PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa del deputato CAPUA, LOCATELLI e ALTRI
Disposizioni per la valorizzazione della ricerca indipendente
Presentata il 16 gennaio 2014
Onorevoli Colleghi! La situazione economica degli ultimi anni e le riforme più recenti che hanno interessato il sistema dell’università e della ricerca hanno creato situazioni molto difficili per i ricercatori italiani e per la loro capacità di competere nel mercato globale della ricerca.
Oggi una grande parte della ricerca svolta nelle università e negli enti pubblici di ricerca nazionali italiani non è finanziata a valere sui fondi statali ordinari (il fondo di finanziamento ordinario per l’università e Fondo per gli enti di ricerca), ma su fondi che i ricercatori ottengono su base concorrenziale sia dallo Stato sia da vari enti regionali e locali, da soggetti pubblici e privati italiani, dell’Unione europea e internazionali, a seguito della presentazione di progetti di ricerca ben definiti. Questo tipo di finanziamento è particolarmente virtuoso, perché premia il merito e aiuta a finanziare la ricerca sopperendo alla contrazione del contributo statale per la ricerca.
Tale prassi è molto sviluppata anche all’estero, particolarmente nei Paesi più competitivi dal punto di vista dei risultati della ricerca. L’Unione europea già da molti anni mette a disposizione risorse che possono essere ottenute attraverso progetti presentati da gruppi di ricerca organizzati in «cordate» che competono con altre per ottenere il finanziamento.
Queste ricerche vengono quasi sempre realizzate da ricercatori a tempo determinato, che spesso rappresentano la professionalità chiave per attirare i fondi poi utilizzati per retribuirli. In questo senso, non si tratta di precari, ma di ricercatori finanziariamente indipendenti, così come il gruppo stesso in cui lavorano questi professionisti della ricerca può essere definito un gruppo di ricerca indipendente, perché non è finanziato esclusivamente dall’ente presso il quale opera.
La difficoltà nella programmazione delle risorse umane nel sistema pubblico italiano, causata da una combinazione di fattori quali la riduzione delle risorse «ordinarie», i limiti legislativi al reclutamento e l’introduzione continua di nuove regole sempre più rigide e complesse, rischia di avere effetti molto negativi sul sistema che ha investito ingenti risorse per la formazione dei ricercatori i quali, a loro volta, rappresentano una preziosa risorsa da salvaguardare e promuovere per lo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese.
La presente proposta di legge tende a rimuovere alcuni limiti previsti dalla vigente legislazione che risultano eccessivamente rigidi, in materia di utilizzo di strumenti di finanziamento di attività di ricerca, avvicinando il sistema italiano a quello degli altri Paesi europei.
La legge italiana, infatti, contiene alcune incongruenze, come il tentativo di mutuare da altri ordinamenti il meccanismo della cosiddetta tenure track senza tenere conto del diverso contesto ordinamentale, culturale ed economico italiano. Come è noto, questo sistema consente di reclutare il ricercatore a tempo determinato con la prospettiva, per coloro che lo meritano, di consolidare il rapporto di lavoro dopo un certo periodo, a seguito di risultati positivi delle attività svolte, in presenza dell’esigenza del sistema di mantenere la specifica professionalità e delle risorse finanziarie necessarie a regime. Un meccanismo che presuppone una politica solida di investimenti e una chiara programmazione.
In Italia una programmazione di sviluppo delle risorse umane nel contesto universitario e degli enti di ricerca è un obbiettivo di medio-lungo termine e, considerati gli scenari di crisi e le misure che colpiscono sistematicamente anche il sistema dell’università e della ricerca, per salvaguardare il capitale umano esistente e spingerlo verso una sana competizione è necessario introdurre elementi di flessibilità. Non intervenire oggi può comportare una perdita di competenze con uno spreco o «fuga di cervelli» ingiustificabile e probabilmente irreversibile.
Negli anni passati eravamo abituati a parlare della debolezza del sistema italiano in termini di «fuga di cervelli» (brain drain), fenomeno critico non di per sé, ma per la mancanza di una corrispondente attrattività del nostro Paese ai fini del cosiddetto brain exchange. Era ed è questo il punto maggiore di debolezza rispetto ai Paesi sviluppati, dove i flussi multidirezionali dei ricercatori verso le aree dove le singole specializzazioni offrono le maggiori opportunità costituisce un’importante opportunità di crescita. Ma oggi emerge un fenomeno per molti versi più aberrante e pericoloso: il passaggio dal brain drain al brain waste, dalla fuga dei cervelli ai cervelli sprecati. Una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi di un capitale umano che non ha nemmeno più la valvola di sfogo delle migrazioni.
La proposta vorrebbe in qualche modo offrire nuove opportunità a chi non ha la possibilità (per l’età o per motivi familiari o finanziari) di spostarsi in laboratori all’estero, salvaguardando l’investimento fatto dal sistema Italia nella loro formazione e professionalizzazione.
Resta il problema di un investimento strutturale in ricerca e innovazione (in termini non solo finanziari, ma anche di politica e legislazione nel settore della ricerca), unica soluzione per creare le condizioni di attrattività necessarie a favorire il brain exchange.
La proposta si compone di sei articoli.
L’articolo 1 definisce gli obiettivi della proposta di legge. Promuovere la crescita e la competitività dei ricercatori italiani nello spazio europeo della ricerca. Una legislazione che vuole mettere al centro del sistema la figura dei ricercatori quali «professionisti impegnati nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti interessati» (come definiti dalla raccomandazione della Commissione europea dell’11 marzo 2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori, raccomandazione 2005/251/CE), e non quali «precari», termine che sminuisce il valore di un capitale umano fondamentale per la crescita, su cui si deve investire per il futuro.
L’articolo 2 definisce la figura del «ricercatore indipendente» e indica i princìpi che statuti e regolamenti di autonomia dovranno recepire per consentire a professionisti esperti, in grado di attrarre risorse economiche, di «appoggiare» le attività di ricerca sull’ente ospitante.
È utile ricordare che nei documenti europei (si vedano al proposito i princìpi generali del codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori recati dalla citata raccomandazione 2005/251/CE) sono considerati ricercatori nella fase iniziale di carriera i ricercatori nei primi quattro anni (a tempo pieno) di attività di ricerca, inclusi i periodi di formazione alla ricerca, mentre sono «ricercatori dalla comprovata esperienza» quelli che vantano almeno quattro anni di esperienza nel campo della ricerca (a tempo pieno) a decorrere dal momento in cui hanno ottenuto il diploma che dà accesso diretto agli studi di dottorato, nel Paese in cui hanno ottenuto la laurea o il diploma, o che sono già titolari di un diploma di dottorato, indipendentemente dal tempo impiegato per ottenerlo.
L’articolo 3, in coerenza con l’introduzione della figura del ricercatore indipendente, rivede alcune rigidità introdotte dalla legge n. 240 del 2010 (la cosiddetta «riforma Gelmini») in materia di assegni di ricerca, semplificandone le modalità di assegnazione a soggetti qualificati e a gruppi di ricercatori indipendenti quando gli assegni gravano su risorse reperite sul «mercato della ricerca» per la realizzazione dei progetti.
Gli articoli 4 e 5 prevedono l’introduzione di agevolazioni fiscali per gli investimenti nella ricerca, mediante esenzione dall’IRAP delle retribuzioni per i ricercatori e per il personale impegnato in progetti di ricerca. Si tenga presente che questa imposta non esiste negli altri Paesi europei e, per questo motivo, non è rendicontabile nei progetti dell’Unione europea, costituendo così uno svantaggio competitivo per i ricercatori italiani. È prevista poi un’esenzione dall’IRPEF dei redditi derivanti dai contratti dei ricercatori indipendenti, per compensare, con un beneficio fiscale, le incertezze che derivano da rapporti necessariamente a termine. I suddetti benefìci sono attivabili solo nel caso di attività finanziate con fondi esteri, di organismi internazionali o dell’Unione europea; pertanto la disposizione non comporta minori entrate nel bilancio dello Stato.
L’articolo 6 modifica le disposizioni relative alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), che oggi possono svolgere attività di ricerca con restrizioni relative alle forme giuridiche e solo in settori individuati come di «particolare interesse sociale» consentendo di utilizzare questo strumento giuridico e le conseguenti agevolazioni per attività relative a tutti i settori di avanzamento della conoscenza e la sua applicazione anche tramite il trasferimento tecnologico, attività nelle quali l’interesse sociale è sempre presente.
In conclusione la proposta si pone in un’ottica idonea a creare condizioni migliori per la crescita dei ricercatori italiani nell’ambito delle azioni di implementazione della strategia europea Orizzonte 2020.
La recente decisione n. 2013/743/UE del Consiglio, del 3 dicembre 2013, che stabilisce il programma specifico di attuazione del programma quadro di ricerca e innovazione (2014-2020) Orizzonte 2020, prevede specificamente azioni per incentivare l’eccellenza scientifica affidate al Consiglio europeo della ricerca (CER), un sostegno per svolgere le proprie ricerche in Europa a «ricercatori indipendenti di ogni età e sesso, compresi i ricercatori all’inizio della loro carriera che passano alla direzione indipendente di attività di ricerca» (allegato I, parte I, numero 1, terzo capoverso). A questi ricercatori, quando sono meritevoli ed esprimono eccellenza scientifica, sono assicurati strumenti speciali per la loro indipendenza nello spazio europeo della ricerca a partire dal sostengo alla mobilità (ibidem, numeri 3.2 e 3.4).
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità).
Art. 2.
(Ricercatore indipendente).
adeguarsi agli standard di retribuzione internazionale, qualora il bando sia internazionale e fissi termini o condizioni di retribuzione. I contratti di cui alla presente lettera e le relative risorse non sono considerati ai fini dell’applicazione delle norme vigenti in materia di rapporto tra spese per il personale e ammontare del fondo di finanziamento ordinario e, per quanto riguarda l’università, di rapporto tra numero di docenti e numero di studenti;
tutte le attività istituzionali previste nell’università per i ricercatori a tempo determinato di cui all’articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e per i ricercatori a tempo indeterminato, con gli stessi diritti di voto, rappresentanza e partecipazione agli organi universitari, in coerenza con la durata del contratto;
Art. 3.
(Disposizioni in materia di assegni di ricerca).
«3-bis. Gli assegni conferiti a soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca possono eccedere il limite di quattro anni previsto dal comma 3 e non concorrono al raggiungimento del limite complessivo di durata dei rapporti cui al comma 9»;
«b-bis) conferimento diretto a soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca o con comprovata esperienza nel campo della ricerca che hanno fruito in precedenza di assegni di ricerca per almeno quattro anni, il cui curriculum è coerente con il progetto di ricerca presentato».
Art. 4.
(Esclusione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive).
Art. 5.
(Esenzione dall’imposta sul reddito delle persone fisiche).
Art. 6.
(Organizzazioni non lucrative di utilità sociale per la ricerca).
«a-bis) in alternativa a quanto previsto dalla lettera a), lo svolgimento diretto ed esclusivo di attività di ricerca e sviluppo tecnologico, compreso il trasferimento tecnologico».