“I governi degli stati membri, per salvare l’Unione Europea, hanno il dovere di guidare l’opinione pubblica a un rinnovato atto di fiducia sulle prospettive dell’unità europea, sposando lo spirito dei padri fondatori e puntando decisi la frontiera di un profondo cambiamento. A pretendere credibilmente questo cambiamento non può essere chi critica l’Europa che c’è, per indebolirla e disgregarla, ma chi difende l’Europa che c’è, per rafforzarne l’integrazione e migliorarne la capacità di risposta politica”. Lo affermano nel “Manifesto per la nuova’Europa” Riccardo Nencini, Pia Locatelli, Benedetto Della Vedova, Oreste Pastorelli, Fausto Longo, Gianluca Susta.
“La democrazia europea deve dunque reagire alla secessione del Regno Unito dall’Unione con un senso di serietà e maturità diverso da quello che il sistema politico britannico ha mostrato prima e dopo la vittoria del Leave. La responsabilità nel governo delle conseguenze del voto – non solo rispetto al negoziato con Londra – è un banco di prova decisivo per la tenuta delle istituzioni comuni e per la loro legittimazione politica. Il progetto della cooperazione europea nacque in un contesto storico indelebilmente segnato dal coraggio e dal sacrificio di cui diede prova la democrazia britannica quando, coraggiosamente, chiese ai propri cittadini di sacrificarsi per liberare l’Europa tutta dal nazismo. Dovremmo oggi essere capaci di un’analoga libertà e lungimiranza, fuori da calcoli di immediato interesse elettorale o economico. Ed è solo in questo spirito che l’Unione Europea potrà trovare l’energia necessaria al proprio rilancio. Questo significa, da un lato, non assecondare tendenze demagogiche, come invece si è fatto nel Regno Unito nel momento stesso in cui si è deciso di convocare un referendum sulla permanenza nell’Unione, e dall’altro non considerare insuperabili le regole che la lunga crisi economica e le mutate condizioni internazionali hanno trasformato in strumenti obsoleti, inutili e perfino controproducenti. I limiti della costruzione europea, a partire dalla persistente inefficienza dell’attuale metodo intergovernativo nel governo delle emergenze politiche ed economiche, di cui proprio la Brexit ha rappresentato un esempio eclatante, rappresentano un utile pretesto per le forze populiste. Per le forze europeiste rappresentano invece una ragione di impegno e di sfida per il futuro. Del resto, il tema su cui è più urgente un accordo tra gli Stati – quello del governo dei flussi migratori – è tale da far coincidere l’espressione della volontà politica con l’instaurazione di nuove procedure a partire dal superamento del Trattato di Dublino. Si tratta infatti di un tipico stato d’eccezione in cui è la politica a determinare la sovranità. Solo una più marcata sovranità dell’Unione potrà infatti contrastare le antistoriche derive sovraniste che sgorgano dai rinascenti nazionalismi. Un discorso simile vale per il governo dell’Unione monetaria, che proprio dotandosi di nuovi strumenti e di nuove prassi operative ha neutralizzato la crisi del debito sovrano, che pochi anni fa minacciava la tenuta dell’eurozona. È ora richiesta un’analoga capacità di adeguamento ai nuovi rischi che incombono sull’economia europea, dalle tensioni sul sistema bancario e sulla tutela dei risparmi al deterioramento dei sistemi di welfare e di contrasto alla povertà. La pedissequa applicazione di trattati concepiti e stipulati in un’altra “era politica” non garantisce oggi né la coesione, né la convergenza europea verso più solide prospettive di crescita. Paradossalmente suggerisce l’idea, diffusa proprio dalle forze populiste, che dall’indisciplina finanziaria e da politiche monetarie e di bilancio accomodanti possa miracolosamente venire una soluzione ai problemi degli stati, come l’Italia, più duramente colpiti dalla crisi economica in termini occupazionali e di caduta dei redditi e del prodotto interno. Solo in questo quadro di cambiamenti profondi e coerenti con una logica di migliore integrazione sarà credibile l’applicazione di un piano per la crescita, sarà più facile la revisione delle regole più discutibili imposte al sistema del credito, sarà infine possibile usare lo strumento finanziario per incentivare l’innovazione scientifica e tecnologica. Va insomma superata la tendenza ad affidare obiettivi di incremento del potenziale di crescita e di equità sociale alla mera autoregolazione del mercato. Le disuguaglianze prodotte nell’ultimo decennio sono la migliore testimonianza del ruolo che la politica deve recuperare. Al contrario, se non si accetta la sfida a un profondo cambiamento, se non si accetta la sfida al rilancio di un sistema di valori di uguaglianza e libertà che hanno costruito l’Europa moderna, il destino del continente si perderà nel pericoloso intreccio di ostilità protezioniste e nazionaliste. Su questi temi è auspicabile che convergano le grandi famiglie politiche europee – socialisti, popolari, liberaldemocratici e ambientalisti – che insieme devono fronteggiare la sfida dei movimenti antieuropeisti senza cedere a tentazioni opportunistiche ed avendo invece quella capacità di visione di cui nel 1957 fu espressione proprio il Trattato di Roma. Ieri le fondamenta dell’Unione; oggi l’apertura di una fase costituente per rilanciare il progetto di un’Europa federale.
Riccardo Nencini, Pia Locatelli, Benedetto Della Vedova, Oreste Pastorelli, Fausto Longo, Gianluca Susta.