18 giugno 2015 Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità
Discussione sugli articoli
Trovo che il compromesso finale a cui siamo arrivati per una soluzione a questo tema tanto delicato sia un compromesso accettabile, che ha tenuto conto dei diversi punti di vista.
Ma trovo che questo punto specifico sulla negazione, sulla cancellazione della volontà di una donna, quando questa è defunta, sia proprio in contraddizione con la soluzione che insieme abbiamo costruito. È inaccettabile che il diritto alla riservatezza cada automaticamente con la morte, perché, nella sostanza, è un approfittare della morte di una donna per negarle il rispetto della volontà.
Lo ha già detto bene la collega Zampa: la sacralità della morte, che vale per chi crede e per chi non crede; ma, davvero, approfittare del fatto che una donna non abbia più la possibilità di difendere la sua volontà è una negazione di questa sacralità. Per cui, invito tutti, colleghi e colleghe, a sostenere l’emendamento che impedisce la cancellazione della volontà di una donna, che essa ha espresso esplicitamente, e che, quindi, va profondamente rispettata, ancor più proprio perché questa donna è deceduta.
Dichiarazione di voto
Questo testo unificato delle proposte di legge ci ha posto davanti ad opzioni difficili e delicate – parevano addirittura inconciliabili –, eppure tutte quante supportate da ragioni che hanno fondamento. Da un lato, vi è il diritto della madre a partorire anonimamente e a mantenere l’anonimato, condizioni indispensabili, come ha sottolineato la collega Binetti, in alcuni casi per evitare l’aborto o il parto clandestino o l’abbandono del nascituro. Dall’altro lato, vi è il diritto, sancito da una sentenza della Corte europea e ribadito dalla Corte costituzionale italiana, di chi nasce da un parto anonimo a conoscere le proprie origini.
Ancora una volta siamo chiamati ad intervenire in ritardo, sotto la spinta di due sentenze, con il potere giudiziario che si è di nuovo sostituito a quello legislativo, svolgendo un ruolo di supplenza, con una confusione di poteri che è sempre negativa e che mi auguro non si riproporrà in futuro, quando affronteremo temi urgenti, quali, ad esempio, il testamento biologico oppure le unioni civili oppure i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Ora assumiamo con responsabilità e – credo di poter dire – sensibilità particolari questo provvedimento, che è arrivato in Aula dopo aver percorso tutto il cammino nelle «stanze del silenzio», come ha detto la collega Bossa riferendosi ai tempi lunghi. Responsabilità e sensibilità particolari perché si tratta della dimensione più intima di una persona, che sia la madre o il figlio o la figlia da lei partorito anonimamente.
Abbiamo corso il rischio – per fortuna credo di poter dire superato – di emanare una legge nata da buone intenzioni, certamente condivisibili, ma che – per fortuna, l’abbiamo cambiata nelle ultime ore – poteva produrre danni irreparabili. Ma – lo ripeto – il lavoro delle ultime ore, l’impegno della Commissione giustizia e l’impegno del relatore hanno migliorato notevolmente il testo. Infatti, era difficile agire tenendo conto delle due sentenze. La prima, quella del settembre 2012, richiedeva equilibrio e proporzionalità tra gli interessi delle parti in causa. La seconda, quella italiana della Corte costituzionale, dichiarava parzialmente illegittima la norma che non consente l’accesso alle informazioni sull’identità delle madri che decidono di non essere nominate quando partoriscono.
Ci siamo davvero ritrovati in una situazione molto complicata, perché non era facile trovare l’equilibrio. Non è «un po’ di diritto a te e un po’ di diritto a me e siamo pari». Non può essere così, non è così. Quindi, bisognava trovare i criteri guida per le nostre decisioni. E noi, componente socialista, abbiamo assunto come criterio quello delle minori sofferenze possibili e delle conseguenze meno pesanti, perché è sempre tutto molto difficile e molto complicato.
Il testo finale che abbiamo concluso or ora mi pare un buon testo, che, con un compromesso – perché chiaramente di compromesso si tratta –, ha tenuto conto delle sentenze, ma è anche andato un pochino oltre, sancendo di fatto la priorità e la prevalenza del diritto della madre qualora ribadisca il proprio diniego. E siamo contenti.
Ma fino a ieri c’erano quattro punti che non ci trovavano d’accordo. Ecco, questi quattro punti sono stati in parte risolti, ma io voglio nuovamente sottolineare, a nome di tutta la componente socialista, che non ci è piaciuta la caduta automatica dell’anonimato quando ci si trova di fronte al decesso della donna che ha partorito. Infatti, come ripeto ancora una volta, si approfitta della morte di una donna, che non è, quindi, più in grado di sostenere le sue ragioni, per privarla automaticamente delle sue ragioni. Per noi è davvero difficile accettarlo.
Un altro caso che non ci entusiasma, naturalmente parlo per eufemismi, è quello che si riferisce alle figure incaricate di interpellare la madre che non ha ribadito l’anonimato. Sembra un dettaglio minore, ma non è un dettaglio minore, perché i fatti del passato ci insegnano che la riservatezza non è stata garantita, al contrario.
Noi avremmo voluto che l’impiego del personale dei servizi sociali fosse non una preferenza, ma la norma e avremmo anche voluto che si specificasse che questo personale andava preparato, data la delicatezza del compito a cui è chiamato. Ma questo emendamento non è stato accolto.
Invece, siamo soddisfatti con riferimento al legale rappresentante. Nel testo di alcune ore fa si prevedeva che il legale rappresentante potesse venire a conoscenza dell’identità della madre dell’incapace. Appunto, si tratta del legale rappresentante dell’incapace. Ecco, per fortuna non se ne fa nulla. È bene che il legale rappresentante possa accedere alle informazioni di tipo sanitario, ma solo alle informazioni di tipo sanitario.
Infine, la parte più importante di questo provvedimento ha risolto il gravissimo tema della retroattività, con la soluzione che prevede che, al compimento del diciottesimo anno di età del nato o della nata, la madre possa ribadire la sua volontà di anonimato. È un atto che fa la madre, che non viene interpellata da nessuno, che fa autonomamente, scegliendo le modalità e i tempi riservati per farlo.
Ci fa piacere perché, se così non fosse stato, le 90 mila donne che hanno partorito dal 1950 ad ora nella certezza di restare anonime, avrebbero visto tradito il patto tra loro stesse e lo Stato, che appunto garantiva questa anonimia. La soluzione che abbiamo trovato va bene, è una soluzione elaborata, ma di buonsenso, che salva il principio e che, pur salvando il principio della prevalenza della volontà della madre, tiene conto delle sentenze, sia della CEDU, che della Corte costituzionale.
Il risultato finale è per noi accettabile. Voteremo a favore di questo provvedimento e, nel dichiarare il nostro voto favorevole, vogliamo ribadire un principio che ci sembra rispettato da questo provvedimento, ossia il diritto di una donna alla sua autodeterminazione, al controllo del proprio corpo, che viene confermato con questa legge. E questo principio è lo stesso che ha ispirato la legge n. 194 del 1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza; principio che deve valere sempre, anche nel caso di conflitto con i diritti del figlio o della figlia a conoscere le proprie origini biologiche.
Quindi, siamo contenti che il prevalere della volontà della madre sia stato ribadito, pur trovando una soluzione quando una madre decide di cambiare idea. Questo è il grande nodo di questa legge, la parte che trovo più positiva di questa legge. Questa legge colma un vuoto che c’era. Una donna al momento del parto poteva dichiarare una volontà di anonimato e questa volontà sarebbe durata per sempre. Con questo provvedimento, consentiamo a una donna che ha visto le sue condizioni di vita cambiare, di cambiare idea e siamo d’accordo.
Quindi, la componente socialista voterà a favore di questo provvedimento