PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
MARZANO, ROBERTA AGOSTINI, BRAGA, CAMPANA, CULOTTA, GHIZZONI, GIULIANI, GOZI, GRIBAUDO, LAFORGIA, LOCATELLI, MALPEZZI, MARTELLI, MATTIELLO, MAZZOLI, MOGHERINI, MORANI, MORETTI, MURER, PES, GIUDITTA PINI, ROTTA, SBROLLINI, SCALFAROTTO, SCUVERA, TENTORI, VERINI
Introduzione del capo II-bis del titolo VII del libro primo del codice civile, concernente la disciplina della fecondazione medicalmente assistita
Presentata il 29 maggio 2013
Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge ha come obiettivo la rimozione degli ostacoli e dei divieti che impediscono oggi a migliaia di coppie di avere figli e di vedere tutelato il loro diritto alla vita familiare, percorrendo le strade che la tecnica e la scienza rendono oggi disponibili. A tale fine si intende integrare il libro primo del codice civile, che tratta delle persone e della famiglia, introducendo un nuovo capo (il capo II-bis) contenente la disciplina della fecondazione medicalmente assistita, nonché modificare la legge 19 febbraio 2004, n. 40 recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». I presentatori sono infatti convinti che una normativa sulle tecniche di fecondazione assistita debba tutelare la libertà riproduttiva senza ostacolarla e debba garantire l’accesso alle tecniche che rendono effettivo il diritto alla vita familiare, tutelato anche dalla Carta europea dei diritti dell’uomo, senza discriminare tra coppie sterili e coppie portatrici di malattie cromosomiche, genetiche o sessualmente trasmissibili, oppure tra coppie che possono avere figli grazie ad altre tecniche di fecondazione medicalmente assistita e coppie che possono averne solo ricorrendo alla fecondazione eterologa.
D’altra parte è la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 151 del 1 aprile 2009, ad avere imposto una parziale riscrittura della citata legge n. 40 del 2004 dichiarandone illegittime alcune parti. A cominciare dall’articolo 14, dichiarato illegittimo nella parte in cui vieta la fecondazione di più di tre ovociti e impone l’unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti. Una decisione che – annotano i giudici costituzionali – «si pone, in definitiva, in contrasto con l’articolo 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva il medesimo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’articolo 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna – ed eventualmente, come si è visto, del feto – ad esso connesso». Stabilire il numero di ovociti da fecondare come il numero di embrioni da impiantare – ha affermato la Consulta – non può che competere al medico in accordo con il paziente e nel rispetto di princìpi medici che non possono essere definiti a priori dal legislatore.
Più in generale la Consulta ha stabilito che: «In materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali». Si tratta ora di proseguire lungo questa rotta indicata dalla Corte costituzionale, raccogliendo i frutti di una lunga battaglia legale che in quasi dieci anni dall’entrata in vigore della citata legge n. 40 del 2004, ha prodotto numerose sentenze, una corposa giurisprudenza e due pronunciamenti della Consulta. Ma anche un lavoro di studio e di elaborazione giuridica, portato avanti da esperti e giuristi, come i consiglieri dell’associazione Luca Coscioni, il dott. Bruno De Filippis e Filomena Gallo, avvocata di molte delle famiglie che in questi anni hanno fatto ricorso contro la legge n. 40 nonché segretaria dell’associazione. È anche a questo lavoro che si ispira la presente proposta di legge, redatta con l’obiettivo di rimuovere tutti quei divieti che attualmente non permettono al medico, con il consenso del paziente, di operare le scelte professionali più opportune a favorire l’avvio di una gravidanza, nel rispetto dei princìpi medici e grazie alle tecniche rese disponibili dallo sviluppo medico scientifico. Si è scelto pertanto di procedere attraverso un intervento integrativo del codice civile (da inserire nel libro primo, che tratta delle persone e della famiglia), che, redatto nel 1942, non poteva pronunciarsi sulle forme di fecondazione assistita che ancora non esistevano.
Uno degli ostacoli che la presente proposta di legge si propone di rimuovere è il divieto di fecondazione eterologa. Peraltro sul divieto di fecondazione eterologa sancito dalla legge n. 40 del 2004 è atteso un nuovo pronunciamento della Corte costituzionale, che dovrà decidere circa la legittimità dell’articolo 4, comma 3. La legge che detta le «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», infatti, all’articolo 4, comma 3, vieta esplicitamente «il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo». In ragione di tale divieto, dal 2004 nessun centro per la procreazione medicalmente assistita in Italia ha più praticato la fecondazione eterologa. Con conseguenze drammatiche per le coppie che solo con questa tecnica possono sperare di avere figli.
Secondo l’Osservatorio sul turismo procreativo, solo nel 2011, 4.000 coppie italiane si sono recate all’estero per praticare la fecondazione medicalmente assistita. Secondo la Società europea di riproduzione umana ed embriologica (Eshre), il fenomeno del turismo procreativo riguarda circa 30.000 coppie in tutta Europa. Quasi un terzo (32 per cento) sono coppie italiane, di queste il 40 per cento si recano all’estero per aggirare il divieto di fecondazione eterologa che vige in Italia.
Dal 2004, le coppie che non riescono ad avere figli attraverso le altre tecniche di fecondazione assistita in Italia si trovano strette in questo paradosso: in quanto coppie sterili, la legge n. 40 del 2004 (articolo 4, comma 1) consente loro l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita, e tuttavia l’unica tecnica che potrebbe consentire loro di avere un figlio è vietata dalla medesima legge. E non solo. La stessa legge, pur vietandola, detta, in un certo senso, norme sulla fecondazione eterologa. L’articolo 9, comma 1, della legge n. 40 del 2004 stabilisce infatti che: «Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice». E ancora, al comma 3 del medesimo articolo 9 è stabilito che: «In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi». Dunque, se da una parte la legge n. 40 del 2004 vieta il ricorso alla fecondazione eterologa, dall’altra ne disciplina gli effetti.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), chiamata a pronunciarsi sul divieto che vige anche in Austria, ha affermato che il divieto assoluto di fecondazione eterologa crea una «disparità di trattamento» che risulta «discriminatoria se non ha alcuna giustificazione obiettiva e ragionevole». La Grande Chambre della Corte EDU, il 6 novembre 2011, ha ribaltato la sentenza, riconoscendo agli Stati membri un margine di discrezionalità su questa materia, ma invitandoli anche a rispettare il principio di uguaglianza e il rispetto della vita familiare, nonché a tenere conto dell’evoluzione scientifica e medica delle tecniche di fecondazione e dei mutamenti etici e sociali della comunità.
Nel frattempo, la questione di costituzionalità è stata sollevata anche in Italia. Alcune famiglie che chiedono di accedere alla fecondazione eterologa si sono rivolte alla giustizia italiana, impugnando l’articolo 4, comma 3 della legge n. 40 davanti ai tribunali di Firenze, Catania e Milano. E i giudici ordinari, a loro volta, hanno sollevato il dubbio di costituzionalità davanti alla Consulta. Una prima serie di ricorsi, fu presentata sulla base di quanto stabilito dalla Corte europea a proposito del divieto di fecondazione eterologa in Austria. Dopo la sentenza della Grande Chambre, e dopo che la Consulta, con l’ordinanza numero 150 del 2012, ha disposto la restituzione degli atti ai tribunali di Firenze, Catania e Milano, lasciando loro il compito «alla luce della sopravvenuta sentenza della Grande Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria» di «procedere a un rinnovato esame dei termini delle questioni», i tre tribunali hanno sollevato nuovamente la questione di costituzionalità davanti alla Consulta, che è ora chiamata a pronunciarsi sulla eventuale violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Dal momento che in forza del principio di ragionevolezza «il giudizio di legittimità costituzionale del divieto delle norme deve essere compiuto verificando la logicità interna della normativa e la giustificazione oggettiva e ragionevole delle differenze di trattamento».
Dal punto di vista del legislatore, anche questo lungo dibattito offre ottime ragioni per tornare sulle norme che regolano la fecondazione assistita. Come suggerisce la presente proposta di legge che, nel ridefinire le tecniche di fecondazione assistita, abroga l’articolo 4, comma 3 della legge n. 40 e interviene a normare la fecondazione eterologa.
Altro ostacolo alla libertà riproduttiva che la presente proposta di legge intende rimuovere è quello che pone le coppie portatrici di malattie genetiche in una sorta di limbo infernale. Le tecniche di fecondazione assistita, unite alla diagnosi preimpianto, infatti, consentirebbero loro di mettere al mondo figli che non abbiano la malattia di cui sono portatori. Tuttavia la legge n. 40 (articolo 4, comma 1) prevede che il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita sia «circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico». La legge non fa riferimento alle coppie portatrici di malattie genetiche. Né fa riferimento alla possibilità di effettuare sull’embrione una diagnosi preimpianto. Lacuna questa che il Ministero della salute aveva tentato di colmare, pochi mesi dopo l’approvazione della legge, con il decreto ministeriale n. 15165 del 21 luglio 2004 contenente le linee guida sulla procreazione assistita. «Ogni indagine riguardante lo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’articolo 14, comma 5 (della legge n. 40 del 2004 ndr) dovrà essere di tipo osservazionale», recitava il decreto, vietando, di fatto, con un atto amministrativo, la diagnosi preimpianto. Un divieto inedito, non deciso dal legislatore, non contenuto nella legge n. 40 approvata pochi mesi prima. Un ostacolo che ha costretto migliaia di coppie – quelle che potevano permetterselo economicamente – a recarsi all’estero. Mentre altre, con grande coraggio e senso civico, si sono rivolte ai tribunali italiani per avere accesso a una tecnica diagnostica riconosciuta come valida alternativa all’aborto dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità, ma che le linee guida del Ministero avevano messo al bando.
Il tribunale di Cagliari, quello di Firenze, quello di Salerno, uno dopo l’altro hanno dato ragione alle coppie che hanno impugnato il divieto della diagnosi preimpianto. Fino all’ordinanza del tribunale amministrativo del Lazio che il 21 gennaio 2008 ha dichiarato illegittime le linee guida del 2004 che avevano sancito quel divieto.
Le nuove linee guida varate dal Ministero della salute con il decreto n. 31639 dell’11 aprile 2008 hanno aggiustato il tiro, facendo cadere il divieto della diagnosi preimpianto. Tuttavia – occorre sottolinearlo – a distanza di cinque anni, in assenza di circolari e disposizioni più stringenti da parte del Ministero, la diagnosi preimpianto non viene praticata in nessuno dei centri pubblici presenti in Italia ma solo, a pagamento, nei centri privati. Anche in questo caso il tribunale di Cagliari ha dato ragione a una coppia che, ricorsa alle tecniche di fecondazione assistita perché sterile, di fronte al rischio di trasmettere la talassemia al figlio, aveva impugnato il diniego dell’ospedale microcitemico di effettuare la diagnosi preimpianto, in nome del diritto alla salute e alla procreazione. Un diritto che, tuttavia, nel caso della fecondazione assistita, appare ancora da conquistare ogni volta nelle aule dei tribunali. Con dispendio di tempo prezioso per chi vuole mettere al mondo un figlio, spesso in questi anni è stato riconosciuto il diritto alla procreazione quando ormai era troppo tardi. Come è accaduto a Neris. Lei e suo marito hanno scoperto di essere portatori di atrofia muscolare spinale dopo aver messo alla luce Beatrice, una bellissima bambina morta a soli sette mesi. Un anno dopo, era il 2004 (l’anno in cui è entrata in vigore la legge n. 40), Neris e suo marito tentano di avere un altro figlio, pur sapendo che c’era una possibilità su quattro di trasmettergli la stessa malattia che aveva fatto morire Beatrice. Quando la villocentesi ha confermato che di nuovo avrebbero messo al mondo un bambino malato, hanno deciso abortire. La terza gravidanza – si sono detti – l’avrebbero tentata solo attraverso le tecniche di fecondazione assistita. È allora che hanno scoperto che in Italia la diagnosi preimpianto non era autorizzata e che le coppie non sterili ma portatrici di malattie non avevano accesso a quelle tecniche. «All’inizio», annota Neris nel suo diario di aspirante mamma, «speravo che la legge fosse fatta così perché i nostri legislatori ci avevano dimenticato. È assurdo che la legge impedisca di usare degli strumenti che ti proteggerebbero dal rischio di far contrarre a tuo figlio la patologia di cui sei portatore. Poi mi sono accorta che era volutamente pensata e scritta per escluderci».
Il 9 gennaio 2010 il giudice Antonino Scarpa del tribunale di Salerno ha riconosciuto a Neris e a suo marito il diritto «a conseguire dal Centro di medicina della riproduzione di Salerno, (…) l’adempimento contrattuale delle prestazioni professionali consistenti nelle tecniche procreative medicalmente assistite, imposte dalle migliori pratiche scientifiche, di diagnosi preimpianto degli embrioni da prodursi e di trasferimento nell’utero della Signora di embrioni che non evidenzino la mutazione del gene Sma1, causativo dell’Atrofia Muscolare Spinale di tipo 1, di cui i ricorrenti sono affetti», condannando al pagamento delle spese processuali il direttore sanitario del centro di fecondazione in vitro «Mediterraneo Medicina della Riproduzione» di Salerno che, in applicazione della legge n. 40, aveva negato loro l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita. Sei anni dopo però era troppo tardi. E forse anche per questo i tentativi di avere un figlio nel caso di Neris non hanno portato a una gravidanza.
L’obiettivo della presente proposta è rimuovere gli ostacoli che fin qui sono stati rimossi dai tribunali, volta per volta, senza poter garantire davvero a tutti coloro che non hanno impugnato la legge davanti alla giustizia italiana, l’uguaglianza nell’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita. Per le coppie portatrici di malattie genetiche, in particolare, abrogate le linee guida del 2004, l’ostacolo più grande a veder riconosciuto il diritto ad avere figli resta la decisione di circoscrivere l’accesso alle tecniche di procreazione assistita «ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico». Sancito, in questo caso, proprio dalla legge n. 40, all’articolo 4, comma 1.
In realtà, una possibile via d’uscita era già stata indicata proprio dalle linee guida riscritte all’indomani dell’ordinanza del tribunale amministrativo del Lazio, tuttora in vigore, ma che il precedente Governo aveva tentato in extremis di riscrivere.
Il decreto del Ministero della salute n. 31639 dell’11 aprile 2008 dà indicazione ai centri di fecondazione medicalmente assistita di tenere conto «di quelle peculiari condizioni in presenza delle quali – essendo l’uomo portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da HIV, epatite B e C – l’elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo l’adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condizione di infecondità, da farsi rientrare tra i casi di infertilità maschile severa da causa accertata e certificata da atto medico, di cui all’articolo 4, comma 1 della legge n. 40 del 2004». Per questa stessa via dunque «perché non considerare infertili anche le coppie che non mettono al mondo un figlio solo per evitare che nasca malato?», suggerì in una intervista al quotidiano Pubblico del 30 settembre 2012 Anna Pia Ferraretti, responsabile della Società italiana studi di medicina della riproduzione di Bologna. In attesa che il legislatore mettesse mano a una nuova (e più giusta) normativa sulla fecondazione medicalmente assistita.
Ora abbiamo la possibilità di rimuovere, con una legge più coerente e benigna, quegli ostacoli che la legge stessa ha creato.
A quasi dieci anni dall’approvazione della legge n. 40, è la stessa Corte EDU che ci invita a farlo. Di nuovo, sono due aspiranti genitori a rimettere in moto la giurisprudenza: Rosetta Costa, classe 1977, e Walter Pavan, classe 1975, sono portatori di fibrosi cistica e vogliono avere un figlio. La loro vicenda è ormai nota. L’unica possibilità che la legge italiana offre loro è tentare una gravidanza per poi ricorrere eventualmente all’aborto terapeutico dopo la villocentesi. Ma loro vogliono accedere alle tecniche di fecondazione assistita e poiché la legge lo vieta, si sono rivolti alla Corte EDU, invocando il rispetto della vita privata e familiare, sancito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, all’articolo 8. La Corte europea, il 28 agosto 2012 ha dato loro ragione, condannando lo Stato italiano a risarcire Rosetta e Walter per danni morali. Non solo. «È giocoforza constatare che, in materia, il sistema legislativo italiano manca di coerenza. Da un lato, esso vieta l’impianto limitato ai soli embrioni non affetti dalla malattia di cui i ricorrenti sono portatori sani; dall’altro, autorizza i ricorrenti ad abortire un feto affetto da quella stessa patologia», replicano i giudici della Corte europea, invitando lo Stato italiano ad adeguare la legge sulla fecondazione assistita non solo a quanto previsto dalla Convenzione, ma anche a quanto previsto dalla stessa legge 22 maggio 1978, n. 194.
Con la presente proposta di legge si intende inoltre abolire sia il divieto contenuto all’articolo 13, comma 1, della legge n. 40 («è vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano») sia quello stabilito dall’articolo 14 («è vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194»). Anche se la Consulta, già dal 2009, ha stabilito, che una volta eliminato il limite di fecondazione di tre ovociti, il divieto di crioconservazione non è più assoluto e dunque gli embrioni possono essere crioconservati per la salute della donna e degli embrioni stessi, la presente proposta di legge intende, con l’abrogazione di questi divieti, normare il trattamento e la cessione degli embrioni per la ricerca scientifica, consentendola fino al quattordicesimo giorno, come previsto in Gran Bretagna, già dal 1990, con lo Human Fertilization and Embriology Act che ha appunto consentito la ricerca sugli embrioni fino al quattordicesimo giorno, istituendo una Authority alla quale ha affidato il compito di autorizzare e controllare l’attività di ricerca e di fecondazione assistita.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
«Capo II-bis – DELLA DISCIPLINA DELLA FECONDAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA
Art. 279-bis. – (Finalità). – La legge disciplina l’esercizio delle pratiche di fecondazione medicalmente assistita per la realizzazione del diritto alla salute e alla genitorialità, conciliando e rendendo compatibili tali diritti con i diritti del concepito, nel rispetto della dignità dell’essere umano e tenuto conto delle conoscenze scientifiche nel campo della fecondazione medicalmente assistita.
Art. 279-ter. – (Definizione delle tecniche). – Per tecniche di fecondazione medicalmente assistita si intendono tutti i procedimenti che comportano il trattamento di gameti umani o di embrioni nell’ambito di un progetto finalizzato a favorire una gravidanza.
Art. 279-quater. – (Definizione dell’embrione). – Per embrione si intende il prodotto del concepimento dal quattordicesimo giorno del suo sviluppo in poi. Nel computo non devono essere considerati i tempi della crioconservazione.
Art. 279-quinquies. – (Presupposti oggettivi). – Il ricorso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita può essere effettuato quando sussistano problemi di sterilità o di infertilità non adeguatamente risolvibili con altri interventi terapeutici, nonché per la prevenzione delle malattie e delle patologie cromosomiche, genetiche o sessualmente trasmissibili.
Art. 279-sexies. – (Requisiti soggettivi). – Possono accedere alle tecniche di fecondazione
medicalmente assistita soggetti maggiorenni coniugati o conviventi in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.
Art. 279-septies. – (Consenso informato). – Il medico deve informare in modo dettagliato i soggetti richiedenti in ordine ai metodi, ai problemi, agli effetti collaterali, alle possibilità di successo e alle conseguenze giuridiche derivanti dall’applicazione delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, nonché sui costi economici della procedura.
La volontà di accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita deve essere espressa in modo chiaro e univoco e per iscritto, congiuntamente al medico responsabile della struttura o ad un suo delegato, in un atto da cui risulti, con autocertificazione dei richiedenti, il rispetto di quanto indicato negli articoli 279-quinquies e 279-sexies, nonché l’adempimento di quanto indicato nel primo comma del presente articolo.
Tra la manifestazione della volontà e l’applicazione delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita deve intercorrere un periodo non inferiore a sette giorni.
La volontà può essere revocata da ciascuno dei richiedenti fino al momento del trasferimento in utero dell’embrione. Nel caso in cui sopraggiunge la revoca di cui al quarto comma, la struttura deputata all’effettuazione delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita raccoglie il consenso al trasferimento futuro o alla donazione, per la ricerca, degli embrioni.
Art. 279-octies. – (Diagnosi preimpianto). – Prima di procedere al trasferimento in utero dell’embrione, su richiesta dei soggetti cui sono applicate le tecniche di fecondazione medicalmente assistita, deve essere effettuata, con una metodologia che, senza danneggiare in alcun modo il prodotto del concepimento, fornisca le maggiori garanzie di accuratezza e di completezza di indagine, una diagnosi in ordine allo stato di salute dello stesso e all’esistenza di patologie rilevanti. I richiedenti devono essere informati sui risultati dell’indagine.
Art. 279-novies. – (Fecondazione di tipo eterologo). – I soggetti aventi titolo per accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita con donazione di gameti si sottopongono all’applicazione della tecnica nelle strutture di fecondazione in vitro.
Il donatore o la donatrice di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto o essere titolare di alcun obbligo.
Art. 279-decies. – (Donazione dei gameti). – La donazione dei gameti, per le finalità autorizzate dal presente capo, è un contratto completamente gratuito, stipulato per scritto tra il donatore o la donatrice e la struttura autorizzata. La donazione di gameti avviene nel rispetto e con le modalità stabilite dalle norme in vigore sulla tracciabilità e sulla sicurezza. Entrambi i contraenti sono tenuti ad adottare ogni cautela per impedire che notizie relative al contratto siano conosciute da terzi non autorizzati.
