2.
(Uso della misurazione del BES nella produzione legislativa).
all’articolo 1, comma 1, è utilizzata sistematicamente per la predisposizione del Programma nazionale di riforma (PNR). In particolare, con le modalità adottate per la strategia «Europa 2020» e per gli indicatori di squilibrio macroeconomico, gli indicatori del BES sono esaminati specificamente nel PNR, analizzati secondo i livelli, le tendenze temporali e gli aspetti distributivi. Nell’ambito del Documento di economia e finanza (DEF), il Governo enunzia gli obiettivi proposti per il periodo considerato in relazione ai medesimi indicatori.
Art. 3.
(Uso degli indicatori nei progetti di legge).
e programmi di spesa sono sottoposti a un sistema di analisi e valutazione in itinere ed ex post attraverso indicatori già esistenti che prendono in esame sia le conseguenze finanziarie (indicatori di input), sia gli effetti direttamente prodotti dalla spesa (output) e l’impatto sui fenomeni socio-economici sui quali si intende intervenire (outcome) nonché su quelli interessati collateralmente.
Art. 4.
(Contabilità ambientale).
Art. 5.
(Bilancio di genere).
Art. 6.
(Strategia «Europa 2020»).
da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia.