PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
MARZANO, CAPUA, CARLONI, CIMBRO, CIVATI, FABBRI, CINZIA MARIA FONTANA, GANDOLFI, GREGORI, GRIBAUDO, GIUSEPPE GUERINI, GUERRA, IACONO, LAFORGIA, LOCATELLI, MARCHETTI, MARROCU, MATTIELLO, MAZZOLI, MIGLIORE, MOGNATO, MUCCI, NARDI, PASTORINO, PIRAS, TENTORI, TERROSI
Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di eguaglianza nell’accesso al matrimonio e di filiazione da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso
Presentata il 17 febbraio 2015
Onorevoli Colleghi! La libertà di contrarre matrimonio è uno dei diritti fondamentali di ogni persona. Lo riconosce la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, all’articolo 16, quando ricorda che gli uomini e le donne hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Lo ricorda la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955. Lo ribadisce nel giugno 2010 la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) quando, nella sentenza Shark e Kopf contro Austria, considera «artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della vita familiare».
Il Parlamento europeo ha chiesto più volte agli Stati membri di rimuovere «gli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni». Ecco allora che l’estensione del matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso è stata progressivamente introdotta in molti Paesi (Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia, Portogallo, Islanda, Danimarca, Francia e Inghilterra) e l’Italia è rimasta fra gli ultimi a non prevedere il riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso nonostante i molteplici richiami della Corte costituzionale e della Corte di cassazione. Con la sentenza n. 138 del 2010 la Corte costituzionale ha riconosciuto la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, sottolineando che si è di fronte a una di quelle formazioni sociali di cui parla l’articolo 2 della Costituzione: alle persone dello stesso sesso che convivono «spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone (…) il riconoscimento giuridico con connessi diritti e doveri». Nel 2012, con la sentenza n. 4184, la Corte di cassazione è ancora più esplicita: riprendendo alcune conclusioni della CEDU, la Corte afferma che, poiché si è in presenza di un diritto fondamentale, le coppie formate da persone dello stesso sesso possono rivolgersi ai giudici «per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».
L’impossibilità di accedere al riconoscimento pubblico della propria condizione sociale di coppia da parte di persone dello stesso sesso rappresenta non solo una violazione del principio di eguaglianza nell’accesso a molti diritti concreti (sul piano fiscale, previdenziale e successorio, tanto per fare alcuni esempi), ma comporta anche una lesione della propria dignità. Certo, i dibattiti sul matrimonio per le coppie omosessuali continuano a essere molto accesi in Italia, ma si tratta, in fondo, di rigurgiti di intolleranza nei confronti di coloro che, nonostante siano riconosciuti in teoria come degni dello stesso rispetto di tutti, continuano a essere trattati come «diversi». Due omosessuali si amano? Benissimo – si sente talvolta dire – ma che lo facciano in silenzio, altrove, senza troppe pretese. Perché volersi anche sposare? In fondo, finché gli omosessuali si accontentano del privato, va tutto bene. Ma quando dal privato si passa al pubblico – perché le coppie omosessuali rivendicano gli stessi diritti delle altre coppie – ecco che arrivano i dubbi, le obiezioni, le contestazioni, il cui obiettivo è sostanzialmente evitare che si ponga rimedio a una discriminazione.
Il vero problema dell’Italia è che, nonostante le grandi dichiarazioni di principio, i cittadini continuano di fatto a essere distinti in due categorie: da un lato quelli di serie A, ossia gli eterosessuali che, in quanto conformi alle norme vigenti, vengono considerati e trattati come normali, adeguati e degni; dall’altro lato quelli di serie B, ossia gli omosessuali che, proprio perché non conformi alle norme, vengono considerati e trattati come anormali, devianti e indegni. Un popolo di «quasi adatti», per utilizzare le parole dello scrittore Peter Hoeg, che dovrebbero smetterla di domandare gli stessi diritti di tutti gli altri. Non si può volere tutto e il contrario di tutto – pensano ancora taluni, spiegando che non si può al tempo stesso voler essere liberi di non conformarsi alle aspettative altrui e voler essere trattati come tutti gli altri. Non si può essere al tempo stesso diversi ed eguali – cercano di argomentare altri, senza capire che l’eguaglianza dei diritti è proprio l’eguaglianza nella diversità.
In Italia, i pregiudizi persistono. La differenza continua a far paura. Rimette ancora troppo in discussione quello che si conosce, o che si pensa sapere, spingendo a rifiutare ciò che è «altro» rispetto a sé, ai propri codici, alle proprie abitudini. Ecco perché c’è tanta urgenza di leggi che riconoscano i diritti degli omosessuali e che permettano di dire in modo chiaro da che parte stanno la libertà e l’eguaglianza e da che parte, invece, continua a stare la vergogna. In un Paese democratico e liberare non ci si può vergognare di quello che si è o di chi si ama; ci si dovrebbe piuttosto vergognare di non permettere a tutti, nonostante le differenze, di godere degli stessi diritti.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifiche al codice civile in materia di matrimonio).
Art. 2.
(Cognome dei coniugi).
«Art. 143-bis. – (Cognome dei coniugi). – I coniugi possono conservare i propri cognomi o adottare un cognome comune formato dall’unione di uno dei due cognomi dell’uno con uno dei due cognomi dell’altro. Ciascuno dei coniugi conserva il cognome comune durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze. Il cognome comune si perde in caso di divorzio».
Art. 3.
(Filiazione nelle coppie formate da persone dello stesso sesso).
«Capo III-bis
DELLA FILIAZIONE NELLE COPPIE FORMATE DA PERSONE DELLO STESSO SESSO
Art. 249-bis. – (Filiazione nelle coppie formate da persone dello stesso sesso). – Il coniuge dello stesso sesso è considerato genitore del figlio dell’altro coniuge fin dal momento del concepimento in costanza di matrimonio, anche quando il concepimento avviene mediante il ricorso a tecniche di riproduzione medicalmente assistita.
Il coniuge dello stesso sesso può adottare il figlio minore, anche adottivo, dell’altro coniuge. Si applicano in tale caso le disposizioni del titolo IV della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, relative all’adozione da parte del coniuge dei minori figli, anche adottivi, dell’altro coniuge».
All’articolo 250, primo comma, del codice civile, le parole: «dalla madre e dal padre» sono sostituite da: «da uno dei due coniugi».
Art. 4.
(Disposizioni finali).