Il donatore o la donatrice deve essere maggiorenne, deve essere nel pieno possesso della capacità di agire e di volere e deve essere già padre o madre.
Prima della donazione, il donatore o la donatrice deve essere informato, a cura della struttura autorizzata, delle conseguenze legali della donazione.
Il donatore o la donatrice ha l’obbligo di fornire alla struttura autorizzata, al momento della donazione, ogni notizia sulla sua anamnesi sanitaria e sul suo stato di salute, nonché ogni informazione utile per la conoscenza di eventuali patologie trasmissibili geneticamente o per via cromosomica.
La cosciente falsa informazione in ordine alle notizie relative allo stato di salute nonché ad ogni altra informazione utile circa l’eventuale possibilità di trasmettere patologie genetiche o cromosomiche, obbliga il donatore o la donatrice, fatta salva ogni altra conseguenza di legge, a rimborsare alla struttura autorizzata ogni somma che abbia dovuto pagare per danni causati al concepito in conseguenza delle patologie trasmesse.
Nel contratto di donazione il donatore o la donatrice deve precisare se è stato autore di altre donazioni. Il numero di madri che hanno utilizzato i gameti dello stesso donatore o della stessa donatrice non deve essere superiore a otto.
Il donatore o la donatrice deve sottoporsi a tutte le indagini cliniche previste dalla scienza per evitare la trasmissione di malattie.
Al fine di verificare il rispetto di quanto previsto dal presente articolo, è istituito presso il Ministero della salute il Registro nazionale dei donatori di gameti, la cui vigilanza è attribuita al Ministro della salute.
Art. 279-undecies. – (Conservazione di gameti e di embrioni). – I gameti e gli embrioni possono essere crioconservati, nelle banche autorizzate, per un periodo massimo di cinque anni.
Decorso il termine indicato dal primo comma, i gameti e gli embrioni non richiesti dai soggetti da cui derivano restano a disposizione delle banche autorizzate per i fini consentiti dalla legge.
Art. 279-duodecies. – (Trattamento e cessione degli embrioni). – È consentita la ricerca scientifica sugli embrioni non oltre il quattordicesimo giorno di sviluppo.
La creazione, il trattamento, il trasferimento in utero, la conservazione e la cessione degli embrioni possono essere praticati solo da strutture autorizzate dal Ministro della salute.
Le strutture autorizzate possono cedere materiali genetici a:
1) soggetti per fecondazione di tipo eterologo;
2) laboratori di ricerca scientifica pubblici e privati che ne facciano richiesta motivata, a condizione che i donatori abbiano sottoscritto un esplicito consenso alla donazione a fini di ricerca scientifica oppure non sia più possibile richiedere il consenso dei soggetti titolari del materiale genetico o degli embrioni oppure si tratti di embrioni non idonei per una gravidanza.
La richiesta dei laboratori di cui al terzo comma deve essere autorizzata dal Ministro della salute.
È vietata la produzione di embrioni per scopo non riproduttivo.
Art. 279-terdecies. – (Stato giuridico del nato). – I nati a seguito dell’applicazione di tecniche di fecondazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli della coppia che ha chiesto di accedere a tali tecniche.
Il consenso inizialmente formulato e non revocato prima del trasferimento in utero dell’embrione è irrevocabile. Chi lo ha prestato non può esercitare alcuna azione ai sensi dell’articolo 236.
La madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di fecondazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
In nessun caso dai registri dello stato civile possono risultare dati dai quali si possa comprendere il carattere della generazione.
Art. 279-quaterdecies. – (Sanzioni). – Chiunque, volontariamente, danneggia o sopprime, dopo il quindicesimo giorno, un embrione vitale non impiantato, prodotto o pervenuto alla fase embrionale, è punito con la pena prevista dall’articolo 18, primo comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, ridotta di un terzo.
Chiunque utilizza gameti per la formazione di embrioni senza il consenso delle persone cui gli stessi appartengono è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 100.000.
Chiunque procede al trasferimento in utero di embrioni senza il consenso della donna su cui lo stesso avviene è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Chiunque organizza o pubblicizza la commercializzazione di embrioni o di gameti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 400.000.
Chiunque compie sperimentazioni su embrioni vitali, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 276, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 50.000 a euro 100.000».