Onorevoli Colleghi! La fine di una convivenza e la separazione dei coniugi rappresentano un momento di forte sofferenza per tutti i soggetti coinvolti ed in particolare per i figli minorenni, spesso contesi dai padri e dalle madri in un clima di rabbia e frustrazione.
I dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) pubblicati il 12 novembre 2015 e riferiti all’anno 2014 indicano che in metà delle separazioni e in un terzo dei divorzi è coinvolto un figlio minorenne. Nello specifico, il 52,8 per cento delle separazioni e il 32,6 per cento dei divorzi riguardano matrimoni con almeno un figlio di età inferiore a diciotto anni e di questi oltre la metà ha meno di undici anni.
Benché venga meno il legame di coppia, gli adulti coinvolti rimangono genitori e hanno un obbligo non solo naturale e morale, ma anche giuridico, di garantire la soddisfazione dei bisogni dei loro figli minorenni e soprattutto di preservarli dalle ricadute della conflittualità genitoriale sulla loro esistenza. Questo tipo di sofferenza può essere attenuata al meglio, per tutti, tramite la cogenitorialità e la condivisione delle decisioni più importanti.
Anche a seguito della conclusione delle procedure giudiziali, difficilmente la situazione presenta miglioramenti. È frequente infatti l’assenza di comunicazione fra i genitori e dunque la conseguente mancanza di un progetto educativo condiviso e di una reciproca collaborazione nella soddisfazione delle esigenze affettive e materiali dei più piccoli, senza considerare i casi limite, purtroppo frequenti, in cui i figli diventano uno strumento per esercitare una sorta di vendetta sull’altro genitore.
La mediazione familiare nasce e si sviluppa negli Stati Uniti d’America negli anni ’80 e viene introdotta e diffusa in Europa a partire dagli anni ’90. Già da anni, anche nel nostro Paese, la mediazione familiare, forte del proprio carattere multidisciplinare, psicologico, sociale e giuridico, si propone come attività di sostegno alla famiglia e alla coppia, nell’interesse dei figli minori, nei momenti di crisi della relazione personale dei genitori.
La diffusione e l’utilizzo dell’istituto della mediazione quale strumento di elevato valore sociale è un’esigenza ratificata da tutti gli Stati europei, al fine di tutelare le relazioni familiari tenendo in prevalente considerazione l’interesse superiore del fanciullo e la genitorialità condivisa e responsabile.
La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge n. 77 del 2003, promuove il ricorso alla mediazione e ad ogni altro metodo di soluzione dei conflitti atto a raggiungere un accordo, al fine di prevenire e di risolvere le controversie, in maniera tale che i minori siano coinvolti il meno possibile nei procedimenti giudiziari.
La raccomandazione n. R(98)1 del 21 gennaio 1998 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa invita gli Stati membri a introdurre, promuovere e rinforzare la mediazione familiare, al fine di migliorare la comunicazione tra le parti, ridurre il conflitto, creare rapporti amichevoli, dare continuità alle relazioni fra genitori e figli e ridurre i tempi della separazione e del divorzio. Il mediatore non dovrà porsi come figura di conciliazione dei conflitti di coppia, ma dovrà avere come obiettivo l’interesse superiore dei figli, incoraggiando i genitori a concentrarsi sui bisogni di questi, ricordando le loro responsabilità.
La Convenzione sulle relazioni personali che riguardano i fanciulli, fatta a Strasburgo il 15 maggio 2003, all’articolo 7 esorta le autorità giudiziarie nazionali ad adottare tutte le misure appropriate per incoraggiare i genitori e le altre persone che hanno legami familiari con i figli minorenni a raggiungere accordi amichevoli, in particolare facendo ricorso alla mediazione familiare e ad altri metodi di risoluzione delle controversie.
La raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 1639 (2003) del 25 novembre 2003 definisce la mediazione familiare come un procedimento di costruzione e di gestione della vita tra i membri di una famiglia alla presenza di un terzo mediatore, indipendente e imparziale, avente l’obiettivo di giungere a una conclusione accettabile per i due soggetti superando la carenza di comunicazione fra le parti.
