lunedì 30 Gennaio 2017


 

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Trump e Brexit? Fuori dalla Storia, scelte che spaccano e radicalizzano

Dopo Brexit (il voto popolare per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea) e l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti il concetto di Occidente si è sgretolato o ridimensionato? Risponde Pia Locatelli, già Europarlamentare e Presidente Onoraria dell’Internazionale Socialista Donne.

 

di Pia Locatelli

La Women’s march di sabato 21 gennaio che ha portato in piazza mezzo milione di donne a Washington e altre centinaia di migliaia in molte altre capitali in tutto il mondo, da Roma a Berlino, da Accra a Pristina, ha avuto come bersaglio il neo presidente americano Donald Trump.

Hanno manifestato contro le discriminazioni di genere e in favore dei diritti delle donne e perché ha bloccato i finanziamenti governativi alle Ong internazionali che praticano o informano sulla contracceziano e sull’interruzione di gravidanza all’estero. Ma protestavano anche per il muro anti-immigrati col Messico, lo smantellamento della riforma sanitaria di Obama, il via libera a due oleodotti pericolosi per l’ambiente.

Molte di quelle donne hanno partecipato alla campagna elettorale a favore di Hillary Clinton per rompere ‘il tetto di cristallo’e per eleggere per la prima volta una donna alla Casa Bianca. Ho partecipato nel luglio scorso a Filadelfia alla Convention per la nomination di Hillary Clinton e il clima di quei giorni era molto diverso da quello di oggi: un’aria di festa e di allegria non ancora incupita dalla misoginia e dal sessismo di Trump, dalla paura di tornare indietro di decenni sul cammino dei diritti civili.

Oggi l’America di Trump è un’America spaccata, radicalizzata. Bisogna risalire ai tempi della guerra in Vietnam per ritrovare un clima simile a quello di oggi.

E non meno divisa è la Gran Bretagna della Brexit, che ha coinciso con la campagna elettorale negli Usa e la vittoria di Trump. Una visione comune tra le due sponde dell’Atlantico che riporta in auge l’‘Anglosfera’, la relazione ‘speciale’ Londra-Washington nata a cavallo della Seconda Guerra mondiale, ma in nome di ben altri principi e valori perché oggi allarga la Manica, allontana la Gran Bretagna dall’Europa.

A ben vedere è la conferma di una tendenza già apparsa nel Vecchio Continente. Le democrazie liberali che hanno governato dal dopoguerra a oggi, di fronte alla tempesta finanziaria ed economica che sta imperversando dal 2008, mostrano affanno, non danno risposte esaurienti. I partiti politici di destra e di sinistra, che hanno fin qui governato, sono in uno stato confusionale e fanno la fortuna di movimenti e partiti apertamente xenofobi o razzisti, tutti accomunati da un deciso sentimento nazionalista, in chiave antieuropea e anti-immigrati.

Il leitmotiv, in America come in Germania, in Gran Bretagna come in Olanda, è sempre lo stesso: basta accoglienza e facciamo da soli.

La crisi, come segnalano tutte le statistiche, ha non solo allargato la forbice dei redditi tra ricchi sempre più ricchi e una moltitudine sempre più sterminata di poveri, ma ha anche schiacciato verso il basso il ceto medio, quello che ha costituito fino a oggi l’ossatura portante del ‘sistema’, lo ha messo in ansia e lo spinge verso il populismo. Una situazione potenzialmente pericolosa, l’humus per pericolosi rigurgiti totalitari.

Non per caso, come ha segnalato una recente ricerca Demos (http://www.demos.it/a01344.php), anche in Italia che pure dovrebbe essere vaccinata, c’è un improvviso ritorno di fiamma per l’‘uomo forte’, per il demiurgo che dovrebbe sciogliere tutti i nodi; una illusione che torna di moda anche se ha dato sempre e solo prove drammaticamente fallimentari.

È vero, è in pericolo l’intero edificio della modernità così come l’abbiamo conosciuta fino a oggi, una modernità costruita su ideali e valori largamente condivisi. Non solo libertà e democrazia, ma anche il rifiuto del nazionalismo nel ricordo della tragedia delle due guerre mondiali, il superamento delle frontiere in nome della libertà di movimento delle persone e non solo delle merci, bellissime esperienze come quella dell’Erasmus che insegna a giovani di nazionalità diverse non solo a studiare assieme, ma a comprendersi, a convivere, a riconoscere e rispettare le reciproche differenze.

Tutte le colpe sarebbero della globalizzazione, che pure esiste fin dai tempi dell’Impero romano. È incredibile che sia stato il più potente leader del comunismo, il presidente cinese Xi Jinping, a difenderla dalla tribuna del 47° Forum di Davos, ricordando che “molti dei problemi di oggi non sono affatto causati dalla globalizzazione” come “le migrazioni dal Nord Africa e Medio oriente” (…) che “la globalizzazione ha creato nuovi problemi, ma questa non è una giustificazione per cancellarla, quanto piuttosto per adattarla”.

Ma i pifferai populisti a caccia di voti, suonano proprio questa musica. Sta riemergendo dalla pattumiera della storia – si pensi all’ultimo appuntamento delle destre europee a Coblenza – il ‘sovranismo’, spacciato come l’antidoto magico alla globalizzazione. Si vuol far credere che cancellare la moneta unica e tornare alle fragili monete nazionali per rinchiudersi nei propri confini – chissà, riscoprendo anche l’autarchia – possa rimettere tutto a posto; possa tenere lontani gli immigrati ‘sporchi e cattivi’ e difendere i posti di lavoro in casa propria.

Il sovranismo è la ricetta facile facile, ma non esistono ricette facili per problemi complessi. Il protezionismo di Trump, come la Brexit, possono solo riportare le lancette della storia all’indietro e dopo qualche effimero vantaggio iniziale, fermare lo sviluppo e creare pericolose tensioni internazionali. E questa è una lezione che sta in tutti i libri di storia, basta andare a rileggersela.


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