Armonizzare il dialogo sugli interessi regionali di India ed Europa nell’Oceano indiano e nel Medio Oriente
Fronteggiare le turbolenze nel Medio Oriente
La conferenza mira a facilitare una discussione sulle relazioni dell’Unione europea con l’India nel contesto del Medio Oriente.
Nuova Delhi, 29-30 settembre 2016
Piaccia o no, la globalizzazione ci obbliga a confrontarci alla ricerca di soluzioni percorribili e condivisibili su tutti i temi dell’agenda internazionale.
Gli avvenimenti più recenti connessi ai fatti sanguinosi del terrorismo internazionale e ai contraccolpi sociali, economici e politici di flussi migratori di un’intensità senza precedenti negli ultimi decenni, chiamano in causa con forza la necessità inderogabile di coordinare politiche attive di contrasto e di prevenzione di questi due fenomeni.
Tanto il terrorismo internazionale quanto le migrazioni di massa, sono potenzialmente in grado di provocare crisi intense e di innescare a loro volta processi destabilizzazione che possono coinvolgere non solo i Paesi direttamente interessati, ma intere aree geografiche.
Tanto l’Europa quanto l’India conoscono purtroppo assai bene questi due fenomeni che affondano le radici soprattutto nel mancato sviluppo economico e sociale di popolazioni e gruppi etnici che la globalizzazione sembra aver relegato ai margini della modernità.
Per questo appare quanto mai puntuale il riferimento di questa conferenza a due aree geografiche, l’Oceano Indiano e il Medio Oriente, che hanno condizionato spesso, nel passato anche recentissimo, la stabilità politica e lo sviluppo economico e sociale delle regioni geografiche cui appartengono e in particolare di alcuni Paesi.
Il mancato, interrotto o rallentato sviluppo di alcune nazioni che si affacciano sull’Oceano Indiano così come di quelle che fanno parte della regione mediorientale nella sua accezione più larga, ha come effetto anche quello di alimentare i fenomeni delle migrazioni di massa e del terrorismo e a loro volta questi due fenomeni contribuiscono a rallentare o a impedire lo sviluppo in un circolo vizioso che è impossibile spezzare senza un’accorta collaborazione internazionale.
Per condurre un’incisiva azione che possa spezzare il circolo vizioso e fondamentale agire anche sul piano dello sviluppo economico.
Per questa ragione c’è un impegno comune dell’Ue a reperire nuove risorse per implementare gli accordi di cooperazione e di partenariato con i Paesi terzi e africani, in particolare con quelli di origine e di maggiore transito di flussi migratori e di rifugiati. Ulteriori misure di sostegno devono servire a favorire il superamento delle ragioni strutturali dell’immigrazione di tipo economico ed ambientale, favorendo forme di partenariato e di collaborazione economica e sociale, da affiancare agli interventi tipici della cooperazione internazionale.
In questo senso è da segnalare l’iniziativa decisa a livello comunitario con il ‘Migration compact’ per favorire lo sviluppo dei Paesi africani e del Medio Oriente destinando a questo scopo risorse nell’ordine di 50 mld di euro.
Sotto questo punto di vista vanno analizzate anche le trattive per l’accordo di libero scambio tra India e Ue, avviate nel 2007.
L’Ue rappresenta oggi il partner commerciale più importante con il 13% totale, prima della Cina (9,6%) e degli Stati Uniti (8,5%). Per l’Unione Europea, l’India è al 9° posto nella classifica dei partner commerciali. Insieme danno vita ad un flusso complessivo di scambi che nel 2015 è stato di 77,3 mld di euro.
È fuori di dubbio che India ed Europa hanno un forte e concomitante interesse nel mantenere l’area dell’Oceano Indiano e del Medio Oriente aperta alla navigazione, ai traffici commerciali e a promuovere ogni azione utile a mantenere, o a riportare, la pace e la stabilità nell’area, non solo per ragioni etiche o culturali, ma per specifici interessi strategici.
La metà circa dell’intero traffico commerciale via mare, passa per l’Oceano indiano e un quinto di questo è rappresentato da merci direttamente o indirettamente connesse all’energia. Inoltre il 40% della produzione petrolifera offshore ha origine in questo oceano mentre rispettivamente il 65% e il 35% delle riserve mondiali di greggio e di gas appartengono agli Stati del litorale.
Tanto l’India quanto l’Ue sono fortemente interessate a queste risorse. Il Vecchio Continente importa il 13% del greggio dall’Arabia Saudita e dall’Iraq mentre l’India importa dai Paesi mediorientali i due terzi dei suoi consumi.
C’è poi un altro fattore che può facilmente rivelarsi di cruciale importanza nel futuro ed è quello religioso.