In Italia siamo però ancora lontani dall’esperienza di altri Paesi europei. In Norvegia, ad esempio, fin dal 1 gennaio 1993 è in vigore la legge della mediazione obbligatoria tramite dieci incontri per le coppie, sposate o conviventi, che intendono separarsi e che hanno figli minori di sedici anni. Il proposito della legge norvegese è quello di porsi in relazione alla responsabilità parentale, al fine di aiutare a trovare la via migliore e condivisa per la crescita dei figli.
Il codice di procedura civile francese prevede che il giudice possa designare una terza persona che ascolti i coniugi e faciliti lo scambio dei loro differenti punti di vista, per consentire una presa di coscienza del ruolo familiare di ogni partner e la gestione dei problemi comuni agli stessi. Stante la necessità di personale esperto e preparato a gestire conflitti relazionali, la normativa francese prevede percorsi formativi e profili deontologici da rispettare, muovendosi nell’ottica della professionalizzazione del ruolo di mediatore familiare.
Il Regno Unito agevola e incentiva il ricorso alla mediazione familiare, non solo come alternativa al procedimento giudiziario, ma anche come supporto all’interno dello stesso attraverso una legislazione favorevole, con lo scopo di arginare le conseguenze negative sui figli della separazione. Dal 6 aprile 2011 tutte le coppie, prima di portare in tribunale la propria causa di divorzio, sono tenute a partecipare a una sessione di mediazione familiare.
La mediazione familiare costituisce dunque un mezzo per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o alla rottura di una convivenza. Il mediatore, come terzo neutrale e con una formazione specifica, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione, soddisfacente per loro e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale. La mediazione familiare è pertanto un percorso in cui il mediatore accompagna la coppia, dal quale rimangono esterne le cause della rottura familiare, per consentire alle parti di scindere il ruolo di compagno o coniuge dal ruolo genitoriale, trovando quindi delle modalità e degli accordi affinché questo ruolo sia esercitato nel miglior modo possibile.
I vantaggi sono chiaramente molteplici: gli accordi fra i genitori divengono più equi e condivisi e dunque più rispettati nel tempo, diminuisce la litigiosità, migliorano le capacità comunicative, la responsabilizzazione genitoriale e la capacità di riconoscere i bisogni dei figli che oltretutto beneficiano di un clima più sereno e sono meno esposti alla sofferenza derivante dalla rottura del rapporto familiare.
L’intervento di un professionista nei rapporti familiari permette inoltre di prevenire negligenze e violenze psicologiche, anche inconsapevoli, che espongono i figli al rischio di danni psicologici ed emotivi, nonché di comportamenti sociali devianti.
Come evidenziato dall’associazione Genitori ancora (GEA) da anni impegnata nell’opera di mediazione nelle relazioni familiari, è necessario diffondere un approccio al tema del conflitto che ne valorizzi le potenzialità, controlli gli aspetti più distruttivi e supporti lo sforzo di trovare soluzioni pacificatorie, per fare sì che la fine di una relazione di coppia non coincida con lo scioglimento della coppia genitoriale.
In questo processo è fondamentale la capacità del mediatore, un professionista esperto nel campo della mediazione, della negoziazione e del problem solving, in possesso di conoscenze approfondite in psicologia, pedagogia, diritto ed economia, con particolare riferimento ai rapporti familiari e genitoriali. Egli può prestare la propria opera sia come operatore in un organismo di mediazione, sia come libero professionista, essendo la mediazione familiare professione non organizzata ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n. 4.
Conformemente a quanto previsto nella Carta europea sulla formazione dei mediatori familiari nelle situazioni di separazione e di divorzio del 15 ottobre 1992 e per assicurare un’adeguata e uniforme preparazione su tutto il territorio nazionale, il mediatore familiare, pubblico o privato, e i mediatori familiari liberi professionisti idonei a eseguire le attività di mediazione previste dalla presente proposta di legge, devono essere in possesso di laurea specialistica in discipline psicologiche, pedagogiche o giuridiche, nonché di una formazione specifica e certificata per l’esercizio della mediazione familiare di almeno 250 ore ripartite in modo tale da favorire l’assimilazione delle competenze acquisite. Possono svolgere la medesima attività di mediazione anche coloro che, alla data di entrata in vigore della legge, sono in possesso di laurea specialistica e hanno acquisito una formazione specifica certificata dal possesso di un attestato di mediatore familiare rilasciato a seguito della partecipazione a un corso della durata di almeno 250 ore, riconosciuto dalla regione di residenza.
Al fine di facilitare l’accesso alla mediazione familiare è determinante il contributo delle regioni volto a istituire elenchi pubblici degli organismi di mediazione familiare e dei mediatori familiari liberi professionisti in possesso dei requisiti formativi indicati. Occorre altresì che in ogni azienda sanitaria locale, di preferenza presso i servizi dei consultori familiari ove esistenti, sia istituito un servizio di mediazione familiare, ad accesso libero e gratuito, idoneo a svolgere il tentativo obbligatorio di mediazione familiare.
Un elemento fondamentale e imprescindibile è infine l’introduzione del carattere obbligatorio della mediazione familiare e di almeno tre colloqui di mediazione come condizione di procedibilità nelle controversie di separazione personale in presenza di figli minorenni, nelle procedure di negoziazione assistita per la separazione personale dei coniugi di cui all’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, e nei procedimenti di regolamentazione della potestà genitoriale, regolati dall’articolo 316 del codice civile, di competenza del tribunale per i minorenni. Se è infatti vero che il percorso di mediazione familiare necessita del carattere della volontarietà per poter essere perseguito con la necessaria efficacia, è altrettanto vero che difficilmente la coppia accederà alla mediazione senza un’adeguata informazione sulla stessa e sulle sue potenzialità. Dagli incontri obbligatori con il mediatore può conseguire l’instaurazione di un percorso comune per addivenire a un accordo condiviso, equilibrato e duraturo fra le parti riguardo l’organizzazione dei rapporti personali e patrimoniali fra i genitori e i figli minorenni dopo la cessazione della convivenza, garantendo la continuazione di un rapporto genitoriale idoneo a soddisfare i bisogni affettivi e materiali dei figli.
PROPOSTA DI LEGGE
rapporto genitoriale idoneo a soddisfare i bisogni educativi, affettivi e materiali dei figli.
3. Il procedimento di mediazione familiare è informale e riservato; nessun elemento, atto o documento relativo alla procedura di mediazione può essere prodotto in un eventuale giudizio; nessun soggetto può essere chiamato a testimoniare su circostanze relative al procedimento di mediazione familiare svolto.
4. La mediazione familiare si pone i seguenti obiettivi:
a) aiutare la coppia genitoriale a elaborare un progetto condiviso e consensuale di cogenitorialità nella separazione attraverso una metodologia mirata alla gestione del conflitto avendo come obiettivo specifico l’interesse dei figli;
b) garantire ai figli il mantenimento di rapporti significativi e regolari con entrambi i genitori, ricevendo cure, affetto, educazione e istruzione;
c) aiutare la coppia genitoriale a cogliere i bisogni e le manifestazioni emotive dei figli evitandone la strumentalizzazione nel conflitto;
d) prevenire negligenze e violenze psicologiche, anche inconsapevoli, che possono esporre i figli al rischio di danni emotivi, nonché di comportamenti sociali devianti.
a) aspetti psicologici della coppia e dei suoi conflitti;
b) aspetti sociologici dell’evoluzione della famiglia;
c) aspetti psicologici dello sviluppo del minorenne;
d) aspetti pedagogici delle relazioni genitoriali;
e) impatto e ripercussione della separazione sulle dinamiche familiari e in particolar modo sui figli;
f) funzionamento economico della famiglia e mantenimento dei minori;
g) quadro legale della separazione e del divorzio, dei professionisti coinvolti e del loro rapporto con i mediatori familiari;
h) tecniche di comunicazione e di risoluzione dei conflitti.
4. La formazione relativa alla mediazione familiare è affidata a:
a) docenti universitari specialisti nell’ambito delle discipline psicologiche, pedagogiche, giuridiche o economiche con comprovata esperienza nel campo delle problematiche della famiglia e dei minori;
b) mediatori familiari professionisti in attività.
5. Al fine di facilitare l’accesso alla mediazione familiare e di garantire l’accertamento dell’esistenza dei requisiti di cui ai commi 1 e 2, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni istituiscono specifici elenchi pubblici degli organismi di mediazione familiare, pubblici e privati, e dei
mediatori familiari liberi professionisti in possesso dei requisiti di cui ai citati commi 1 e 2.