mercoledì 25 Gennaio 2017

Un anno senza Giulio Regeni, non molliamo


“A un anno dalla morte di Giulio Regeni siamo ancora in attesa della verità, ma non molliamo”. Lo afferma Pia Locatelli intervenuta in Commissione Esteri nel  dibattito in occasione del primo anniversario dalla morte del ricercatore italiano, “La novità assoluta di questi giorni nella drammatica vicenda del sequestro e della morte per tortura del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, – afferma Pia Locatelli in un post su Facebook- è costituita dalla diffusione da parte della autorità del Cairo del filmato del suo incontro col capo del sindacato dei venditori ambulanti Mohammed Abdullah registrato di nascosto dallo stesso Abdullah. Un filmato della cui esistenza ci aveva informato il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, nel corso del Question Time del 18 gennaio scorso.
Il contenuto del colloquio non lascia spazio a dubbi, a meno di non voler forzare interpretazioni maliziose delle frasi pronunciate da Regeni: il nostro connazionale era quello che diceva di essere, un ricercatore che svolgeva con serietà il suo lavoro e che aveva risposto picche alla richiesta di un uso distorto dei fondi che potevano essere messi a disposizione dalla Antipode Foundation, l’istituzione britannica che era anche lo sponsor della ricerca di Regeni presso l’università di Cambridge.
Il filmato è stato girato con un minuscola telecamera indossata da Abdallah, fornitagli da un capitano delle forze di sicurezza egiziane e da solo testimonia inequivocabilmente che il ricercatore era finito nel mirino dei servizi e che il suo interlocutore era lui stesso un collaboratore dei servizi.
Anche la pubblicazione di questo filmato, che era ignoto a noi, ma non certo alle Istituzioni del Cairo, ci dice qualcosa; ci dice che i responsabili della sicurezza hanno intenzione di fornire – a orologeria – una pista concreta per individuare i possibili responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni. È difficile infatti non pensare che chi lo ha controllato e tenuto sotto una strettissima osservazione, chi ha disposto una perquisizione della sua abitazione prima del suo sequestro, chi lo ha rapito e torturato a morte, chi ha inscenato il ritrovamento del cadavere lungo l’autostrada, chi ha fornito le versioni fantasiose dei primi giorni, chi ha costruito piste fasulle fino a oggi, non risponda alla stessa catena di comando e dunque non abbia una nome e un cognome.
Abbiamo la sensazione di trovarci a leggere un copione che qualcuno ha scritto per noi, e che prevede con ogni probabilità una conclusione, ovvero l’indicazione di uno più persone, colpevoli di essere andati oltre i loro doveri, insomma di aver sbagliato confondendo un innocuo ricercatore con una temibile spia britannica.
Certo non aiuta la ricerca della verità il comportamento delle professoresse cui faceva riferimento Regeni a Cambridge, Maha Abdelrahman e Rabab El Mahdi, che a quanto ci risulta si sono rifiutate di dare informazioni dirette alla nostra magistratura per spiegare i confini e le modalità delle ricerche in un settore che conoscevano bene, compresi i sistemi che il regime egiziano utilizzava per infiltrare, intimorire, inquinare l’opposizione interna.
Oggi ci sembra di capire che Giulio Regeni è caduto in una trappola tesagli da agenti di polizia incapaci di fare il loro mestiere, ma desiderosi di ben figurare agli occhi del regime, o piuttosto è rimasto vittima di un gioco che non lo riguardava affatto, di uno scontro interno tra fazioni, usato per colpire la credibilità del regime egiziano.
Ma noi non scriviamo spy story, non vogliamo inseguire piste e dimostrare teoremi. Ci interessa che la verità sulla morte di un italiano all’estero emerga dalle nebbie della disinformazione, che i colpevoli vengano assicurati alla giustizia e che il nostro Paese non venga trattato come una nazione a cui si può anche non spiegare quanto avvenuto o raccontare improbabili verità.
Come abbiamo già avuto modo di dire al nostro ministro degli esteri, nel corso del Question Time della settimana scorsa, in questo processo per far emergere la verità, un ruolo può certamente essere giocato dal nostro ambasciatore.
Noi vogliamo che tra l’Italia e l’Egitto vengano ristabilite relazioni complete corrette e reciprocamente rispettose e le relazione rispettose devono essere relazioni veritiere.
In questo senso l’invio dell’ambasciatore al Cairo, nominato da non molto, il dottor Cantini, non è una mancanza di solidarietà nei confronti della famiglia o per compiacere il Governo egiziano, né tantomeno uno scambio – come ha scritto un giornale (il Fatto Quotidiano – Il patto Roma-Cairo: l’ambasciatore vale gli ‘aguzzini’ di Giulio) tra il ritorno del nostro rappresentante e la consegna di qualche figura di secondo piano per non toccare i vertici, ma al contrario può e deve essere uno strumento per pungolare meglio le autorità egiziane per arrivare finalmente alla verità, quella vera”.