L’India ospiterà per la fine del secolo, una delle comunità islamiche più numerose al mondo: si valuta sarà il 20% della sua popolazione, così come in Indonesia e in Pakistan. Ma anche nei Paesi Ue la questione della convivenza e dell’integrazione con le popolazioni immigrate di religione islamica è destinata ad assumere un rilievo decisivo.
Per questo insieme di fattori, India e Ue hanno la possibilità e l’opportunità di condividere un cammino comune, nel reciproco interesse a promuovere la stabilità della regione anche se – non può essere negato – non tutti i Paesi dell’Unione, e non solo dell’Unione, hanno dimostrato lo stesso grado di prudenza e di lungimiranza di fronte alle situazioni di crisi che hanno interessato in particolare l’Iraq, la Libia, la Siria.
Anche in Libia – così come è avvenuto per l’intervento militare in Iraq – è mancata una valutazione esatta delle conseguenze della guerra e una pianificazione per riportare la stabilità nel Paese dopo la caduta del regime del colonnello Gheddafi. Le difficoltà nel consolidare il governo di Accordo Nazionale, nella figura del Presidente Fayez al-Sarraj, sono frutto non solo di una storica divisione del Paese su base etnica e di clan, ma anche degli interessi geopolitici legati principalmente allo sfruttamento delle risorse energetiche. Il presidente al-Sarraj è sostenuto dall’Onu eppure il suo diretto concorrente, il generale Haftar gode del sostegno della Francia e dell’Egitto.
Non molto differente la sanguinosa evoluzione della crisi siriana dopo un sostegno massiccio, e a tratti indiscriminato perché ha finito per aiutare anche le milizie radicali di al-Nusra alleate di Daesh, da parte di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti.
Il caos siriano, come quello libico, è divenuto presto terreno fertile all’espansione del Daesh e motore di una drammatica emigrazione di massa verso l’Europa. E come per quella irachena, queste tre crisi hanno avuto effetti pesantemente negativi non solo su tutta la regione mediorientale, ma anche sull’Europa.
Inoltre quanto accaduto dimostra che interventi potenzialmente capaci di stravolgere i delicati equilibri di Paesi già resi fragili da preesistenti fattori di crisi, dovrebbero essere condotti solo in presenza di una consapevole valutazione delle prospettive future, ma sempre e comunque da uno schieramento che comprenda tutti i Paesi direttamente coinvolti dalle conseguenze possibili dell’intervento stesso.
L’Italia sta pagando a caro prezzo il caos prodotto dalla destabilizzazione di Libia e Siria, come conseguenza di interventi a cui non ha partecipato e a cui non ha contribuito se non passivamente.
In queste crisi, alcuni paesi europei hanno agito con scarsa lungimiranza assumendo posizioni ed iniziative non concordate con gli altri Paesi della Ue, agendo soprattutto nel loro interesse, contribuendo così a indebolire la possibilità di una strategia europea complessiva
Anche la strategia di contenimento del fenomeno terroristico di Daesh in Siria ha registrato comportamenti non coordinati tra Paesi che pure dichiarano di combatterlo”.
Diversità di vedute sono emerse anche durante la crisi che portò alla caduta del colonello Gheddafi e prima ancora nella guerra del Golfo
nel 2003.
La vicinanza dell’Europa al Medio Oriente e l’influenza che le crisi locali possono avere sulla stabilità dell’Ue, impongono infatti un comportamento di prudenza non sempre coincidente con quello degli Stati Uniti che per molteplici ragioni, non ultima la distanza geografica, sono coinvolti meno direttamente da quanto avviene in quei Paesi, anche se il fenomeno del terrorismo di Daesh ha contribuito a modificare notevolmente questa percezione.
Per quanto concerne il vicino Oriente, all’instabilità regionale alimentata dalle crisi in Iraq, Egitto, Libia e Siria occorre aggiungere quella della pluridecennale crisi israelo-palestinese che si trascina tra scoppi improvvisi di violenza, atti di guerra, bracci di ferro diplomatici, verso un lento, ma inesorabile peggioramento delle prospettive di soluzione. Una situazione intollerabile che ci preoccupa fortemente per i profondi rapporti di amicizia che legano l’Italia, e l’Europa tutta, a questi due popoli e che contribuisce nel tempo a formare quell’humus indispensabile alla proliferazione del terrorismo e al fenomeno delle migrazioni.
L’unica soluzione razionalmente percorribile, e che riscuote largo consenso, rimane quella di ‘due popoli, due Stati’, ma c’è una vischiosità di comportamenti delle parti interessate che sembra nascondere una preferenza strategica per un aggravamento della crisi anziché per un suo superamento.
