È giunta in queste ore la notizia della morte di Agostino Marianetti: consigliere comunale a Roma dal 1966 al 1969, sindacalista segretario generale aggiunto della CGIL, è stato deputato socialista alla Camera per tre legislature, a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. Agostino Marianetti, che chiamavamo familiarmente Dino, è stato un anticipatore: nel lontano 1988 – pensate, quasi trent’anni fa – propose il reddito di cittadinanza e la riduzione delle preferenze alle elezioni politiche ad una, massimo due, perché allora, nelle circoscrizioni elettorali più grandi, ne erano permesse fino a quattro.
Proprio ieri, a San Macuto, il segretario del Partito Socialista Italiano, Riccardo Nencini, ha presentato l’ultimo libro di Agostino Marianetti, di Dino. Il titolo è «Io c’ero e c’ero da socialista»; 264 pagine sofferte, in cui ripercorre la storia della sua vita, della fine del Partito Socialista dopo Tangentopoli, della sinistra italiana della Prima Repubblica. Nel libro si parla di lavoro, di fabbriche, di ideali, di coraggio, di sindacato, di PSI. È stato un socialista riformista convinto, non pentito, mai pentito. Molti politici parlano di operai senza avere un’idea di officina; lui, che proveniva da una famiglia operaia, ha lavorato in tuta blu e ne conosceva i problemi. Da tempo Marianetti era fuori dalla politica, era a casa, martoriato dalla malattia e sofferente per il deficit di democrazia che riscontrava nella Seconda Repubblica. Lo ricordiamo in quest’Aula con stima e affetto: lui, che ha raccontato il totale oltraggio, il fango, la tabula rasa, la cancellazione del popolo socialista, proprio lui merita che la sua morte non passi sotto silenzio, che non venga anch’essa cancellata.