Anche in questo caso la pressione congiunta di un più largo consesso di Stati sugli attori della crisi può favorire la ripresa del processo di pace e aiutare l’intero Medio Oriente a costruire un futuro migliore per i popoli che lo abitano e per quelli dei Paesi circostanti.
Non meno drammatica, e potenziale focolaio di crisi future, è la guerra in corso nello Yemen che, forse per la sua distanza dall’Occidente industrializzato, non occupa che assai marginalmente le cronache dei nostri organi di informazione.
Stephen O’Brien, vice segretario per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, ha recentemente parlato a questo proposito di ‘catastrofe umanitaria senza precedenti’, con migliaia di morti, due milioni e mezzo di sfollati, distruzioni senza limiti di strutture essenziali per la popolazione civile. Una carneficina che alimenta a sua volta il terrorismo internazionale, in particolare la fazione più potente di al Qaeda, e che infetta tutta l’area circostante. Sulle ragioni antiche che oppongono le fazioni in lotta per il potere, si innestano gli interessi strategici di Iran e Arabia Saudita per il controllo dello stretto di Bal el Mandeb.
Gli interventi, diretti e indiretti, nel conflitto pesano non solo sul futuro degli yemeniti, ma anche su quello dei Paesi prossimi all’area di crisi o di quelli più vulnerabili, nel ruolo di consumatori o di produttori, per gli impedimenti al traffico delle merci via mare, petrolio in testa.
Anche in questo caso una cooperazione internazionale che comprendesse l’Ue e l’India, potrebbe svolgere un ruolo positivo nella ricerca di una soluzione negoziata.
Le aggressioni ripetute del terrorismo internazionale, ormai senza confini, impongono una reazione comune. Tanto l’India, quanto diversi Paesi europei, sono stati oggetto negli ultimi e anni e soprattutto negli ultimi mesi, di sanguinosi attacchi con centinaia di vittime e danni incalcolabili fisici e morali alle rispettive popolazioni.
Gli avvenimenti più recenti in Egitto, Libia, Siria, il perdurare della sanguinosissima guerra nello Yemen, la crisi israelo-palestinese, assieme al fallito golpe in Turchia con le reazioni, non tutte giustificabili, del governo, e perfino l’accordo faticosamente raggiunto sullo sviluppo nucleare dell’Iran, impongono di operare per il rispetto e il rafforzamento del diritto internazionale avendo come stella polare la prospettiva di realizzare un ordine mondiale basato sul rispetto dei diritti umani, sulla libertà e pari dignità dei popoli, sulla risoluzione democratica e pacifica delle controversie e su di una più equa distribuzione delle risorse.
India e Ue possono giocare un ruolo decisivo nel contrasto al terrorismo internazionale e nel controllo e riduzione dei flussi migratori.
Per quanto riguarda il tema della lotta e della prevenzione al terrorismo internazionale, occorre sottolineare in particolare la necessità di un più efficace coordinamento delle politiche di contrasto in tema di cybersicurezza, traffico di armi e droga, finanziamento e riciclaggio del denaro senza escludere, perché sovente strettamente connesso, quello gestito dalla criminalità organizzata.
Per quanto concerne invece il fenomeno dei flussi migratori, occorre anche prestare in particolare grande attenzione alla questione del traffico di esseri umani con lo sfruttamento della prostituzione, anche minorile, il commercio di schiavi e di organi destinati ai trapianti.
A queste strategie dovrebbe accompagnarsi anche la creazione di un meccanismo di cooperazione multilaterale in tema di sicurezza della navigazione marittima sia come prevenzione per gli attacchi di pirateria navale sia in funzione di controllo e prevenzione del fenomeno del traffico dei migranti.
Una più efficace cooperazione multilaterale in tema di sicurezza della navigazione marittima potrebbe inoltre scongiurare anche il ripetersi di incidenti gravissimi come quello che ha provocato la morte di due cittadini indiani e coinvolto una nave italiana, la portacontainer Enrica Lexie, e due nostri militari, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, e per cui ci si augura che si giunga al più presto a una soluzione di reciproca soddisfazione.
In tutti questi ambiti lo scambio di informazioni, la messa a punto di strumenti legislativi e repressivi, deve avere il massimo delle priorità e coinvolgere profondamente le istituzioni interessate anche con un’adeguata pubblicizzazione degli interventi per informare l’opinione pubblica e fungere da ulteriore deterrente nella fase di contrasto dei fenomeni in questione.
Affinché la collaborazione strategica su questi temi tra l’Ue e l’India possa trovare un percorso fattibile e veloce, occorre che alcuni grandi Paesi europei – penso non solo all’Italia, ma anche alla Germania, alla Spagna, alla Francia – muovano un primo passo dando vita ad una partnership che potrebbe costituire il pilastro fondamentale per una più ampia e proficua cooperazione internazionale.